GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(DICIASSETTESIMA PARTE)

 

 

E’ evidente la differenza con la coscienza della neurologia - la cui integrità è attestata dall’orientamento nel tempo e nello spazio - ma ancora maggiore è lo scarto con la concezione della psichiatria, che esplora la funzione psichica di base attuale valutando parametri che richiedono un alto livello di integrazione cosciente delle esopercezioni. In neurologia, neuropsicologia e psichiatria, ma anche nella neurofisiologia classica, la coscienza è legata allo stato di veglia, nel quale si esercita la vigilanza, e rappresenta il polo opposto dell’incoscienza fisiologica data dal sonno e di quella patologica espressa dal coma. Ai due poli funzionali corrispondono rispettivamente uno stato di alta e bassa attivazione della formazione reticolare e di tutto il sistema multisinaptico a proiezione diffusa che attiva la corteccia. Fra i due estremi si collocano in fisiologia gli stati di passaggio fra il sonno e la veglia, così come le fasi dell’anestesia generale, e in patologia una serie di condizioni che si annoverano fra i disturbi della coscienza.

L’autore della TSGN cerca di definire così le particolarità della coscienza in stato di sonno: “A differenza dell’individuo in stato di veglia, tuttavia, l’individuo che sogna è spesso credulo, in generale non è cosciente di essere cosciente, non è collegato ai segnali sensoriali ed è incapace di generare segnali motori. Nel sonno profondo, a onde lente, si possono avere brevi episodi simili al sogno, ma per lunghi intervalli non vi è alcun segno di coscienza”[1].

Per Edelman, dunque, la coscienza non equivale allo stato in cui il soggetto sveglio realizza la sua consapevolezza nell’attualità del rapporto con il mondo circostante, ma è più prossima al concetto di attività globale del cervello che chiama in causa l’Io del soggetto[2].

Ora è opportuno considerare come l’autore della TSGN affronta la delicata questione dell’ineliminabile dimensione di esperienza soggettiva come parametro di conoscenza di un oggetto astratto quale la coscienza, perché tale soggettività potrebbe minare la plausibilità dell’esistenza di una funzione unica e comune a tutti gli individui, della quale si possono identificare basi neurali comuni.

Edelman circoscrive l’esperienza soggettiva a proprietà rilevate con la percezione e le definisce collettivamente con un termine preso a prestito dalla filosofia della mente ma da lui ridefinito: qualia.

“Nello stato cosciente normale, l’individuo fa esperienza dei qualia. Il termine «quale» indica l’esperienza soggettiva di una certa proprietà – dell’essere verde, per esempio, o caldo o doloroso. Molti hanno insistito sul fatto che si dovrebbe fornire una descrizione teorica che permetta in modo diretto di comprendere i qualia come esperienze, ma soltanto un essere con un certo corpo e un certo cervello può fare esperienza dei qualia e, quindi, una descrizione di questo genere è impossibile[3]. I qualia sono discriminazioni di ordine elevato che costituiscono la coscienza. E’ essenziale capire che le differenze tra i qualia si basano su differenze nei collegamenti e nelle attività di parti del sistema nervoso. E’ molto importante anche comprendere che i qualia vengono sempre percepiti come parti della scena cosciente unitaria e integrata”[4].

 

[continua]

 

Il testo, ripartito in parti pubblicate settimanalmente, è una sintesi della trascrizione della registrazione della relazione del professor Perrella, che è autore anche delle note, salvo dove è diversamente specificato. Il professor Rossi ha provveduto ai tagli necessari a rendere il testo più snello ed adatto alla lettura da parte di studenti e studiosi non specialisti. 

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Maggio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, op. cit., p 9.

[2] Per la semeiotica e la clinica dei disturbi della coscienza si rimanda ai trattati, qui ci limitiamo a rilevare che Edelman definisce la schizofrenia “un disturbo della coscienza”, mentre è ovvio che la diversa espressione dello stato cosciente nello schizofrenico è conseguenza della complessiva e grave alterazione psicotica. Si deve tener conto che Edelman, che proviene culturalmente dalla biologia molecolare, non ha una formazione medica e, pertanto, non è a conoscenza dei criteri che fondano la diagnostica e la nosografia psicopatologica; per uno psichiatra sentir dire che la schizofrenia è un disturbo della coscienza è come per un neurologo veder classificare una meningo-encefalomielite esantematica fra le malattie della pelle.

[3] Edelman vuol dire che ciascuna esperienza è legata a uno specifico corpo e ad uno specifico cervello e proprio quella componente di specificità costituisce i qualia.

[4] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, op. cit., p 9.