GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(QUINDICESIMA PARTE)

 

 

A questo punto dell’esposizione, prima di proseguire nella descrizione dei processi di “ordine superiore”, sarà opportuno considerare, anche se brevemente, la concezione che ha Edelman della coscienza. In altre parole, cercheremo di definire secondo la sua cultura l’oggetto astratto del quale ritiene di aver identificato le basi neurali[1]. E’ necessario questo approfondimento perché, se è vero che la maggior parte dei neuroscienziati fa riferimento a un nucleo comune di attributi di questa speciale manifestazione funzionale del cervello, è pur vero che su alcuni aspetti non marginali esistono visioni differenti in grado di influenzare tanto gli obiettivi della ricerca quanto l’interpretazione degli esiti nella costruzione di modelli.

I concetti principali, che caratterizzano e delimitano l’oggetto al quale applicare i principi della TSGN per spiegarne l’origine, sono tratti dagli studi di William James, il padre della psicologia americana. L’affermazione che questo studioso aveva posto a fondamento della propria visione è adottata da Edelman per definire il requisito più importante: la coscienza non è un oggetto, ma un processo[2].

Chiarita la natura di questa dimensione dell’esperienza psichica, James descrive alcune proprietà caratterizzanti: la coscienza esiste soltanto nell’individuo come esperienza personale o soggettiva, sembra continua ma è costantemente mutevole, è intenzionale nel suo riferisi in generale a qualche cosa e, infine, non esaurisce tutti gli aspetti degli oggetti e degli eventi a cui si riferisce. Quest’ultima proprietà è direttamente impiegata nella TSGN estesa per distinguere l’attenzione dalla coscienza: “L’attenzione, specie l’attenzione selettiva, modula gli stati coscienti e in qualche misura li dirige, ma non coincide con la coscienza”[3].

Nel complesso, Edelman adotta questi requisiti considerandoli alla stregua di dati di osservazione sperimentale, e vi fa costante riferimento sotto l’etichetta di proprietà jamesiane della coscienza. Ma la qualità di processo rimane il cardine della visione edelmaniana, come si evince dalle sue parole: “Questo è un punto che James chiarì con molta incisività in Does Consciousness Exists? Per averlo ignorato si sono compiuti molti errori categoriali. Certe descrizioni, per esempio, attribuiscono specificamente la coscienza a cellule neurali (i cosiddetti “neuroni della coscienza”) o a particolari strati del manto corticale del cervello. Ma i dati, come si vedrà, rivelano che il processo della coscienza è un risultato dinamico delle attività distribuite di popolazioni di neuroni in molte aree diverse del cervello. Il fatto che un’area possa essere essenziale o necessaria per la coscienza non significa che sia sufficiente. Un dato neurone, inoltre, può contribuire all’attività cosciente in un certo momento e non in quello successivo”[4].

 

[continua]

 

Il testo, ripartito in parti pubblicate settimanalmente, è una sintesi della trascrizione della registrazione della relazione del professor Perrella, che è autore anche delle note, salvo dove è diversamente specificato. Il professor Rossi ha provveduto ai tagli necessari a rendere il testo più snello ed adatto alla lettura da parte di studenti e studiosi non specialisti. 

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Aprile 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 



[1] Non è superfluo ricordare che, fin dai tempi più remoti, il concetto di coscienza è stato concepito e sviluppato in seno al pensiero filosofico unicamente in riferimento alla realtà umana e, quando è nata la psicologia, sia pure con un diverso approccio, si è proseguito in questo solco. E’ perciò relativamente recente la formulazione del concetto di coscienza animale che, rompendo la tradizione millenaria del riferimento alla nostra comune esperienza soggettiva, deve basarsi solo su criteri oggettivi. In Edelman rimane la distinzione in una coscienza primaria, propria di animali evoluti e fondamento della nostra, e una coscienza di ordine superiore, legata alla facoltà della parola. Il concetto di coscienza nell’uso tecnico e convenzionale che se ne fa in medicina, varia al variare della specialità medica: la coscienza dell’anestesiologia è diversa da quella della neurologia e della psichiatria. Il confronto semantico-concettuale nell’ambito delle discipline psicologiche è ancora più complesso, basti pensare che la coscienza di cui si occupa la psicoanalisi in gran parte coincide con la coscienza dichiarativa della neuropsicologia e che molti processi attribuiti dalla prima al preconscio rientrano nella coscienza non-dichiarativa della seconda.

[2] Ricordiamo che un’affermazione simile la ritroviamo nella concezione della memoria espressa da William James: la memoria non è una cosa ma un processo. In tal modo lo psicologo americano corregge l’errore dell’organologia senza abbandonare la visione positivistica e biologistica della mente umana.

[3] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, op. cit., p 7. Questa distinzione non si riscontra nel lavoro di molti altri neuroscienziati; ad esempio, i correlati corticali dell’attenzione visiva rilevati da Francis Crick e Christof Koch da molti sono considerati equivalenti a basi neurali della coscienza.

[4] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, op. cit., p 6.