BRAIN MIND & LIFE: ICTUS CEREBRALE
RICERCA E PROSPETTIVE PER L’ICTUS
Credo che non vi sia maniera migliore di introdurre i lavori
di questo incontro di aggiornamento che richiamare i dati epidemiologici
riportati sulla prima pagina del nostro sito web: “Terza causa di morte
al mondo, la malattia cerebrovascolare acuta in Italia fa registrare 500 nuove
diagnosi in un giorno e 186.000 in un anno, con la minima prevalenza nelle
regioni del Centro con migliore qualità della vita (5,7 %) e la massima in
quelle meridionali (7,3%)”. Perché, oltre a darci una prima idea delle dimensioni
del problema -che saranno dettagliatamente approfondite nella relazione di review
sull’epidemiologia- ci suggerisce immediatamente il ruolo delle componenti
psichiche nella complessità patogenetica e fisiopatologica di una condizione
troppo a lungo ascritta quasi esclusivamente alla neurologia e all’internistica
cardio-angiologica.
Il breve richiamo scritto all’inizio di quest’anno sulla
prima pagina del sito, ci ricorda anche un altro elemento di recente
acquisizione: l’importanza dell’infiammazione della placca vasostruttiva. Non si
tratta soltanto di un buon indice prognostico da valutare mediante l’impiego di
sonde termografiche intravasali ed anticorpi radioattivi per i markers
infiammatori, ma di un dato che parzialmente muta la prospettiva convenzionale
sulla patogenesi del danno da ostruzione vasale, quasi esclusivamente
focalizzata sugli aspetti quantitativi della riduzione del flusso ematico.
Questi due
brevissimi appunti introduttivi vogliono solo contestualizzare nella realtà
umana e clinica un problema patologico da noi affrontato nell’ottica della
sperimentazione. Come già altri prima di me, in queste schede di introduzione
all’aggiornamento cui ciascuno di voi contribuisce, non mi sforzerò di
conferire un’organicità fittizia ad una materia che organica non è, e dirò
subito che i problemi della ricerca spesso si intrecciano con quelli della
terapia e, perciò, tracciare linee di demarcazione nette risulta oltremodo
difficile.
Ad esempio, fra i
problemi della ricerca c’è l’annosa questione della trasferibilità alla realtà
clinica dei risultati ottenuti nella sperimentazione animale, come diceva Diane
Richmond nella nota del 25-03-06 (Ictus: tre nuovi modelli per la terapia). Si tratta indubbiamente di questioni relative al metodo, alla perizia, alla
prudenza del ricercatore, alla prossimità del modello sperimentale alla realtà
clinica, e così via. Ma quando, ad esempio, una molecola priva di effetti
tossici e collaterali indesiderati alle dosi efficaci si mostra attiva nell’animale,
riducendo drasticamente l’area di lesione e, invece, nell’uomo risulta
inefficace o mostra gravi effetti collaterali non prevedibili o sperimentabili
nell’animale, si crea un problema terapeutico: di terapia sperimentale, se
non si tratta di un farmaco già approvato per l’uso, o di terapia vera e
propria se il farmaco -come purtroppo accade- era già prescrivibile. In tal
caso il medico rispedisce il problema al mittente, e la questione dal letto del
paziente ritorna sul banco di laboratorio.
Per questo la
sperimentazione non può essere relegata nel “passato rimosso” che precede l’attualità
terapeutica, ma deve informare e guidare costantemente la riflessione del
medico. Comincerei, perciò, proprio con il rileggere la nota di Diane Richmond
del 25 marzo che recensisce tre nuovi modelli sperimentali, continuerei con la
nota della stessa Richmond del 13 maggio scorso, e concluderei questa
introduzione tornando all’ottobre 2005, quando presentammo la scoperta di un
inibitore della necroptosi.
