NUOVE ACQUISIZIONI SUL
FENOMENO DEL “GIA’ VISSUTO”
La sensazione di aver già vissuto
l’esperienza presente, talvolta accompagnata da un lieve turbamento, fastidio o
sgomento, è convenzionalmente indicata con l’espressione coniata nel 1876 dal
medico francese Emile Boirac: Déjà vu.
Durante il fenomeno, l’attenzione
del soggetto può riguardare parole che si ha l’impressione di aver già sentito,
scene che si ha l’impressione di aver già visto, comportamenti o movimenti di
persone che sembra si stiano svolgendo come in un prevedibile replay. In
genere, le persone interrogate sulle caratteristiche soggettive di questa
esperienza, pur differendo nel riferire aspetti diversi, sono accomunate dal
porre l’accento sulla consapevolezza che il presente appaia come una ripetizione.
Proprio questa sensazione di
ripetizione in alcune persone, soprattutto giovani e bambini, si accompagna ad
un fastidio, una sorta di nausea. Altre volte si vive, durante il déjà vu, un’esperienza di estraneazione o
di spaesamento. Chi scrive, ha rilevato, nelle interviste condotte
personalmente, che il cambiamento qualitativo dello stato di coscienza si
esprime con un distacco più o meno lieve dalla partecipazione al contesto. Questo
distacco pone il soggetto in una posizione quasi esterna, da spettatore. E’
come se la diretta e inconsapevole influenza emozionale dell’ambiente fosse per
un attimo sospesa: proprio nell’istante in cui la persona “sente” ciò che sta
vivendo come ripetitivo, prevedibile, quasi artificiale.
Se è vero che questo fenomeno può
riguardare tutti, bisogna ricordare che è anche presente e caratteristico come “aura”
di crisi di epilessia del lobo temporale.
Questo dato, insieme con la
frequenza più elevata in età evolutiva, in passato aveva fatto ipotizzare uno
stretto legame del fenomeno con una “immaturità” circoscritta ad alcune aree
cerebrali, e si era anche proposto che il difetto fosse da imputare alla glia.
Sebbene la tendenza attuale sia
quella di supporre una patogenesi unitaria per il fenomeno in tutte le
condizioni, normali o patologiche, non è detto che questa impostazione sia
corretta.
Attualmente si sa che la percentuale di persone in una popolazione che riferisce di aver fatto almeno una volta questa esperienza, è sempre alta in tutti gli studi pubblicati, andando dal 50 al 90% delle persone intervistate.
Uwe
Wolfradt (Strangely Familiar. Scientific American MIND, Vol. 16, No 1, 32-38,
2005) propone in
una chiara sintesi divulgativa l’evoluzione del pensiero scientifico sul déjà vu.
Lo studio delle basi neurali del
processo ha avuto tre tappe storiche importanti:
1) gli esperimenti di stimolazione
diretta della corteccia di Wilder Penfield negli anni Cinquanta (ripetuti solo
in parte al Centro Paul Broca di Parigi nel 1994);
2) la teoria della doppia percezione
di Robert Efron del 1963;
3) gli studi di John Gabrieli alla
Stanford University, pubblicati nel 1997.
La ricerca condotta da Gabrieli
consentiva di stabilire che, mentre l’ippocampo svolge un ruolo cruciale nel
processo di rievocazione cosciente di episodi vissuti, la circonvoluzione
paraippocampica è in grado di consentire la distinzione fra familiare e non-familiare,
senza bisogno di riferirsi ad un episodio concreto.
Da questi studi è venuta la teoria
paraippocampica del déjà vu.
Dopo queste ricerche, si è
supposto l’intervento di numerose aree cerebrali nello sviluppo del sintomo.
A due anni di distanza, rimane tra
le migliori rassegne sull’argomento la review di A. S. Brown, cui si rimanda il
lettore specialista (A Review of the Dejà Vu Experience. Psychological Bullettin
129, 394-413, 2003).
Attualmente si ritiene che la
risoluzione dei numerosi problemi che pone la ricerca neurofisiologica sul déjà vu, potrebbe aiutare a comprendere
come il cervello riesca a costruirsi un’immagine coerente della realtà
circostante.