GIUSEPPE PERRELLA ILLUSTRA LA TEORIA DI GERALD EDELMAN

 

 

(TERZA PARTE)

 

 

Le prove sperimentali accumulate nel tempo, ben presto lasciarono pochi dubbi sull’esistenza dei gruppi neuronici[1], ma il loro ruolo come unità di selezione è stato a lungo ritenuto troppo vago e non conciliabile con le evidenze sperimentali che dimostravano una gerarchia geneticamente prestabilita fra strutture dell’encefalo e singoli neuroni della corteccia[2], così come un rigido piano genetico per le grandi connessioni centrali e periferiche del sistema nervoso.

Per comprendere le resistenze incontrate in alcuni ambienti e le obiezioni sollevate da molti ricercatori, si deve tener conto del fatto che la cultura neuroscientifica degli anni Settanta ed Ottanta era notevolmente influenzata dai risultati ottenuti dalla scuola di Roger Sperry, che aveva dimostrato la specificità topografica dell’innervazione degli arti e del collegamento occhio-cervello, e sosteneva la rigida cablatura punto per punto nell’organizzazione di tutto il sistema nervoso. In questa ottica, l’eccesso di neuroni della ridondanza corticale era considerato più come una riserva di cellule reclutabili già differenziate in base all’appartenenza topografica, che la prova dell’esistenza di un repertorio di varianti da selezionare.

E’ opportuno precisare che, in generale, l’idea di Edelman della mente umana quale prodotto di un’evoluzione filogenetica darwiniana, trovava un consenso quasi unanime presso la comunità scientifica; i problemi nascevano con l’interpretazione dell’ontogenesi e del funzionamento cerebrale sulla base della selezione di variazioni prodotte nell’embriogenesi e nella vita post-natale. In altre parole molti si chiedevano come, a partire dalla scelta fra varianti nelle popolazioni neuroniche e sinaptiche, si potesse giungere alla codificazione di tutto il mondo percepito e del pensiero astratto nelle categorie e nelle forme che consentono le molteplici espressioni dell’intelligenza umana.

Nelle prime esposizioni della sua teoria, Edelman era solito cominciare dalla categorizzazione percettiva, ossia un processo che consente all’animale il riconoscimento senza l’ausilio del linguaggio e delle categorie cognitive che questo veicola nella realtà umana. Prendendo le mosse da questa elaborazione della percezione, che segue lo stesso principio nel moscerino della frutta e nei primati, aveva modo di introdurre subito il concetto di degenerazione, chiave logica fondamentale per coniugare la specificità alla capacità potenzialmente illimitata di recepire ed apprendere per selezione delle risposte.

Categorizzazione Percettiva. L’autore della TSGN si chiedeva come facesse un animale, in assenza di categorie a priori, ad attribuire significato a ciò che vede; talvolta diceva: “Come si fa a capire che cos’è un oggetto in un mondo senza etichette?” E poi spiegava che la risposta si trova nella natura classificativa della percezione, della quale proponeva una definizione operativa: “La percezione è provvisoriamente definibile come l’individuazione di un oggetto o di un evento tramite una o più modalità sensoriali separandoli dallo sfondo o da altri oggetti ed eventi”[3]. Come si può notare, una definizione della percezione intesa come riconoscimento e non come semplice rilevazione. Il comportamento di un animale, adeguato a ciò che percepisce, implica che l’animale classifichi il mondo circostante, sviluppando una tassonomia adattativa. Tutto ciò è possibile grazie ad una sorta di codificazione fedele e parzialmente degenerata allo stesso tempo, come quella del codice genetico.

