EPIGENETICA DEGLI ABUSI SUBITI NELL’INFANZIA

 

 

Le persone che sono state vittime di abusi sessuali durante l’infanzia, talvolta rimangono segnate da una tendenza ansioso-depressiva che ne condiziona tutta la vita. Questa circostanza è ben nota in psichiatria, e la sua base neurobiologica è stata messa in relazione con le alterazioni epigenetiche indotte da precoci esperienze di stress negli animali di laboratorio, ma finora non era stato possibile verificare nel cervello umano l’esistenza di tali alterazioni. Michael Meaney e collaboratori del Douglas Mental Health University Institute di Montreal in Quebec (Canada), che precedentemente avevano condotto studi nei roditori dimostrando che lo stress induce la metilazione del gene promotore del recettore dei glucocorticoidi[1] nei neuroni dell’ippocampo, hanno ora trovato una conferma nello studio di un campione umano (McGowan P. O., et al. Epigenetic regulation of the glucocorticoid receptor in human brain associates with childhood abuse. Nature Neuroscience 12 (3), 342-348, 2009).

Gli abusi e le violenze sessuali su bambini e ragazzi (T74.2, del DSM-IV-TR, e V61.21, dell’ICD-9) sono crimini orrendi che, oltre a condizionare in vario modo lo sviluppo psichico e la psicologia delle vittime, sono causa di varie conseguenze patologiche che possono assumere la forma  di un disturbo post-traumatico da stress (PTSD) nella sua forma cronica, di altre sindromi dello spettro del trauma, oppure limitarsi a causare una più larvata alterazione di fondo del normale equilibrio fra sistemi che assicurano l’omeostasi emozionale di base. Questa forma di scompenso lieve è spesso ignorata dallo stesso soggetto, che talvolta la assimila ad una tendenza del proprio temperamento. Infatti, poiché la valutazione diagnostica di questo stato non si basa su un quadro obiettivo di segni, un limite notevole per l’accertamento è costituito dal grado di consapevolezza della persona affetta, dalla tipologia dello stile soggettivo nella conoscenza di sé, e dal possesso di adeguati strumenti di esperienza e di conoscenza per valutare il proprio stato. Per questo motivo, la psichiatria molecolare presta la massima attenzione agli studi neurobiologici volti a stabilire parametri sicuri per riconoscere alterazioni neurofunzionali che, trattate precocemente, potrebbero migliorare la qualità della vita e prevenire gli sviluppi più gravi.

E’ noto che le cure materne influenzano la funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA, da hypothalamic pituitary adrenal) nel ratto, mediante la programmazione epigenetica dell’espressione del recettore dei glucocorticoidi. Nella realtà umana, si è rilevato che l’abuso sessuale nell’infanzia altera la risposta HPA allo stress e aumenta il rischio di suicidio. Su questa base, i ricercatori canadesi hanno studiato post-motem le differenze epigenetiche nel promotore di un recettore per i glucocorticoidi specifico dei neuroni (NR3C1), nell’ippocampo di persone con una storia di abusi sessuali nell’infanzia che si erano suicidate. Il confronto, oltre che con controlli normali, è stato effettuato con persone che si erano suicidate ma non avevano subito abusi.

Nei neuroni provenienti dall’ippocampo delle vittime di abusi sono stati trovati livelli ridotti di mRNA del recettore dei glucocorticoidi, così come degli mRNA trascritti che portavano la variante 1F del recettore, mentre si rilevava un aumento della metilazione della citosina di un promotore di NR3C1. La simulazione dello stato di metilazione nei campioni provenienti dalle vittime di abusi, mostrava un ridotto legame del fattore di trascrizione NGFI-A e della trascrizione genica inducibile da NGFI-A.

Questi risultati forniscono per la prima volta nell’uomo una conferma degli esiti della sperimentazione animale, suggerendo l’esistenza di un meccanismo comune a tutti i mammiferi, mediante il quale le cure genitoriali influenzano positivamente la regolazione epigenetica dell’espressione ippocampale del recettore dei glucocorticoidi.

La pubblicazione di questo lavoro ha attratto l’attenzione di molti e suscitato commenti ripresi dagli organi di informazione. Jaak Panksepp della Washington State University ha commentato con ammirazione che questo studio “estende il lavoro negli animali sulla regolazione dello stress agli esseri umani in un modo drammatico…” (New York Times). Chi ha invece considerato i risultati sotto un altro aspetto, ossia quello delle alterazioni cerebrali di lungo termine indotte da esperienze precoci, non si mostra particolarmente sorpreso, come ha osservato lo stesso Meaney, professore del Douglas Mental Health University Institute, che ha diretto gli autori del lavoro: “Se sei un operatore della salute pubblica o uno psicologo dell’infanzia puoi dire che questo non dimostra nulla che tu non sapessi già.” (BBC News).

Eric Nestler, professore alla Mount Sinai School of Medicine di New York, ha affermato che il dato cruciale emerso da questo studio è che, come negli animali, nella nostra specie i cambiamenti epigenetici “possono essere un importante meccanismo mediante il quale l’esposizione all’ambiente causa modificazioni comportamentali di lungo termine” (ScienceNOW).

Jonathan Mill dell’Institute of Psychiatry di Londra ha sottolineato che i cambiamenti epigenetici, pur essendo di lungo termine e potenzialmente permanenti, sono in realtà reversibili (BBC News).

Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, ha fatto rilevare che le conseguenze fisiologiche e patologiche dei cambiamenti indotti da esperienze traumatiche o da condizioni di stress in grado di determinare una rottura dei normali equilibri neurofunzionali, riguardano tutto l’organismo incidendo, come hanno accertato gli studi nel campo della psiconeuroimmunologia, sulla risposta alle infezioni, sulla sorveglianza immunitaria, sulla suscettibilità allo sviluppo di patologia cardiovascolare, oncologica, ecc. (BM&L-Italia).

In proposito Meaney ha osservato: “Gli individui abusati sono meno sani nell’età adulta” (ScienceNOW). L’esatta comprensione dei processi che determinano questi effetti di maggiore vulnerabilità potrebbe condurre ad efficaci terapie non farmacologiche, secondo Perrella e lo stesso Meaney, che ha proposto a Nature News un auspicio in forma di interrogativo: “Un evento sociale ti ha indotto in questo stato. Può un evento sociale tirarti fuori?”

 

Giovanni Rossi

BM&L-Aprile 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE E COMMENTI]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nella fisiologia umana l’azione del cortisolo corrisponde a quella dei vari steroidi con attività glucocorticoide dei roditori.