LA GIOIA DI DONARE HA LE STESSE BASI DEL PIACERE DI RICEVERE

 

 

 Un gruppo di ricerca, guidato da Jorge Moll, ha condotto uno studio con tecniche di neuroimmagine funzionale allo scopo di identificare le basi neurofisiologiche dell’affetto positivo che accompagna e sostiene la scelta di donare. L’obiettivo, senz’altro ambizioso e passibile delle critiche che si possono rivolgere ad ogni semplificazione sospetta di riduzionismo, ha consentito di ottenere un risultato interessante (Moll J., et al., Human fronto-mesolimbic networks guide decisions about charitable donation. Proc. Natl Acad. Sci. USA 103, 15623-15628, 2006).

Il cervello dei volontari è stato valutato impiegando la metodica di studio funzionale basato sulla Risonanza Magnetica Nucleare (fRMN) in condizioni sperimentali in cui sono state riprodotte circostanze richiedenti la scelta di effettuare donazioni o ricevere ricompense. Schematicamente le prove prevedevano la scansione funzionale del cervello durante le seguenti  decisioni: 1) donare ad un’associazione caritativa (con o senza costi personali), 2) opporsi agli scopi dell’associazione (con o senza costi personali), e 3) ricevere una ricompensa in danaro. Le associazioni caritative erano caratterizzate da scopi associativi quali la tutela dei diritti dei bambini o il sostegno per il ricorso all’aborto e all’eutanasia. 

Ai partecipanti, ai quali si rivolgevano domande sulle donazioni nella vita reale, si chiedeva anche quale fosse il loro atteggiamento mentale verso gli scopi delle associazioni, in una gamma estesa dal sostegno all’opposizione, dalla compassione alla rabbia.

La scansione del cervello durante gli effetti della ricompensa in danaro mostrava attività nel sistema a ricompensa meso-limbico, comprese l’area tegmentale ventrale e lo striato.

Cosa accadeva quando i volontari decidevano di donare?

Si aveva attivazione della stessa rete ad un grado anche superiore. I ricercatori hanno osservato, nel cervello che decide di donare, anche l’attivazione di un altro piccolo gruppo di neuroni nell’area subgenicolata, non attivati nel ricevere denaro ed associati, in precedenti studi, all’attaccamento sociale.

Le decisioni che richiedevano di valutare costi materiali, sia per il sostegno che per l’opposizione ad un’associazione, inducevano attività nella corteccia prefrontale anteriore. E’ interessante notare che in questo caso il livello di attività rilevato alla fMRI era correlato al grado di impegno nelle attività caritative della vita reale dei volontari. Questo dato è coerente con l’ipotesi che attribuisce alla corteccia prefrontale anteriore un ruolo fondamentale nel comportamento altruistico.

La decisione di opporsi ad uno scopo associativo, sia affrontando dei costi, sia gratuitamente, si associava all’attivazione della corteccia orbito-frontale laterale. In precedenti ricerche questa area era stata messa in relazione con risposte negative (aversive responses) quali l’ira e il disprezzo morale, e a tali reazioni, in effetti, si potevano ricondurre gli stati affettivo-emotivi di coloro che avevano scelto di opporsi ad alcuni scopi associativi proposti dai ricercatori.

Sebbene l’interpretazione di questi risultati, come sempre negli studi di localizzazione funzionale mediante neuroimaging, possa non essere univoca, se si adottano i criteri correntemente impiegati dagli autori di tali studi, si deve rilevare che Moll e i suoi colleghi hanno dimostrato l’esistenza di un legame fra comportamento altruistico e sistema a ricompensa cerebrale, così come un’importanza decisiva della corteccia prefrontale anteriore nella risoluzione dei conflitti fra le motivazioni altruistiche e quelle legate all’interesse personale.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Dicembre 2006

www.brainmindlife.org