BRAIN MIND & LIFE: ICTUS CEREBRALE

AGGIORNAMENTO

 

Firenze, 19 maggio 2006

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

RICERCA E PROSPETTIVE PER L’ICTUS 

 

 

Credo che non vi sia maniera migliore di introdurre i lavori di questo incontro di aggiornamento che richiamare i dati epidemiologici riportati sulla prima pagina del nostro sito web: “Terza causa di morte al mondo, la malattia cerebrovascolare acuta in Italia fa registrare 500 nuove diagnosi in un giorno e 186.000 in un anno, con la minima prevalenza nelle regioni del Centro con migliore qualità della vita (5,7 %) e la massima in quelle meridionali (7,3%)”. Perché, oltre a darci una prima idea delle dimensioni del problema -che saranno dettagliatamente approfondite nella relazione di review sull’epidemiologia- ci suggerisce immediatamente il ruolo delle componenti psichiche nella complessità patogenetica e fisiopatologica di una condizione troppo a lungo ascritta quasi esclusivamente alla neurologia e all’internistica cardio-angiologica.

Il breve richiamo scritto all’inizio di quest’anno sulla prima pagina del sito, ci ricorda anche un altro elemento di recente acquisizione: l’importanza dell’infiammazione della placca vasostruttiva. Non si tratta soltanto di un buon indice prognostico da valutare mediante l’impiego di sonde termografiche intravasali ed anticorpi radioattivi per i markers infiammatori, ma di un dato che parzialmente muta la prospettiva convenzionale sulla patogenesi del danno da ostruzione vasale, quasi esclusivamente focalizzata sugli aspetti quantitativi della riduzione del flusso ematico.

Questi due brevissimi appunti introduttivi vogliono solo contestualizzare nella realtà umana e clinica un problema patologico da noi affrontato nell’ottica della sperimentazione. Come già altri prima di me, in queste schede di introduzione all’aggiornamento cui ciascuno di voi contribuisce, non mi sforzerò di conferire un’organicità fittizia ad una materia che organica non è, e dirò subito che i problemi della ricerca spesso si intrecciano con quelli della terapia e, perciò, tracciare linee di demarcazione nette risulta oltremodo difficile.

Ad esempio, fra i problemi della ricerca c’è l’annosa questione della trasferibilità alla realtà clinica dei risultati ottenuti nella sperimentazione animale, come diceva Diane Richmond nella nota del 25-03-06 (Ictus: tre nuovi modelli per la terapia). Si tratta indubbiamente di questioni relative al metodo, alla perizia, alla prudenza del ricercatore, alla prossimità del modello sperimentale alla realtà clinica, e così via. Ma quando, ad esempio, una molecola priva di effetti tossici e collaterali indesiderati alle dosi efficaci si mostra attiva nell’animale, riducendo drasticamente l’area di lesione e, invece, nell’uomo risulta inefficace o mostra gravi effetti collaterali non prevedibili o sperimentabili nell’animale, si crea un problema terapeutico: di terapia sperimentale, se non si tratta di un farmaco già approvato per l’uso, o di terapia vera e propria se il farmaco -come purtroppo accade- era già prescrivibile. In tal caso il medico rispedisce il problema al mittente, e la questione dal letto del paziente ritorna sul banco di laboratorio.

Per questo la sperimentazione non può essere relegata nel “passato rimosso” che precede l’attualità terapeutica, ma deve informare e guidare costantemente la riflessione del medico. Comincerei, perciò, proprio con il rileggere la nota di Diane Richmond del 25 marzo che recensisce tre nuovi modelli sperimentali, continuerei con la nota della stessa Richmond del 13 maggio scorso, e concluderei questa introduzione tornando all’ottobre 2005, quando presentammo la scoperta di un inibitore della necroptosi.

 

 

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ICTUS: TRE NUOVI MODELLI PER LA TERAPIA

 

 

I recenti progressi compiuti nella ricerca di nuove terapie della patologia cerebro-vascolare acuta, a breve saranno oggetto di un aggiornamento di BM&L-Italia, in cui saranno presentate le nuove prospettive terapeutiche e saranno discussi i numerosi problemi tuttora irrisolti. Fra questi, c’è l’annosa questione della trasferibilità alla realtà clinica dei risultati ottenuti nella sperimentazione animale.

I primi modelli di ictus indotto artificialmente nelle specie murine, mediante occlusione arteriosa, lasciavano ben sperare in termini di comparabilità con la realtà umana, soprattutto al confronto con i quadri patologici sperimentali simulanti encefalopatie ad etiopatogenesi ignota. L’estrapolazione alla clinica ha, invece, deluso spesso le aspettative, sia per le generali differenze fra l’encefalo umano e quello degli animali da esperimento, sia per motivi legati alle procedure impiegate che implicano l’invasività delle iniezioni intravascolari e la variabilità della sede e dell’estensione delle lesioni arteriose prodotte.