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ICTUS: TRE NUOVI MODELLI PER LA TERAPIA
I recenti
progressi compiuti nella ricerca di nuove terapie della patologia cerebro-vascolare
acuta, a breve saranno oggetto di un aggiornamento di BM&L-Italia, in cui
saranno presentate le nuove prospettive terapeutiche e saranno discussi i
numerosi problemi tuttora irrisolti. Fra questi, c’è l’annosa questione della
trasferibilità alla realtà clinica dei risultati ottenuti nella sperimentazione
animale.
I primi modelli
di ictus indotto artificialmente nelle specie murine, mediante occlusione
arteriosa, lasciavano ben sperare in termini di comparabilità con la realtà
umana, soprattutto al confronto con i quadri patologici sperimentali simulanti
encefalopatie ad etiopatogenesi ignota. L’estrapolazione alla clinica ha,
invece, deluso spesso le aspettative, sia per le generali differenze fra l’encefalo
umano e quello degli animali da esperimento, sia per motivi legati alle
procedure impiegate che implicano l’invasività
delle iniezioni intravascolari e la variabilità
della sede e dell’estensione delle lesioni arteriose prodotte.
Nishimura e i
suoi collaboratori, impiegando la microscopia bifotonica ed una tecnologia
laser, hanno realizzato tre nuovi modelli patologici che dovrebbero consentire
una sperimentazione terapeutica basata su riferimenti più accuratamente
definiti e prossimi agli elementi della patologia umana (Targeted insult to subsurface
cortical blood vessels using ultrashort laser pulses: three models of stroke. Nature
Methods 3, 99-108, 2006).
I ricercatori
hanno trovato il modo di realizzare l’occlusione selettiva o il danno strutturale
di un piccolo vaso localizzato in profondità rispetto alla superficie
corticale, individuandolo mediante microscopia bifotonica e bersagliandolo con
impulsi laser ultracorti.
In sintesi, sono
stati realizzati tre modelli:
1) ictus da completa occlusione vasale, ottenuto mediante irradiazione multipla ad
energia crescente;
2) ictus emorragico, prodotto con irradiazione ad alta energia;
3) ictus da stravaso ematico senza
perdita della continuità del flusso vasale, simulato con irradiazione a bassa energia.
Sarà ora necessaria
una sperimentazione che metta alla prova i modelli stessi e, se le buone
premesse insite nelle procedure si riveleranno fondate, la ricerca per la
terapia dell’ictus potrà avvalersi di strumenti migliori.
L’autrice della
nota ringrazia Isabella Floriani per la collaborazione nell’estensione del
testo e la correzione della bozza.
www.brainmindlife.org
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DUE NUOVE POSSIBILITA’ PER LA TERAPIA
DELL’ICTUS
La patogenesi e
la fisiopatologia del danno da ictus cerebrale sono caratterizzate da una
molteplicità di eventi e processi, molti dei quali sono stati considerati
potenziali obiettivi dell’azione farmacologica nella sperimentazione
terapeutica.
Lo spettro delle
possibilità per la ricerca sembra essere esteso almeno quanto quello dei
problemi che fino ad oggi hanno limitato l’impiego clinico di molecole
risultate efficaci negli esperimenti condotti su animali o in vitro, per
questo, nonostante la vasta mole di lavoro, i progressi compiuti negli ultimi
anni sono risultati davvero minimi. Non sembra, però, infondato nutrire
speranze per il prossimo futuro alla luce dei dati emergenti in numerose
ricerche.
A seguito di
un’ostruzione o di una rottura di un’arteria cerebrale, nell’area centrale del
dominio del vaso si sviluppa la necrosi, mentre nell’area periferica
immediatamente circostante -la cosiddetta penombra- si innescano
meccanismi citotossici in grado di determinare morte cellulare in tempi più
lunghi. Fra gli eventi caratteristici di questi processi tossici, l’accresciuta
concentrazione intracellulare di Ca2+ e quella delle specie reattive
dell’ossigeno (ROS) costituiscono un frequente bersaglio nella sperimentazione
mirata allo sviluppo di nuove terapie.
