SCOPERTI GLIFI MAYA DEL
III SECOLO AVANTI CRISTO
Sulla superficie di mura preservate e su frammenti di
intonaco sepolti in un edificio chiamato “Las Pinturas”, una costruzione piramidale
nelle rovine precolombiane di San Bartolo in Guatemala, sono state trovate
iscrizioni in una lingua maya più antica di quella fino ad oggi conosciuta.
William Saturno, David Stuart e Boris Beltran hanno comunicato alla rivista Science
questa straordinaria scoperta (Early Maya
Writings at San Bartolo, Guatemala. Science On-line Publication Before Print
DOI: 10.1126/science.1121745 January 2006).
Il testo principale è costituito da una colonna di 10
elementi, o glifi, dipinti con uno spesso
tratto nero su intonaco bianco. Uno dei caratteri grafici all’interno della
struttura dei glifi è stato identificato con AJAW, un simbolo estesamente impiegato dai Maya per indicare il
sovrano, il governatore o il signore. La datazione mediante radiocarbonio è
stata calibrata usando campioni di legno carbonizzato strettamente associati
alle scritte murali, ed ha fissato l’epoca fra il 300 ed il 200 a.C., ossia
cinque o sei secoli prima della più antica iscrizione maya ad oggi nota.
La cultura dei Maya si fa risalire al X secolo a. C. ed ebbe
il suo centro in un’area che corrisponde alla foresta Lacandona dove scorre il
fiume Usumacinta, segnando una parte del confine fra Guatemala e Messico. In
quel territorio vivono ancora oggi discendenti diretti delle antiche
popolazioni autoctone, sebbene si stima siano ridotti a poche centinaia. Gli
studi archeologici hanno collocato fra il 250 ed il 900 d.C. l’epoca di
maggiore sviluppo di questa civiltà, convenzionalmente definita periodo
classico. Le principali testimonianze scritte risalgono a quegli anni e
sono rappresentate da una scrittura di cui si conoscono due forme, una monumentale ed una codicistica.
La scrittura monumentale è costituita da glifi incisi, ma più spesso scolpiti, su
stele, altari e vari altri elementi architettonici. La sua morfologia è molto
interessante: ciascun glifo è inscritto in un rettangolo dagli angoli
arrotondati e si presenta spesso in una forma composita con una parte
fondamentale ai lati della quale compaiono uno o più affissi, non di rado fusi
con eleganza al disegno principale. Per molti glifi della scrittura Maya si
riconoscono versioni stilizzate e semplificate. L’allineamento degli elementi è
realizzato, in genere, in righe e colonne; il disegno complessivo appare molto
elaborato, dettagliato e preciso. La stele più antica di cui si conosca la
datazione è stata trovata nella città di Tikal e risale al 292 d.C.
I manoscritti mesoamericani sono convenzionalmente definiti
codici per l’aspetto talvolta analogo a quello dei prodotti della tecnica
libraria del vecchio continente, tuttavia se ne differenziano per molti aspetti.
Infatti il supporto, a volte in tessuto di cotone, poteva essere in pelle
animale o, più spesso, era costituito da una pasta cartacea ricavata da una
specie di Ficus (Ficus amate) mediante la battitura con pestelli di
pietra (batidores) e poi trattata con calce per sbiancarla e renderla
regolare, continua e liscia. Forme e dimensioni sono quanto mai varie, perché
si va dalla striscia stretta al rettangolo di varia grandezza; caratteristico è
l’impiego di un lunghissimo foglio rettangolare ripiegato numerose volte a
ventaglio per formare le pagine: sono questi i celebri codici a biombo.
Presi insieme, i codici superstiti di tutte le civiltà mesoamericane risalenti a prima della scoperta dell’America, sono soltanto quattordici. I codici successivi alla Conquista sono invece numerosi, spesso commissionati dagli stessi conquistatori, come quelli eseguiti sotto la guida di Bernardino da Sahagùn, fra cui il più importante è il Codice Fiorentino in spagnolo e lingua nahuatl.