Nishimura e i suoi collaboratori, impiegando la microscopia bifotonica ed una tecnologia laser, hanno realizzato tre nuovi modelli patologici che dovrebbero consentire una sperimentazione terapeutica basata su riferimenti più accuratamente definiti e prossimi agli elementi della patologia umana (Targeted insult to subsurface cortical blood vessels using ultrashort laser pulses: three models of stroke. Nature Methods 3, 99-108, 2006).

I ricercatori hanno trovato il modo di realizzare l’occlusione selettiva o il danno strutturale di un piccolo vaso localizzato in profondità rispetto alla superficie corticale, individuandolo mediante microscopia bifotonica e bersagliandolo con impulsi laser ultracorti.

 

In sintesi, sono stati realizzati tre modelli:

1) ictus da completa occlusione vasale, ottenuto mediante irradiazione multipla ad energia crescente;

2) ictus emorragico, prodotto con irradiazione ad alta energia;

3) ictus da stravaso ematico senza perdita della continuità del flusso vasale, simulato con irradiazione a bassa energia.

 

Sarà ora necessaria una sperimentazione che metta alla prova i modelli stessi e, se le buone premesse insite nelle procedure si riveleranno fondate, la ricerca per la terapia dell’ictus potrà avvalersi di strumenti migliori.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la collaborazione nell’estensione del testo e la correzione della bozza.

 

 Diane Richmond

(BM&L-Marzo 2006)

www.brainmindlife.org

 

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DUE NUOVE POSSIBILITA’ PER LA TERAPIA DELL’ICTUS

 

 

La patogenesi e la fisiopatologia del danno da ictus cerebrale sono caratterizzate da una molteplicità di eventi e processi, molti dei quali sono stati considerati potenziali obiettivi dell’azione farmacologica nella sperimentazione terapeutica.

Lo spettro delle possibilità per la ricerca sembra essere esteso almeno quanto quello dei problemi che fino ad oggi hanno limitato l’impiego clinico di molecole risultate efficaci negli esperimenti condotti su animali o in vitro, per questo, nonostante la vasta mole di lavoro, i progressi compiuti negli ultimi anni sono risultati davvero minimi. Non sembra, però, infondato nutrire speranze per il prossimo futuro alla luce dei dati emergenti in numerose ricerche.

A seguito di un’ostruzione o di una rottura di un’arteria cerebrale, nell’area centrale del dominio del vaso si sviluppa la necrosi, mentre nell’area periferica immediatamente circostante -la cosiddetta penombra- si innescano meccanismi citotossici in grado di determinare morte cellulare in tempi più lunghi. Fra gli eventi caratteristici di questi processi tossici, l’accresciuta concentrazione intracellulare di Ca2+ e quella delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) costituiscono un frequente bersaglio nella sperimentazione mirata allo sviluppo di nuove terapie.

Jiang e colleghi hanno impiegato la Triapina, un agente chelante i metalli noto anche come PAN-811, per rimuovere il Ca2+ intracellulare (A multifunctional cytoprotective agent that reduces neurodegeneration after ischemia. Proc. Natl Acad. Sci. USA 103, 1581-1586, 2006).

La Triapina (PAN-811) è anche in grado di agire da spazzino delle ROS, pertanto sembra candidata a svolgere un ruolo protettivo per i neuroni, sia nei confronti dell’eccesso di calcio, sia delle specie reattive dell’ossigeno.

Gli effetti del PAN-811  sono stati valutati in modelli artificiali di ictus indotto nei ratti mediante l’occlusione dell’arteria cerebrale media: la somministrazione del composto a un’ora dall’occlusione del vaso, riduceva il volume dell’infarto del 59%.

La Triapina, da un punto di vista farmacotossico e farmacodinamico (azione, sede dell’azione e meccanismo d’azione del farmaco), presenta un profilo decisamente favorevole per l’impiego terapeutico nel range efficace a scopo neuroprotettivo.

A seguito di un episodio cerebrovascolare acuto, la neurotossicità che si sviluppa è dovuta a molteplici fattori, uno dei quali è l’attivazione della cascata enzimatica che include la ciclo-ossigenasi 2 o COX2. Si ritiene che trattamenti di lungo termine con inibitori della COX2 accrescano il rischio di complicanze cardiovascolari, per questo il gruppo di ricerca condotto da Kawano ha deciso di studiare le molecole neurotossiche a valle di COX2 allo scopo di circoscrivere maggiormente la causa del danno e sviluppare, eventualmente, farmaci più mirati e scevri degli effetti indesiderati cardio-vascolari (Prostaglandin E2 EP1 receptors: downstream effectors of COX-2 neurotoxicity. Nature Medicine 12, 1-5, 2006).

Kawano e colleghi hanno identificato in questa cascata enzimatica il recettore EP1 per la prostaglandina E2 . Nel topo la somministrazione del composto SC51089, inibitore del recettore EP1, sei ore dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale media, era in grado di ridurre sensibilmente l’area del danno da ischemia.

Gli autori, perciò, propongono il recettore EP1 come bersaglio alternativo a COX2 nella terapia dell’ictus.

