GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(VENTICINQUESIMA PARTE)

 

 

Discusse le proprietà generali e informative degli stati di coscienza, non ci soffermeremo molto sui caratteri soggettivi, perché abbiamo già trattato questo aspetto a proposito dei qualia: secondo Edelman una teoria della coscienza fondata sulla TSGN è in grado di rendere conto della soggettività, che definisce in questo modo: “Diversa dalla semplice identità o individualità, la soggettività è il possesso di una storia cosciente unica, scaturita da stati neurali capaci di discriminazioni sottili che influenzano il comportamento nello stesso momento in cui danno origine alle sensazioni soggettive”.

Le ragioni della soggettività hanno radici nella diversità biologica individuale che cresce lungo la dimensione temporale della filogenesi e nei meccanismi stessi della selezione dei gruppi neuronici, che operano nello sviluppo e durante l’esperienza, ossia nel funzionamento cerebrale e mentale istante per istante della nostra vita. I meccanismi genetici ed epigenetici che creano individualità, insieme con le influenze ambientali sempre diverse, contribuiscono a creare una specificità costitutiva del Sé, che si evolve distinguendosi dal non-Sé come avviene nel sistema immunitario, ma in più integrando il senso di tutta la memoria episodica autobiografica.

Sulla base di questa concezione delle basi neurali della coscienza e, più in generale, della mente umana, Gerald Edelman affronta numerosi problemi filosofici ed offre il suo punto di vista critico sui principi di alcune fra le teorie della mente più seguite in ambito neuroscientifico. Trattare compiutamente questa parte del lavoro speculativo del Premio Nobel newyorkese, esulerebbe da un’esposizione limitata all’illustrazione degli aspetti salienti della sua teoria scientifica e comporterebbe una, sia pur sintetica, menzione delle teorie e dei punti di vista criticati; tutto ciò richiederebbe tempi molto lunghi e, probabilmente, non susciterebbe nei nostri soci lo stesso interesse che suscita la conoscenza dei principi e delle applicazioni della TSGN. Pertanto farò solo un breve cenno ad una questione frequentemente proposta dallo stesso Edelman, rinviando alle vostre domande ogni altra eventuale discussione o approfondimento.

Una questione è data dall’impatto che la TSGN come teoria della mente ha sulle figure, sui concetti e sui modelli che costituiscono il riferimento principale della ricerca. Ad esempio, una parte notevole dello studio delle abilità cognitive e dei correlati funzionali della coscienza, definisce oggetti di ricerca che implicitamente si rifanno a teorie della mente e, anche se in molti casi gli sperimentatori non ne sono specificamente consapevoli, conferiscono ai concetti di riferimento la consistenza di elementi materiali. E’ questo il caso delle “rappresentazioni mentali” che sono un prodotto culturale della nostra elaborazione intellettiva e sono trattate come se fossero costituenti materiali della mente, oggettivabili e riproducibili.

Edelman fa spesso notare che l’aver estrapolato la mente dalla natura ha creato delle contraddizioni evidenti, come quelle che si possono rilevare nel funzionalismo di Jerry Fodor e Hillary Putnam: se la materia della mente è riducibile alle rappresentazioni mentali e agli algoritmi (procedure per passi) alla base dei ragionamenti, la loro fedele riproduzione da parte di una macchina realizza la mente stessa e, dunque, stabilite come per la cognizione e la memoria le basi concettuali dell’esperienza cosciente, le si può adeguatamente riprodurre mediante un dispositivo computerizzato per creare un artefatto dotato di coscienza. Secondo Fodor le rappresentazioni mentali si esprimono mediante un linguaggio proprio del pensiero, o “mentalese”, nel quale il significato è dato dalla precisa corrispondenza fra le forme di tale linguaggio e le entità del mondo.

Vediamo qui riassunti schematicamente in 7 punti i problemi insiti nel concetto di rappresentazione mentale secondo Edelman, con l’indicazione in parentesi degli autori la cui opera offre argomentazione a sostegno delle affermazioni enunciate. Naturalmente, per gli approfondimenti, si rimanda agli scritti di tali autori.

 

 

Problemi insiti nel concetto di rappresentazione mentale[1]

 

1. La percezione e l’intelletto non sono governati da categorie classiche. La biologia evoluzionistica dimostra l’infondatezza dell’essenzialismo (Rosch, Wittgenstein).

 

2. Il pensiero non è trascendente ma può considerarsi un prodotto del corpo in quanto dipende dal cervello. Il significato scaturisce da relazioni con funzioni e necessità del corpo. La mente non rispecchia la natura (Millikan, Langaker, Lakoff, Johnson, Searle).

 

3. E’ arbitrario descrivere la memoria mediante codici interni o sistemi sintattici. Inoltre, per rendere conto della sua piena manifestazione linguistica, si ha bisogno un di sé e di una coscienza di ordine superiore (Searle, Shanon e Gauld).

 

4. La capacità di uso della lingua verbale è acquisita mediante interazione con altri individui in eventi di apprendimento che avviano la formazione di collegamenti fra semantica e fonologia. La presenza nel cervello di sistemi concettuali e di valore conferisce al linguaggio umano le speciali qualità cognitive che ne fanno un’abilità unica (Johnson, Pinker).

 

5. Il cervello elabora l’esperienza sociale e culturale (in particolare la conoscenza acquisita grazie alla mediazione linguistica) realizzando delle versioni mentali della realtà che, al pari della costituzione biologica, sono influenzate dalla storia degli eventi (Searle, Putnam).

 

6. La computazione estrapolata nei modelli di intelligenza artificiale non soltanto è avulsa dal corpo, ma non può di per sé portare ad una relazione significativa tra i simboli e le entità del mondo (Searle).

 

7. L’attività cognitiva estrae i contenuti dall’esperienza mediante funzioni che sono il prodotto della storia evolutiva della specie e dell’individuo. Per questo ogni componente funzionale ha un proprio riferimento “normale” che dipende dal modo in cui il sistema neurobiologico ha storicamente effettuato quel processo. Ciò è in contrasto con il “razionalismo del significato” che ammette una sorta di attribuzione del senso dall’alto (Millikan).

 

Molte altre concezioni alla base delle scienze cognitive[2] di impronta psicologica e neurobiologica, alle quali si può riconoscere il merito di aver spazzato via la rozza schematicità del comportamentismo, entrano in rotta di collisione con il pensiero di Edelman, ma come ho già annunciato non procederò oltre ed attenderò le vostre domande in proposito.

 

La trascrizione della relazione del professor Perrella, a cura del professor Rossi, si ferma qui. La registrazione delle domande e dell’ampia discussione, che è proseguita anche nel corso di incontri successivi, è a disposizione dei soci.

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Luglio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] In Sulla Materia delle Mente (Adelphi, Milano 1995) è proposto un simile elenco in otto punti: Cfr. p. 361.

[2] A proposito della nascita della cognitive science con l’Hixon Symposium, della sua storia, del suo sviluppo e del  rapporto con le scienze cognitive, si vedano i testi dei seminari del Cognitive Science Club (1992-1996) con la loro copiosissima bibliografia; per i rapporti fra psicologia cognitivista e scienze cognitive si vedano i testi delle relazioni dei soci della Società Nazionale di Neuroscienze, tenute negli anni 2003-2005. Per uno sguardo d’insieme sull’avanzamento del campo delle neuroscienze cognitive si rinvia a Gazzaniga M. S. (editor), The Cognitive Neurosciences (4th edition). The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2009.