GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(QUARTA PARTE)

 

 

Nella TSGN la categorizzazione percettiva è il processo che consente a un animale di suddividere il mondo dei segnali, provenienti dal proprio organismo e dall’ambiente, in sequenze che danno luogo a comportamenti adattativi.

Sulla base di tale definizione, che pone l’accento sul fine adattativo, si comprende perché si ritiene che il processo, pur presentando elementi fisiologici comuni fra le varie specie, conservi una sua specificità, più evidente in animali filogeneticamente distanti. Ad esempio, un tavolo potrebbe essere classificato nella categoria degli “oggetti stabili coerenti”[1] allo stesso modo da un essere umano, da un gatto e da uno scarafaggio, ma con esiti decisamente diversi: l’uomo si siede intorno e vi si appoggia, il gatto vi salta su e lo scarafaggio vi riconosce un nascondiglio.

In altre parole, è l’insieme funzionale di quella specie, in base ai propri valori di sopravvivenza, che crea categorie di ciò che percepisce. La suddivisione dei segnali in sequenze adattative non è una semplice elaborazione percettiva come quella della retina e del nucleo genicolato laterale, che inviano informazioni già ben distinte per colori, tonalità, forma e posizioni nello spazio, ma è la base delle risposte selezionate dall’evoluzione per il migliore adattamento di un animale.

Nel sistema nervoso dei mammiferi, la categorizzazione percettiva viene effettuata dalle interazioni tra il sistema sensoriale e quello motorio mediante i mappaggi globali[2].

Per comprendere meglio questo aspetto è necessario precisare cosa intende Edelman per mappa globale e, a questo scopo, è opportuno avere ben presente a cosa ci si riferisca con l’espressione mappa locale, richiamando la concezione neurofisiologica di mappa e di territori ripartiti in mappe, che proviamo a rendere in sintesi con questa definizione: un’organizzazione topologica anatomo-funzionale ordinata con specificità spaziale, nella quale i rapporti fra gli elementi neuronici che la costituiscono riflettono quelli esistenti fra le parti del corpo, o del mondo degli oggetti e dei segnali, alle quali tali elementi si riferiscono nella loro attività[3].

Si può dire che questa forma di organizzazione, tanto familiare a coloro che hanno studiato l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso centrale, corrisponde alle mappe locali del lessico edelmaniano. Non hanno un riscontro così chiaro e definito nella morfologia anatomica le mappe globali, che si costituiscono funzionalmente mediante l’interazione di mappe locali, connesse da rientro multiplo, con circuiti e sistemi, come quelli dell’ippocampo, dei nuclei della base e del cervelletto, non organizzati in mappe e in grado di creare cicli di collegamento fra gli eventi selettivi locali e il comportamento motorio dell’animale[4]. In altri termini, possiamo dire che la mappa globale è la base morfo-funzionale di un ciclo dinamico che pone costantemente in rapporto il prodotto delle operazioni di singole aree specializzate con l’attività globale del sistema nervoso centrale.

Un esempio particolarmente felice è fornito dal sistema visivo, per il quale sono state descritte fino a 33 mappe corticali distinte, ciascuna delle quali elabora un carattere dello stimolo (colore, forma, movimento, orientamento, ecc.) e coopera attraverso il rientro ad una sintesi percettiva che fornisce un supporto al processo di categorizzazione dal quale dipende la risposta complessiva dell’animale, che si basa sulle nuove informazioni che integrano la memoria dei processi locali e globali precedenti. La teoria ipotizza che ciascuna mappa locale e globale si attivi sempre per la propria funzione specifica, ma i gruppi neuronici che di volta in volta rispondono all’interno di ciascuna mappa non sono sempre gli stessi per la degenerazione che si attribuisce al sistema: in tal modo noi potremmo tracciare per ogni ciclo di categorizzazione percettiva un collegamento identico fra mappe che, però, non è costituito sempre dagli stessi neuroni. Come vedremo in seguito, questa ipotesi è stata vagliata con la costruzione di modelli sperimentali[5].

Un mappaggio globale è, dunque, una struttura dinamica che contiene varie mappe sensoriali, ognuna dotata di differenti proprietà funzionalmente separate e collegate dal rientro[6]. Le mappe sensoriali, a loro volta, sono collegate da connessioni non rientranti a mappe motorie e a sistemi sottocorticali come quello che fa capo ai nuclei della base encefalica (caudato, putamen e pallido) e quello costituito dal cervelletto. Un mappaggio globale ha, come prima funzione, il campionamento associativo del mondo dei segnali con il movimento e l’attenzione, e poi realizza la categorizzazione coerente di questi segnali mediante il rientro e la sincronizzazione dei gruppi neuronici. Il suo ruolo è così sintetizzabile: “Tale struttura, che ha elementi sensoriali e motori, è la base principale per la categorizzazione percettiva nel cervello superiore”[7].

La selezione di gruppi di neuroni all’interno delle mappe locali di una mappa globale conduce, quindi, a specifiche risposte categoriali. Il processo di categorizzazione non è costituito da un programma rigidamente predefinito e posto in esecuzione dagli stessi elementi, come accade in un computer, ma dalla selezione sull’intera mappa globale dei gruppi neuronici che risultano più adatti secondo criteri biologici.

Ma come si determina il funzionamento più adatto?

 

[continua]

 

Il testo, ripartito in parti pubblicate settimanalmente, è una sintesi della trascrizione della registrazione della relazione del professor Perrella che è autore anche delle note, salvo dove è diversamente specificato. Il professor Rossi ha provveduto ai tagli necessari a rendere il testo più snello ed adatto alla lettura da parte di studenti e studiosi non specialisti.

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Gennaio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] L’espressione e l’esempio che segue sono di Edelman.

[2] Il concetto di mappaggio globale, pur essendo dedotto da consolidate nozioni di neurofisiologia, può ritenersi originale della TSGN per il senso che assume nell’economia dell’elaborazione teorica.

[3] E’ utile ricordare che l’organizzazione in mappe è stabile ma non statica, presentando un certo margine di plasticità interna: ad esempio, se si esercitano a lungo due dita di una mano - come è stato fatto in un esperimento classico nell’aoto, una scimmia del Nuovo Mondo - la parte corrispondente a quelle due dita, nella mappa somatomotoria corticale della mano, si espande a scapito di quelle circostanti.

 

[4] Si veda alla p. 141 di Gerald M. Edelman, Sulla Materia della Mente. Adelphi, Milano 1993 (traduzione italiana di Bright Air, Brilliant Fire – On the Matter of the Mind. Basic Books, New York 1992). Per maggiori dettagli si vedano le discussioni su mappe e mappaggi globali in Neural Darwinism. The Theory of Neuronal Group Selection. Basic Books, New York 1987. Nell’esposizione canonica della TSGN si menziona sempre l’ippocampo con il cervelletto e i nuclei della base, accomunandoli nel ruolo di “organi di successione o sequenziamento”; nel tempo, è stato tolto l’accento sul ruolo dell’ippocampo nella scansione delle sequenze: conformemente a questo orientamento, più avanti si riferisce una definizione del mappaggio globale (2004) in cui non si menziona l’ippocampo.

[5] Edelman soleva affermare: “L’esistenza della degenerazione è una previsione della teoria di cui dobbiamo cercare le prove”.

[6] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, p. 42, Einaudi, Torino 2004.

[7] Gerald M. Edelman, Più grande del cielo […], ibidem.