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella e Giovanni Rossi con i quali ha discusso gli sviluppi della ricerca nel campo della terapia dell’ictus ed ha scelto i due lavori recensiti; ringrazia inoltre Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

(BM&L-Maggio 2006)

www.brainmindlife.org

 

 

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ISCHEMIA CEREBRALE: SCOPERTO UN INIBITORE DELLA NECROPTOSI   

 

 

La morte cellulare per necrosi e la morte cellulare programmata o apoptosi sono i due distinti processi mediante i quali la vita della cellula giunge a termine. Il primo, conosciuto fin dai primordi della patologia cellulare, è considerato “passivo”; il secondo, di più recente scoperta e di grande attualità scientifica, attrae maggiore attenzione anche per la sua natura di evento “attivo” e programmato. Entrambi sono presenti nell’ischemia cerebrale.

Degterev e i suoi collaboratori (Chemical inhibitor of non-apoptotic cell death with therapeutic potential for ischemic brain injury Nature Chem. Biol. 1, 112-119, 2005) hanno studiato la morte cellulare in un modello murino ottenuto per occlusione dell’arteria cerebrale media.

Tanto la necrosi quanto l’apoptosi possono essere indotte mediante l’attivazione di una famiglia di recettori specifici noti come “death receptors”. Ma, se si bloccano le caspasi, dopo l’attivazione di questi recettori, la morte per apoptosi non è più possibile: può aversi solo la morte per necrosi.

Gli autori di questo lavoro hanno cercato una nuova molecola che fosse in grado di impedire la morte cellulare indipendentemente dagli inibitori delle caspasi e dell’apoptosi, ossia legandosi con azione antagonista ai “death receptors”. A questo scopo hanno testato quasi 1500 composti e, infine, hanno trovato una molecola antagonista efficace, alla quale hanno dato nome necrostatina 1 (Nec-1). Questa piccola molecola, il cui esatto bersaglio chimico non è stato ancora definito, era in grado di prevenire la morte cellulare mediata dai recettori in molti tipi di cellule, sebbene non avesse effetti sull’induzione dell’apoptosi. Questi risultati forniscono una prova determinante che questa via, chiamata dagli autori necroptosi, è un percorso comune, ma ben definito come non-apoptotico, di morte cellulare.

A questo punto, Degterev e i suoi collaboratori hanno impiegato la Nec-1, da loro scoperta, per studiarne gli effetti nel modello murino di ischemia cerebrale.

Dopo i primi esperimenti, hanno sviluppato un derivato di Nec-1 molto più potente nell’azione: 7-Cl-Nec-1.

Il cimento del nuovo composto di sintesi nei topi con ischemia indotta, ha mostrato effetti sulla riduzione dell’area cerebrale infartuata veramente drammatici; inoltre la riduzione del volume del tessuto necrotizzato dall’infarto si accompagnava ad una drastica riduzione del deficit neurologico.

Poiché, come abbiamo ricordato prima, la necrosi infartuale che segue all’ostruzione ipossico-ischemica è sia apoptotica sia necroptotica, gli autori hanno provato a trattare il danno sperimentale aggiungendo al 7-Cl-Nec-1 un inibitore delle caspasi, zVAD.fmk e, come prevedibile, hanno ottenuto un effetto terapeutico maggiore.

Un’altra osservazione, sostenuta dalle evidenze sperimentali di questa ricerca, consiste nel rilievo che la necroptosi insorge più tardi dell’apoptosi, e l’effetto del 7-Cl-Nec-1 è apprezzabile anche quando somministrato ad ore di distanza dall’occlusione arteriosa.

E’ intuitivo che i composti sperimentati ed altri derivati che da essi si possono ricavare, costituiscano nuovi candidati per il trattamento farmacologico della lesione necrotica da patologia cerebrovascolare (ictus), con una “finestra temporale” di somministrazione maggiore di quella dei farmaci in uso.

Riteniamo che i pregi di questo lavoro vadano ben al di là dei risultati ottenuti. Ad esempio, la scelta di studiare la morte cellulare necrotica -quando tutti studiano l’apoptosi ottenendo più facilmente finanziamenti, citazioni e potenziali vantaggi per la carriera- rappresenta un’opzione coraggiosa, ma fondata scientificamente: chi ha seguito il rapido evolversi delle conoscenze nel campo dell’apoptosi si è reso conto che, alla luce dei nuovi dati, sarebbe stato possibile e necessario concepire nuove ricerche anche nel campo della morte cellulare non apoptotica.

Questo lavoro è anche un modello metodologico di impiego dello screening chimico per acquisire conoscenza circa processi molecolari e cellulari.

 

(BM&L-Ottobre 2005)

www.brainmindlife.org

 

 

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Concludendo questa introduzione voglio ringraziare tutti i partecipanti, soprattutto coloro che, non essendo membri della nostra Società, hanno voluto generosamente fornire materiali scientifici, bibliografie, resoconti di ricerche non ancora pubblicate e materiale audiovisivo originale; voglio, inoltre, ringraziare in anticipo coloro che registrano e trascriveranno il question time e le discussioni che seguiranno le presentazioni.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Maggio 2006

www.brainmindlife.org