LA FRODE DELLE CASE FARMACEUTICHE MEDIANTE AUTORI-FANTASMA

 

 

A maggio dello scorso anno, la pubblicazione di uno studio statunitense aveva reso noto che le ricerche gestite e finanziate dalle aziende, rispetto a quelle condotte da enti scientifici pubblici, avevano maggiori probabilità di esito positivo e di risultati favorevoli a prodotti esaminati. Il lavoro, che dimostrava l’influenza degli interessi economici sul grado di attendibilità di una sperimentazione, nonostante una certa risonanza mediatica nei paesi di lingua inglese, non aveva particolarmente attratto l’attenzione degli addetti ai lavori, sia perché tale bias è nota da tempo, sia perché molti ricercatori sono già a conoscenza del modo in cui è ordita una vera e propria frode ai danni della comunità scientifica e di tutti i destinatari diretti o indiretti degli esiti di una sperimentazione.

Si tratta del problema degli “autori-fantasma”, cioè di studiosi legati a case farmaceutiche o biotecnologiche, che a vario titolo partecipano al lavoro che sarà pubblicato, ma non figurano fra gli autori.  

Peter C. Gøtzsche e colleghi del Nordic Cochrane Centre di Copenhagen, del Centre for Statistics in Medicine di Oxford e del Medicine Department della University of Toronto, hanno affrontato il problema in un lavoro recentemente pubblicato on-line (Gotzsche P. C. et al. Ghost Authorship in Industry-Initiated Randomised Trials. PloS Med. 4 (1): e19 [Epub ahead of print] 2007).

Lo studio ha confrontato i protocolli di ricerca approvati in Danimarca dalla commissione scientifica ed etica nel 1994-1995, con le rispettive pubblicazioni avvenute al termine dei lavori. Il finanziamento proveniva da grandi multinazionali farmaceutiche in 43 dei 44 casi e, nello studio rimanente, da un’azienda danese.

Gøtzsche e collaboratori hanno definito operativamente “autore fantasma” colui il quale pur avendo, in toto o in parte, redatto il protocollo, realizzato le analisi statistiche o scritto il testo della pubblicazione, non sia stato incluso né fra gli autori dell’articolo, né fra i membri del gruppo di studio, né in un comitato di redazione, e nemmeno nei ringraziamenti in calce.

Di 44 studi esaminati con questo criterio, 33 (75%) presentavano autori-fantasma. Ma se si consideravano quei casi in cui una persona con competenze e ruolo di autore era solo menzionato nei ringraziamenti, il numero saliva a 40, cioè il 91% dei trials clinici. In 31 degli studi esaminati, gli autori-fantasma erano degli statistici che avevano contribuito a definire il campione ed analizzare i risultati, negli altri casi si trattava di science writers, ossia di scrittori professionisti nel campo dell’informazione scientifica. In tutti i casi i “fantasmi” avevano rapporti di lavoro remunerato con le aziende.

L’indagine di Peter C. Gøtzsche e colleghi ha quindi accertato che titolari di compiti inerenti alla ricerca o alla sua pubblicazione, legati da interessi economici all’azienda finanziatrice, scompaiono nel documento di presentazione del lavoro alla comunità scientifica, dove figurano quasi esclusivamente nomi di clinici, la maggior parte dei quali operante in istituti universitari ed enti pubblici.

Ngai, con un gruppo guidato da Paula Rochon del centro per le cure geriatriche dell’Università di Toronto, si era già occupato del problema della presenza di autori-fantasma nelle pubblicistica medico-scientifica, soprattutto nell’ottica della protezione dei pazienti da problemi derivanti dalla manipolazione occulta della sperimentazione (Ngai S. et al. Haunted manuscripts: ghost authorship in the medical literature. Account Res. 12 (2), 103-114, 2005).

In anni recenti JAMA, che come altre autorevoli riviste mediche ha pubblicato studi sulle frodi nella sperimentazione clinica e nelle indagini epidemiologiche, ha più volte denunciato e discusso il rischio che si ingannino i medici sulla reale efficacia di un farmaco o sul grado di probabilità che si sviluppi malattia in una data condizione. Esemplare in proposito un lavoro che smascherava l’intervento occulto delle multinazionali del tabacco nella realizzazione di indagini epidemiologiche che minimizzavano il rischio del fumo di sigaretta. L’alto rischio di sviluppare cancro del polmone nei fumatori e l’effetto cancerogeno di alcuni composti contenuti nel fumo di sigaretta, erano nozioni incluse nei trattati di medicina fin dagli anni Settanta, ma la suggestione legata all’autorevolezza di alcuni prestanome che firmavano gli articoli e delle riviste che li pubblicavano, avrebbero potuto indurre in errore anche professionisti della sanità.

Peter Gøtzsche e i suoi colleghi danesi, inglesi e canadesi, dopo aver osservato che al loro metodo di indagine possono essere sfuggiti altri protagonisti occulti ed altre alterazioni, concludono affermando che queste gravi e pericolose manipolazioni, condotte nel rispetto solo formale della legalità, potrebbero essere evitate semplicemente obbligando all’osservanza delle linee-guida già esistenti e rendendo pubblici i protocolli.

Noi aggiungiamo che i responsabili delle riviste dovrebbero rifiutare la pubblicazione di studi i cui autori, legati da interessi economici ai finanziatori, siano sostituiti in corso d’opera da altri; e vorremmo che gli enti preposti alla sorveglianza sull’integrità nella ricerca disponessero accertamenti qualora tale rifiuto non fosse opposto, e si facessero carico di denunciare alle autorità competenti gli eventuali episodi di corruzione venuti a loro conoscenza.   

 

Giovanni Rossi

BM&L-Aprile 2007

www.brainmindlife.org