ERNST MAYR A CENTO ANNI
INSEGNA ANCORA
Mito
vivente della biologia evoluzionistica, grande protagonista della sintesi
teorica di mendelismo e darwinismo, Ernst Mayr ha festeggiato il suo centesimo
compleanno il 5 luglio di quest’anno e, in questi giorni, vede l’uscita del suo
ultimo libro: What Makes Biology Unique. Si tratta del suo ventiseiesimo saggio e dell’ultima -si spera solo in
ordine di tempo- lezione di rigore scientifico in una veste di lucida e
semplice analisi razionale.
Non sono
eccezionali solo i suoi cento anni con un cervello da brillante cattedratico di
mezza età, ma tutta la sua biografia è costantemente caratterizzata da eventi
fuori dal comune.
Pubblica il primo
articolo scientifico a 19 anni quando, lasciata la facoltà di medicina, si
dedica all’ornitologia. A 22 anni ottiene il dottorato a Berlino, completato il
quale si trasferisce negli Stati Uniti all’American Museum of Natural History,
acquisendo in breve una straordinaria fama presso la comunità scientifica
internazionale.
A 28 anni aveva
già descritto 26 nuove specie e 410 nuove sottospecie di uccelli, più di quanto
avesse fatto qualsiasi altro ornitologo suo contemporaneo e molti di essi messi
insieme. Nel 1942 pubblica Systematics and the origin of species, che
riformula il concetto di speciazione, getta nuove basi per la sistematica
evoluzionista e lo consacra definitivamente come prosecutore dell’opera di
Charles Darwin. Non molti sanno che il concetto di appartenenza a specie
diverse così come ancora oggi lo si insegna a scuola, ossia basato
sull’infertilità dell’accoppiamento, fu concepito proprio da Mayr.
Grande
decisionista, era insofferente dell’ottusa lentezza dei teorici della scienza,
almeno tanto quanto era paziente osservatore ed interprete dei fenomeni
naturali. Forse queste caratteristiche lo portarono spesso ad intraprendere e
fondare. Nel 1946 fonda la Society for the Study of Evolution, nel 1947 assume
la direzione della rivista Evolution da lui stesso promossa.
Quando decise di
dedicarsi alla filosofia scientifica, fra lo scetticismo e la sufficienza dei
filosofi di professione, realizzò quella monumentale Storia del pensiero
biologico che ancora oggi si considera pietra miliare ed imprescindibile
riferimento nel dibattito teorico sulle scienze della vita.
Non si deve
dimenticare che un grande maestro di “metodo nelle scienze” come il
neurobiologo Steven Rose (si veda: “Cinque modi di vedere una rana” in Steven Rose, Linee
di Vita, Garzanti, 2001) assume
proprio la sua lezione quando spiega che le diverse branche della biologia
forniscono “livelli” diversi di spiegazione dei fenomeni. Infatti fu Mayr,
quando imperversava il riduzionismo della biologia molecolare che tendeva a
cancellare ogni altro tipo di spiegazione, a proporre la distinzione fra biologia della cause prossime (secondo il metodo della biologia molecolare) e biologia della cause remote (come quella evoluzionistica).
Chi scrive non
può dimenticare l’intervento di Ernst Mayr nell’acceso dibattito fra i due
giganti della biologia evoluzionistica degli anni Ottanta e Novanta, Stephen J.
Gould e Richard Dawkins. Mayr, già ultraottantenne, spiegò ad entrambi con
chiarezza le parti erronee delle rispettive posizioni, persuadendoli con la
semplice coerenza logica dei suoi argomenti: sembrava di ascoltare Darwin in
persona.
In conclusione mi
piace ricordare una sua perla di saggezza: “Abbiamo il dovere di essere intelligenti, perché esserlo
ci aiuta a rispettare gli altri. Ma ne abbiamo anche il diritto, perché è il
modo migliore per rispettare noi stessi.”
BM&L-Ottobre 2004