DUE NUOVI APPROCCI ALLA TERAPIA DELL’ALZHEIMER

 

 

Agli incontri periodici dei gruppi di studio di BM&L sulla malattia di Alzheimer, sono stati presentati e discussi risultati veramente deludenti della sperimentazione clinica di vari agenti diretti a contrastare il danno provocato dai peptidi β-amiloidi tossici (Aβ) su pazienti in fase avanzata, ma due studi recenti propongono nuove possibilità che sembrano promettenti (1. Du H., et al. Cyclophilina D deficiency attenuates mitochondrial and neuronal perturbation and ameliorates learning and memory in Alzheimer’s disease. Nature Medicine 14, 1097-1105, 2008; 2. Schilling S., et al. Glutaminyl cyclase inhibition attenuates pyroglutamate Aβ and Alzheimer’s disease-like pathology. Nature Medicine 14, 1106-1111, 2008).

Come è noto, una notevole mole di dati supporta la tesi del ruolo-chiave svolto dai peptidi Aβ nei processi neurotossici e nel declino cognitivo della malattia di Alzheimer, ma sembra che l’attuale conoscenza dei meccanismi molecolari del danno sia ancora carente, per questo in molti laboratori si prosegue nello studio dei processi che seguono le tappe già note, cercando di individuare gli eventi decisivi per la progressione neurodegenerativa. I gruppi di Du e Schilling hanno approfondito lo studio di due aspetti dei meccanismi patogenetici, ottenendo risultati interessanti ed identificando nuovi bersagli per l’azione farmacologica.

Uno dei modi in cui si ritiene che i peptidi contribuiscano alla patogenesi della malattia è l’alterazione della funzione mitocondriale. Un gruppo di ricercatori del laboratorio di Shi Du Yan, afferente al Department of Surgery del College of Physicians and Surgeons della Columbia University a New York, ha accertato che i peptidi Aβ interagiscono con la proteina ciclofilina D (CYPD o CypD), in campioni di tessuto cerebrale di pazienti affetti dalla malattia e nei mitocondri corticali di topi transgenici esprimenti in eccesso una forma mutante della APP (amyloid precursor protein) umana. Ricordiamo che la CYPD (codificata da Ppif) è parte integrante del poro di transizione della permeabilità mitocondriale, la cui apertura porta alla morte cellulare.

La sperimentazione ha rivelato che l’interazione Aβ mitocondriale-CYPD è responsabile dell’accresciuta produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e della riduzione del potenziale di membrana mitocondriale, con conseguente stimolo  al rilascio del citocromo C e all’apoptosi. In sintesi, i ricercatori della Columbia University hanno rilevato che l’interazione potenzia lo stress mitocondriale, neuronale e sinaptico.

I neuroni mancanti di CYPD o trattati con un inibitore di questa proteina (ciclosporina A) si sono mostrati resistenti alle azioni lesive mediate dai peptidi Aβ, quali il rigonfiamento mitocondriale, l’apertura del poro di transizione, la produzione di ROS e l’apoptosi. Confrontando le prestazioni di topi privi di CYPD ed esprimenti APP umana con quelle dei topi di controllo, i ricercatori hanno rilevato che l’assenza della ciclofilina migliorava significativamente le prestazioni di memoria ed apprendimento spaziale compromesse dall’iperespressione della APP umana mutata. In particolare, nei modelli murini di malattia di Alzheimer, si è rilevato che la deficienza di CYPD migliorava la funzione sinaptica ed alleviava la riduzione del potenziamento di lungo termine (LTP) tipica della neurodegenerazione sperimentale.

Questi risultati suggeriscono che bloccare la CYPD potrebbe essere un’utile strategia per ridurre la disfunzione mitocondriale Aβ-mediata e il declino cognitivo che si verifica con la progressione della malattia.

Nel secondo studio, Schilling e collaboratori del Probiodrug AG di Halle in Germania, hanno indagato la produzione di peptidi Aβ-pE (pyroglutamate (pE)-modified Aβ peptides), ritenuti particolarmente importanti nella patogenesi per le loro caratteristiche, fra le quali spicca un’elevata tendenza all’aggregazione. Studi precedenti avevano infatti dimostrato che a causa della loro abbondanza, resistenza alla proteolisi, rapida aggregazione e neurotossicità, i peptidi troncati all’estremo N-terminale, e in particolare le forme Aβ-pE, possono avere un ruolo importante nell’avvio della cascata di eventi che porta alla degenerazione alzheimeriana.

I ricercatori hanno accertato che i peptidi Aβ-pE sono prodotti dalla glutamil ciclasi che catalizza in vivo la formazione di pE N-terminale. Confrontando campioni di tessuto cerebrale provenienti da pazienti affetti dalla malattia neurodegenerativa con omologhi preparati provenienti da persone con invecchiamento fisiologico, hanno poi rilevato che l’enzima glutamil ciclasi e il suo prodotto Aβ-pE sono entrambi upregulated negli affetti da Alzheimer.

Ottenuti questi risultati, il gruppo di Schilling ha deciso di sperimentare nel topo e nel moscerino l’efficacia di un inibitore della glutamil ciclasi somministrabile per via orale, il composto PBD150.

Nei due modelli murini in cui è stato somministrato oralmente, il PBD150 ha  determinato una notevole riduzione dei livelli di peptidi Aβ-pE [Aβ (3(pE)-42)], così come è accaduto in un nuovo modello di Alzheimer sperimentale in Drosophila melanogaster, nel quale erano iper-espresse forme modificate di peptidi Aβ.

Lo studio istologico degli effetti prodotti dal composto nelle forme sperimentali di malattia di Alzheimer indotte nei roditori, ha rivelato la riduzione della formazione delle placche e della gliosi. A questi rilievi faceva riscontro un miglioramento della memoria di contesto e dell’apprendimento spaziale.

Tali osservazioni sono coerenti con l’ipotesi che Aβ (3(pE)-42) funga da seme per l’accumulo dei peptidi amiloidi mediante l’auto-aggregazione e l’aggregazione con Aβ (1-40/42). Perciò i peptidi Aβ (3(pE)-40/42) sembra che rappresentino forme con una straordinaria potenza lesiva per le funzioni neuroniche.

Questi risultati attraggono l’attenzione sul contributo dei peptidi Aβ-pE alla patogenesi della malattia di Alzheimer e suggeriscono la sperimentazione di una nuova classe di composti, ossia gli inibitori della glutamil ciclasi, per un approccio terapeutico che consente di nutrire qualche nuova speranza anche per altre amiloidosi neurodegenerative, come la demenza familiare danese.

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente di BM&L, Giuseppe Perrella, con il quale ha discusso l’argomento trattato e la dottoressa Floriani per la correzione della bozza in italiano.

 

Nicole Cardon

BM&L-Novembre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]