Jiang e colleghi
hanno impiegato la Triapina, un agente chelante i metalli noto anche come PAN-811, per rimuovere il Ca2+ intracellulare
(A multifunctional
cytoprotective agent that reduces neurodegeneration after ischemia. Proc. Natl Acad. Sci. USA 103, 1581-1586, 2006).
La Triapina (PAN-811) è anche in grado di
agire da spazzino delle ROS, pertanto sembra candidata a svolgere un ruolo
protettivo per i neuroni, sia nei confronti dell’eccesso di calcio, sia delle
specie reattive dell’ossigeno.
Gli effetti del PAN-811 sono
stati valutati in modelli artificiali di ictus indotto nei ratti mediante l’occlusione
dell’arteria cerebrale media: la somministrazione del composto a un’ora dall’occlusione
del vaso, riduceva il volume dell’infarto del 59%.
La Triapina, da un punto di vista farmacotossico e
farmacodinamico (azione, sede dell’azione e meccanismo d’azione del farmaco),
presenta un profilo decisamente favorevole per l’impiego terapeutico nel range
efficace a scopo neuroprotettivo.
A seguito di un episodio
cerebrovascolare acuto, la neurotossicità che si sviluppa è dovuta a molteplici
fattori, uno dei quali è l’attivazione della cascata enzimatica che include la
ciclo-ossigenasi 2 o COX2. Si ritiene che trattamenti di lungo termine con
inibitori della COX2 accrescano il rischio di complicanze cardiovascolari, per
questo il gruppo di ricerca condotto da Kawano ha deciso di studiare le
molecole neurotossiche a valle di COX2 allo scopo di circoscrivere maggiormente
la causa del danno e sviluppare, eventualmente, farmaci più mirati e scevri
degli effetti indesiderati cardio-vascolari (Prostaglandin E2 EP1 receptors: downstream
effectors of COX-2 neurotoxicity. Nature Medicine 12, 1-5, 2006).
Kawano e colleghi
hanno identificato in questa cascata enzimatica il recettore EP1 per la prostaglandina E2 . Nel topo la somministrazione del
composto SC51089, inibitore del recettore EP1, sei ore dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale media, era in grado di
ridurre sensibilmente l’area del danno da ischemia.
Gli autori, perciò,
propongono il recettore EP1 come bersaglio alternativo a
COX2 nella terapia dell’ictus.
L’autrice della
nota ringrazia Giuseppe Perrella e Giovanni Rossi con i quali ha discusso gli
sviluppi della ricerca nel campo della terapia dell’ictus ed ha scelto i due
lavori recensiti; ringrazia inoltre Isabella Floriani per la correzione della
bozza.
www.brainmindlife.org
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ISCHEMIA CEREBRALE: SCOPERTO UN INIBITORE
DELLA NECROPTOSI
La morte
cellulare per necrosi e la morte cellulare programmata o apoptosi sono i due distinti processi mediante i quali la
vita della cellula giunge a termine. Il primo, conosciuto fin dai primordi
della patologia cellulare, è considerato “passivo”; il secondo, di più recente
scoperta e di grande attualità scientifica, attrae maggiore attenzione anche
per la sua natura di evento “attivo” e programmato. Entrambi sono presenti
nell’ischemia cerebrale.
Degterev e i suoi collaboratori (Chemical inhibitor of non-apoptotic cell death
with therapeutic potential for ischemic brain injury Nature Chem. Biol. 1, 112-119, 2005) hanno studiato la morte cellulare in un modello
murino ottenuto per occlusione dell’arteria cerebrale media.
Tanto la necrosi
quanto l’apoptosi possono essere indotte mediante l’attivazione di una famiglia
di recettori specifici noti come “death receptors”. Ma, se si bloccano le
caspasi, dopo l’attivazione di questi recettori, la morte per apoptosi non è
più possibile: può aversi solo la morte per necrosi.
