GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(NONA PARTE)

 

 

Memoria e Concetti. In base ai principi fondamentali della TSGN abbiamo descritto un funzionamento che si fonda sulla memoria ed è in grado di generare concetti, pertanto è opportuno soffermarsi su queste importanti proprietà del sistema nervoso animale nella visione di Edelman, approfondendo gli aspetti che ci aiutano a comprendere il ruolo e il significato che assumono nell’articolazione della teoria[1].

Nello studio della memoria possiamo riconoscere due tendenze (bias) in grado di indurre facilmente in errore. La prima consiste nell’attribuire inconsapevolmente ad ogni tipo di conservazione e riproduzione di una risposta, da parte di un sistema biologico o di una macchina, le qualità della nostra memoria cosciente che intenzionalmente impieghiamo nella vita quotidiana, ossia la memoria dichiarativa semantica ed episodica[2]. La seconda consiste nell’identificare la memoria con le basi molecolari e funzionali (LTP e LTD) delle modifiche sinaptiche che la rendono possibile. Al secondo dei due errori si riferisce esplicitamente Edelman nel definire l’oggetto considerato dalla teoria: “Per chiarire questo punto, conveniamo che la memoria – qualsiasi forma essa assuma – è la capacità di ripetere una prestazione[3]; il genere di prestazione dipende dalla natura del sistema nel quale la memoria si manifesta, poiché essa è una proprietà sistemica”.

L’ultima affermazione è particolarmente importante e chiarificatrice del punto di vista proposto dalla TSGN: la memoria è una caratteristica del sistema nel quale si manifesta, studiarla estrapolandola dalle regole di quel sistema è un artificio che può compromettere gli esiti dello studio. Ciò non vuol dire soltanto che la memoria molecolare e cellulare di Aplysia californica e di Drosophila melanogaster non possono ritenersi equivalenti alla nostra capacità di ricordare nozioni, eventi ed emozioni, ma soprattutto che l’apprendimento e la ripetizione di un’operazione cognitiva non possono prescindere dal sistema che li effettua (cervello o computer) come proposto operativamente da molti studiosi di scienza cognitiva[4].

Per la TSGN La memoria non deve essere considerata in termini di rappresentazione, o descritta come un luogo in cui sono depositati degli oggetti recuperabili con la rievocazione[5], pur seguendo autorevoli interpretazioni quale quella esemplificata dal classico modello modale di Atkinson e Shiffrin, ma piuttosto deve essere concepita come la possibilità di ripetere processi già avvenuti. L’essenza della memoria è nella dinamica ricostruzione di un’esperienza, non nel recupero di un oggetto statico.

Le modificazioni sinaptiche e di sistema, che all’interno delle mappe locali e dei mappaggi globali consentono la categorizzazione, secondo Edelman costituiscono il fondamento della memoria che origina da numerosi processi di ricategorizzazione.

 

[continua]

 

Il testo, ripartito in parti pubblicate settimanalmente, è una sintesi della trascrizione della registrazione della relazione del professor Perrella che è autore anche delle note, salvo dove è diversamente specificato. Il professor Rossi ha provveduto ai tagli necessari a rendere il testo più snello ed adatto alla lettura da parte di studenti e studiosi non specialisti.

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Marzo 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 

 



[1] Sulla memoria e i concetti, così come sono intesi da Edelman, si fonda la teoria della coscienza.

[2] Lo schema di classificazione dei tipi di memoria umana attualmente più impiegato distingue due ordini di processi: il primo direttamente accessibile alla coscienza e comunicabile (memoria dichiarativa) e il secondo costituito da varie forme di conservazione dell’esperienza non accessibili al diretto esame cosciente (memoria non dichiarativa).  La memoria dichiarativa è a sua volta distinta in memoria semantica (la capacità di ricordare dati e nozioni, massimamente impiegata nello studio) e memoria episodica (capacità di ricordare esperienze come episodi di vita vissuta, massimamente impiegata nella narrazione autobiografica). La memoria non dichiarativa è distinta in procedurale (blocchi di procedure, posture e modelli d’azione impiegati nello sport, nella danza, nella guida di un autoveicolo, ecc.) e implicita, distinta in associativa, non associativa e impressiva. Per una trattazione organica dei tipi di memoria e del sostrato neurale, si veda sul nostro sito web nella sezione AGGIORNAMENTI la scheda introduttiva de “LA MEMORIA E IL SONNO” (Roma, settembre-dicembre 2007).

[3] Personalmente preferisco ricordare che il crearsi di una memoria richiede vari processi, tutti intimamente connessi, e riconducibili a tre diverse categorie fisiologiche: rispondere, conservare e ripetere. Infatti, già nella risposta sono presenti processi necessari alla conservazione, che comprende il costituirsi di cambiamenti che realizzano il formarsi della memoria e il suo consolidarsi; poi, grazie a stimoli appropriati, ciò che è stato fissato nel sistema può essere reso  nuovamente attivo o evocato nella ripetizione. Il formarsi di ogni memoria mi appare come un processo di selezione (fra molecole da esprimere e reprimere, sinapsi da rinforzare o deprimere, neuroni da reclutare, circuiti da attivare, ecc.), così come la sua rievocazione (che in genere si accompagna a rinforzo), che può essere considerata una scelta in chiave funzionale.

[4] La definizione logica di una procedura per passi (algoritmo) necessaria e sufficiente all’esecuzione di un’operazione, si riteneva potesse individuare uno schema universale da studiare, prescindendo dalla struttura nella quale l’algoritmo fosse stato eseguito. Su questa base lo studio della memoria, dell’apprendimento e del linguaggio è stato condotto mediante macchine elettroniche da molti studiosi di scienza cognitiva, i quali, pur prescindendo dai vincoli biologici, estendevano i risultati dei propri studi alla mente umana. Una posizione teorica meno “estremistica” è stata ed è sostenuta dagli studiosi che realizzano reti neurali artificiali a più strati, cercando di integrare caratteristiche desunte dalla neurofisiologia umana e dalla neuropsicologia. Si vedano: Philip N. Johnson-Laird, La Mente e il computer. Introduzione alla scienza cognitiva. Il Mulino, Bologna 1988; David Rumelhart & James McClelland, PDP Microstruttura dei processi cognitivi. Il Mulino, Bologna 1991 [per chi abbia interessi specialistici si consiglia l’edizione americana (Parallel Distributed Processing. MIT Press, 1986) in due volumi, tradotta solo in parte nell’edizione italiana]. Edelman si contrappone agli “istruzionisti”, ossia a coloro che considerano il cervello umano come un computer funzionante sulla base di istruzioni, ma anche a tutti coloro che, pur proclamandosi neutrali rispetto alla disputa sulla isolabilità della mente dalla struttura che la produce, di fatto trascurano la specifica origine biologica dei nostri processi psichici. Negli anni Ottanta e Novanta si era nuovamente diffuso un clima culturale che equiparava la mente alla macchina, per i progressi compiuti dalla scienza cognitiva, nata ufficialmente con l’Hixon Symposium del 1948, ma effettivamente sviluppata solo dalla fine degli anni Settanta. In proposito si rimanda all’ottimo volume: Howard Gardner, Mind’s New Science. Basic Books, New York 1985 (Tr. It.: La nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva. Feltrinelli, Milano 1988).

[5] Si fa riferimento ai modelli sviluppati in seno alla neuropsicologia accademica, talvolta spregiativamente definita dai ricercatori “boxes neuropsychology” per la pletora di riquadri (boxes) delle illustrazioni di ipotetici luoghi-funzione, quali i “magazzini” per la memoria di breve termine e di lungo termine.