Come è noto, le quattro basi nucleotidiche del DNA (adenina, timina, citosina e guanina, siglate con A, T, C, G) formano delle triplette (ATC, GAA, ecc.) ciascuna delle quali corrisponde ad uno dei 20 aminoacidi che compongono una proteina, ossia lo codifica come se fosse una parola che designa l’aminoacido e, perciò, costituisce una unità del codice o codone (da codon). Se il codice fosse rigidamente univoco sarebbe composto da 20 triplette, invece 61 dei 64 codoni possibili designano i 20 aminoacidi; senza ambiguità, perché una determinata tripletta indica sempre e solo quello specifico aminoacido, ma con “più nomi in codice” per la stessa molecola aminoacidica. Infatti, la terza lettera in molte triplette può essere una qualsiasi delle quattro basi senza che cambi il significato: in questo senso il codice genetico è parzialmente degenerato[4]. Infatti, per degenerazione si intende la capacità posseduta da elementi strutturalmente diversi di un sistema di svolgere la stessa funzione od ottenere lo stesso risultato.

La degenerazione è una proprietà onnipresente nei sistemi biologici, dal livello molecolare a quello cellulare, degli organismi e delle popolazioni, ed è indispensabile perché la selezione naturale possa operare. L’immunologia ci fornisce esempi eloquenti della sua importanza: si pensi ai gemelli monozigoti che hanno una risposta immunitaria simile in presenza di agenti estranei, ma in genere non impiegano la stessa combinazione di anticorpi per rispondere al medesimo agente, perché esistono molti anticorpi strutturalmente diversi che possono essere selezionati per rispondere allo stesso antigene.

Secondo Edelman il cervello è così versatile nella sua capacità di reagire in maniera appropriata agli stimoli perché le sue risposte sono degenerate.

 

[continua]

 

Il testo, ripartito in parti pubblicate settimanalmente, è una sintesi della trascrizione della registrazione della relazione del professor Perrella che è autore anche delle note, salvo dove è diversamente specificato. Il professor Rossi ha provveduto ai tagli necessari a rendere il testo più snello ed adatto alla lettura da parte di studenti e studiosi non specialisti.

 

Giovanni Rossi  

BM&L-Gennaio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La dimostrazione dell’attività simultanea ed omogenea di estesi aggregati di cellule ha dato senso ad una definizione che, oggettivamente, sarebbe rimasta troppo vaga: “… possiamo definire un gruppo neuronale come un insieme di cellule, di tipo simile o diverso, compreso tra le centinaia e le migliaia, strettamente connesse nei loro circuiti e le cui reciproche interazioni dinamiche sono ulteriormente rinforzabili dall’incremento della forza tra sinapsi” (Gerald M. Edelman, Darwinismo Neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali, p.54, Einaudi, Torino 1995; traduzione italiana di Neural Darwinism. The Theory of Neuronal Group Selection. Basic Books, New York 1987). Si noti che gli esperimenti decisivi per la dimostrazione elettrofisiologica dell’esistenza dei gruppi neuronici sono stati pubblicati dopo Neural Darwinism (1987).

[2] Si fa riferimento al controllo gerarchizzato con centri ed aree più rostrali che regolano quelli situati più caudalmente e alla già ricordata ripartizione dei neuroni della corteccia visiva in cellule semplici, complesse ed ipercomplesse, ad opera di Hubel e Wiesel, che furono insigniti del Nobel nello stesso anno di Roger Sperry.

[3] Gerald M. Edelman, Darwinismo Neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali, p. 31, Einaudi, Torino 1995; traduzione italiana di Neural Darwinism. The Theory of Neuronal Group Selection. Basic Books, New York 1987. Di passaggio, ricordiamo l’abitudine di Edelman di impiegare nelle sue lezioni magistrali le stesse definizioni, gli stessi esempi e perfino gli stessi aneddoti riferiti nei suoi libri, con le stesse parole.

 

[4] Ai due estremi possiamo collocare un rapporto fra sistemi completamente degenerato che, conseguentemente, non ha più senso, perché ogni unità dell’uno designa qualsiasi elemento dell’altro, non costituendo più un codice, e un rapporto di codificazione 1:1 definito da una corrispondenza biunivoca rigida, che rappresenta un sistema chiuso per l’eventuale codificazione di elementi nuovi.