GLI ERRORI
DI “MENTE E CERVELLO” E GLI NMDA
In genere non diamo conto ai visitatori del nostro sito dell’enorme mole di errori concettuali e materiali su argomenti scientifici che ogni giorno è possibile leggere nella pubblicistica italiana. In questo caso faremo un’ eccezione, sia per la gravità degli errori, sia perché il periodico “incriminato”, ossia “Mente & Cervello”, nasce da una costola di “Le Scienze”, la migliore rivista di divulgazione scientifica in Italia.
A pagina 10 dell’ultimo numero, sotto il titolo
“L’interruttore dei neuroni” si legge: “Quante volte ci è capitato di
innervosirci perché il computer si è bloccato e non risponde più ai comandi?
Per fortuna c’è un tasto, quello di reset, che consente, al prezzo di una
piccola perdita di tempo, di fare punto e a capo e ricominciare”. Chi legge
queste parole è indotto a credere che sia stato scoperto un meccanismo che
interviene quando la trasmissione neuronale si blocca. Niente di tutto ciò. Più
avanti, provando a descrivere il processo in questione, assolutamente estraneo
alla metafora del computer bloccato, si fa di peggio. Per indicare la riduzione
dei recettori NMDA espressi sulla membrana, si impiega il termine “sfoltimento”
e si spiega che l’NMDA è un neuromediatore (!). Cioè si indica come trasmettitore
un recettore: non è necessario scomodare le teorie della comunicazione
per rendersi conto della catastrofica inversione concettuale.
Vediamo a cosa si riferiva questo terribile pasticcio. Sul
numero di “Neuron”del 30 ottobre 2003 è stato pubblicato un lavoro condotto
presso i laboratori della Duke University di Durham che dimostra una base
molecolare del fenomeno detto “plasticità omeostatica”. I neuroni impiegano
varie modalità per regolare la neurotrasmissione, ad esempio producendo e
rilasciando una maggiore quantità di neurotrasmettitore, oppure ricaptando una
parte di quello già rilasciato, riducendo la quota che agisce sul recettore.
Queste due modalità sono tipiche del neurone che trasmette l’impulso, detto pre-sinaptico.
La regolazione può essere attuata anche dal neurone che riceve l’impulso, detto
post-sinaptico, ad esempio riducendo i suoi recettori (in questo caso
gli NMDA) e, in tal modo, diminuendo l’effetto della stimolazione. La
“plasticità omeostatica” consiste, in questo caso, in una modificazione
“plastica” che adatta la struttura ad un’esigenza funzionale diversa. Ad
esempio, l’eccessiva stimolazione di cellule nervose che esprimono NMDA
potrebbe risultare tossica per la cellula o entrare in conflitto con gli
equilibri dei vari sistemi di neuroni nel cervello: quando non è possibile
ridurre l’attività del neurone eccitatore, come estremo rimedio al pericolo che
si determina, viene ridotto il numero dei recettori sensibili alla sua
stimolazione. Nelle fasi avanzate di patologie neurodegenerative come la
malattia di Alzheimer o il morbo di Parkinson, questa capacità di regolazione
si perde, con il conseguente aggravamento del danno neuronale. Bisogna dire che
la plasticità omeostatica prevede anche il caso opposto, ossia l’aumento del
numero dei recettori sulla membrana del neurone ricevente per aumentare gli
effetti di una stimolazione debole.
Non era tanto difficile da spiegare: il problema è che per
farlo bisogna aver capito. Non si tratta della scoperta di un “interruttore”,
né di un pulsante di sblocco, ma dello studio di uno dei meccanismi molecolari
di un sistema che modula gli effetti della neurotrasmissione. In fondo,
se proprio si voleva descrivere il processo in un linguaggio figurato per
facilitare la comprensione, lo si sarebbe potuto rappresentare come il coprirsi
le orecchie per una stimolazione sonora troppo forte - non potendo ridurre il
volume si riduce la recezione - e, viceversa, il tendere l’orecchio con la mano
accostata al padiglione per raccogliere un suono troppo debole. Ma è davvero
necessario impiegare queste rappresentazioni per spiegare concetti scientifici,
finendo spesso per forzare e deformare il contenuto, o non si tratta piuttosto
di una moda corrente nello stile della divulgazione scientifica? Se si
da un’occhiata ai libri di scuola che si adoperano alle scuole medie, ad
esempio, ci si rende conto che quotidianamente i ragazzi di quell’età devono
apprendere una grande quantità di concetti astratti senza l’ausilio di paragoni
e metafore descrittive; perché, dunque, si deve coltivare il pregiudizio che i
lettori di riviste come “Mente & Cervello”, fra cui docenti di liceo e di
università, abbiano bisogno di queste figure stereotipe, peraltro spesso
inappropriate o addirittura fuorvianti?
Il pregiudizio secondo cui il dato scientifico per essere divulgato deve essere alterato, si applica anche alle immagini. Ad esempio, a pagina 89, un’immagine del cervello ottenuta mediante risonanza magnetica funzionale è stata manipolata accentuando alcuni particolari della corteccia cerebrale, al fine di renderli più evidenti. E’ scritto che l’immagine è stata “esaltata graficamente”. Il cattivo italiano rende ancora più oscura la realtà. Sarebbe stato più corretto ed efficace pubblicare l’immagine integra, affiancandole una schematica che ne aiuti la lettura, cioè una sagoma della stessa figura con la zona di interesse in colore, come in genere si fa sui libri di testo. Con il duplice risultato di aver mostrato una vera immagine di un cervello ottenuta con quella tecnica ed aver indicato con chiarezza e precisione l’area cui ci si riferisce. Al contrario, è stata pubblicata un’immagine che non è né un disegno, né un referto: inutile sia a chi non conosce la topografia della corteccia che agli esperti di immagini cerebrali.
Si potrebbe continuare criticando i titoli da giornale scandalistico o le fotografie che non illustrano il testo e, spesso, contribuiscono allo scadimento del valore complessivo della pubblicazione, ma ci fermeremo, rimandando ogni altra considerazione ad un’occasione di dibattito sul tema-problema della diffusione e della didattica della scienza in Italia.