UN ENZIMA IPPOCAMPALE PER LA MEMORIA CORTICALE

 

 

Una concezione ormai consolidata sulle basi anatomofunzionali della memoria, attribuisce ai sistemi dell’ippocampo un ruolo cruciale nell’apprendimento di nuove informazioni e alla corteccia cerebrale la funzione di sede definitiva in cui si conserva la memoria di lungo termine. Una tale dicotomia si è rivelata, però, troppo schematica per descrivere la complessità emersa dalla sperimentazione e per rispondere ai numerosi quesiti sulle singole tappe che portano alla conservazione stabile di ciò che si è appreso. In particolare, poco è noto circa i meccanismi che consentono di preservare la memoria.

Uno studio condotto da Dudai, in collaborazione con Shema e Sacktor, ha ottenuto risultati molto interessanti mediante l’inibizione di PKMζ (protein kinase ), un enzima ritenuto fondamentale per il mantenimento, nell’ippocampo, del potenziamento di lungo termine (LTP) e della memoria spaziale (Shema R., Sacktor T. C. & Dudai Y. Rapid erasure of long-term memory associations in the cortex by an inhibitor of PKMζ. Science 317, 951-953, 2007).

I tre ricercatori hanno studiato la memoria di lungo termine del ratto mediante un paradigma di “avversione al gusto” per effetto di condizionamento.

I ratti, in genere, preferiscono all’acqua pura una soluzione diluita di saccarina, ma se, subito dopo aver ingerito la bevanda dolce, ricevono un’iniezione di cloruro di litio che induce nausea (fase condizionante del paradigma), sviluppano avversione al gusto del dolcificante. I ricercatori hanno indotto e verificato la formazione di questa memoria condizionata (fase di verifica del paradigma), poi, alcuni giorni dopo, quando la fase di immagazzinamento era avvenuta, in una parte dei ratti hanno infuso un inibitore (ZIP) di PKMζ nei neuroni della corteccia insulare, struttura che elabora, fra le altre informazioni, quelle relative al gusto.

I topi trattati con ZIP perdevano il ricordo della nausea associata alla soluzione di saccarina, e continuavano a preferirla, come è stato riscontrato nelle verifiche successive, anche a distanza di una settimana e, poi, di un mese. Verosimilmente l’inibitore dell’enzima ippocampale, iniettato nella corteccia, determinava la perdita di lungo termine dell’avversione condizionata. I ricercatori hanno provato a definire l’intervallo di efficacia dell’inibitore con una serie di esperimenti che hanno fatto registrare il blocco della memoria anche varie settimane dopo il condizionamento, con un’insorgenza a circa 2 ore di distanza dalla somministrazione.

Ottenuti questi risultati, si è cercato di stabilire quando, dopo un singolo trattamento con ZIP, la memoria sarebbe stata recuperata; ma, in tutte le verifiche successive, il ricordo della nausea sembrava definitivamente perduto. Allora si è provato a richiamarla con una nuova iniezione di cloruro di litio (reminder), ma anche in questo caso la cancellazione è parsa senza appello.

In esperimenti successivi è risultato che ZIP era in grado di abolire, allo stesso tempo, la memoria per due diversi stimoli condizionati, indicando che questo inibitore non è specifico per un tipo di memoria.

I ricercatori si sono chiesti se ZIP agisse effettivamente cancellando la memoria mantenuta grazie a PKMζ o non producesse i suoi effetti arrecando un danno alla corteccia insulare. Per verificare questa ipotesi hanno provato a condizionare l’avversione per un altro gusto nei ratti già trattati con ZIP. L’esperimento ha avuto esito positivo, dimostrando che i roditori immemori della nausea associata a saccarina, potevano imparare ad evitare selettivamente un altro gusto. Dunque, ZIP non danneggia la corteccia e PKMζ non è implicato nella codifica di nuove memorie nella corteccia insulare.

Complessivamente, questo studio indica che la conservazione di memorie di lungo termine nella corteccia richiede un mantenimento costante, in cui PKMζ ha un ruolo cruciale. Tale funzione probabilmente consiste nel sostenere l’attività sinaptica dei neuroni corticali, in un processo analogo a quello che si verifica nell’ippocampo.

Questi risultati, che non escludono l’intervento di altri meccanismi, rivelano un processo comune all’ippocampo e alla neocorteccia nella conservazione di un pattern di funzione cellulare corrispondente all’esperienza che diviene memoria. Ulteriori studi potrebbero verificare se PKMζ interviene nella conservazione del ricordo in altre aree della corteccia cerebrale e nei processi di formazione e mantenimento di altre forme di memoria.

 

L’autrice della nota ringrazia i soci che hanno condiviso lo studio dell’argomento e corretto la bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Ottobre 2007

www.brainmindlife.org