La massiccia distruzione dei codici maya imposta dai
conquistatori spagnoli e la perdita nei secoli successivi di quelli superstiti,
ha risparmiato solo quattro manoscritti pre-ispanici: il Codice Dresda, il
Peresiano, il Grolier ed il Tro-cortesiano che, con le sue 112 pagine, è il più
voluminoso. Su questi documenti si è largamente basato lo studio della scrittura codicistica.
I documenti maya di epoca coloniale sono numerosi, ma il
loro studio linguistico è problematico perché spesso si tratta di trascrizioni
in cui è difficile stabilire quanto sia dovuto ad errore dello scrivente,
quanto a manipolazione e, infine, quanto a processi di evoluzione, corruzione e
commistione con la lingua neolatina dei dominatori. In proposito, nella Historia
de las cosas de Yucatan (1566 circa) di Diego de Landa (vescovo e difensor
fidei di quella penisola) si legge del calendario maya con i nomi dei mesi
e dei giorni scritti con i loro glifi, ma si riporta un alfabeto di 27 segni
corrispondenti alle lettere dell’alfabeto spagnolo. Ad esempio, alla “a” si fa
corrispondere un “ac” maya, che sta per “tartaruga”, e alla “b” (che in
spagnolo si legge “be”) corrisponde un suono “be” maya, che in quella lingua
denomina la strada ed il viaggio.
La maggior parte degli studiosi esclude che Diego de Landa
non si fosse reso conto che quella dei Maya non era una scrittura alfabetica,
tuttavia è difficile stabilire se la corrispondenza dei segni grafemici con
simboli maya riportata nella Historia fosse testimonianza della
creazione di un alfabeto fonetico realizzato dai conquistatori per facilitare
la penetrazione della lingua e della cultura spagnola, oppure fosse un prodotto
dell’ingegno dello scrivente.
Accanto a queste difficoltà, lo studio della scrittura maya
ha goduto di un privilegio di rarissimo riscontro per semìe comunicative
così antiche: la lingua maya parlata ai nostri giorni non si differenzia molto
da quella degli avi ed ha consentito di inferire valori semantici sulla base
della costanza di alcuni rapporti fra scritto ed orale.
E’ importante rilevare che la scrittura scoperta nei pressi
di San Bartolo non è stata ancora decifrata e che la possibilità di giungere ad
una completa interpretazione non è, per il momento, un prospettiva certa nell’immediato.
Saturno, Stuart e Beltran temono che i campioni trovati possano essere
insufficienti a questo scopo. Il dato interessante, però, è costituito dal
fatto che si tratta certamente di una scrittura dei Maya e che risale ad un’epoca
in cui si riteneva che questa civiltà non avesse ancora sviluppato un proprio sistema
per scrivere. L’opinione degli studiosi, infatti, voleva che in epoca
pre-classica la scrittura maya fosse derivata dalla zapoteca pre-classica e
dai segni simbolici olmechi.
La scoperta di “Las Pinturas” porta a disegnare un quadro
nuovo dell’evoluzione delle lingue e delle scritture mesoamericane, in armonia
con quanto ipotizzato dall’archeologa dell’Università del Michigan, Joyce
Marcus, secondo la quale lo stile dei testi del periodo classico è il prodotto
dell’evoluzione da forme più antiche di rappresentazione grafica della stessa
lingua maya e non è derivato da scritture appartenenti ad altre etnie e culture
della stessa regione.
Alla luce di questi dati si comprende bene che la scoperta
di una testimonianza scritta risalente ad almeno 500 anni prima delle più note
iscrizioni del periodo aureo, oltre ad avere un notevole valore per lo studio
di quell’affascinante lingua, potrebbe far mutare il quadro
storico-archeologico in cui si è cercato di ricostruire il cammino di una
civiltà.