Gli autori di
questo lavoro hanno cercato una nuova molecola che fosse in grado di impedire
la morte cellulare indipendentemente dagli inibitori delle caspasi e
dell’apoptosi, ossia legandosi con azione antagonista ai “death receptors”. A
questo scopo hanno testato quasi 1500 composti e, infine, hanno trovato una
molecola antagonista efficace, alla quale hanno dato nome necrostatina 1 (Nec-1). Questa piccola molecola,
il cui esatto bersaglio chimico non è stato ancora definito, era in grado di
prevenire la morte cellulare mediata dai recettori in molti tipi di cellule,
sebbene non avesse effetti sull’induzione dell’apoptosi. Questi risultati
forniscono una prova determinante che questa via, chiamata dagli autori necroptosi, è un percorso comune, ma ben definito come
non-apoptotico, di morte cellulare.
A questo punto,
Degterev e i suoi collaboratori hanno impiegato la Nec-1, da loro scoperta, per studiarne gli effetti nel modello murino di
ischemia cerebrale.
Dopo i primi
esperimenti, hanno sviluppato un derivato di Nec-1 molto più
potente nell’azione: 7-Cl-Nec-1.
Il cimento del
nuovo composto di sintesi nei topi con ischemia indotta, ha mostrato effetti
sulla riduzione dell’area cerebrale infartuata veramente drammatici; inoltre la
riduzione del volume del tessuto necrotizzato dall’infarto si accompagnava ad
una drastica riduzione del deficit neurologico.
Poiché, come
abbiamo ricordato prima, la necrosi infartuale che segue all’ostruzione
ipossico-ischemica è sia apoptotica sia necroptotica, gli autori hanno provato a trattare il danno
sperimentale aggiungendo al 7-Cl-Nec-1 un inibitore delle
caspasi, zVAD.fmk e, come prevedibile, hanno ottenuto un effetto
terapeutico maggiore.
Un’altra
osservazione, sostenuta dalle evidenze sperimentali di questa ricerca, consiste
nel rilievo che la
necroptosi insorge più tardi dell’apoptosi, e l’effetto del 7-Cl-Nec-1 è
apprezzabile anche quando somministrato ad ore di distanza dall’occlusione
arteriosa.
E’ intuitivo che
i composti sperimentati ed altri derivati che da essi si possono ricavare,
costituiscano nuovi candidati per il trattamento farmacologico della lesione
necrotica da patologia cerebrovascolare (ictus), con una “finestra temporale”
di somministrazione maggiore di quella dei farmaci in uso.
Riteniamo che i
pregi di questo lavoro vadano ben al di là dei risultati ottenuti. Ad esempio,
la scelta di studiare la morte cellulare necrotica -quando tutti studiano
l’apoptosi ottenendo più facilmente finanziamenti, citazioni e potenziali
vantaggi per la carriera- rappresenta un’opzione coraggiosa, ma fondata
scientificamente: chi ha seguito il rapido evolversi delle conoscenze nel campo
dell’apoptosi si è reso conto che, alla luce dei nuovi dati, sarebbe stato
possibile e necessario concepire nuove ricerche anche nel campo della morte
cellulare non apoptotica.
Questo lavoro è
anche un modello metodologico di impiego dello screening chimico per acquisire
conoscenza circa processi molecolari e cellulari.
www.brainmindlife.org
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Concludendo questa introduzione voglio ringraziare tutti i
partecipanti, soprattutto coloro che, non essendo membri della nostra Società,
hanno voluto generosamente fornire materiali scientifici, bibliografie,
resoconti di ricerche non ancora pubblicate e materiale audiovisivo originale;
voglio, inoltre, ringraziare in anticipo coloro che registrano e trascriveranno
il question time e le discussioni che seguiranno le presentazioni.
Giovanni Rossi