1953-2003: I cinquant’anni della doppia elica
e le
celebrazioni sbagliate
Quest’anno la comunità scientifica internazionale celebra i 50 anni dalla
scoperta della configurazione strutturale del DNA secondo il celeberrimo
modello della doppia elica, divenuto in breve un simbolo universale per la
rappresentazione grafica della vita. Sulla storia degli studi che hanno
condotto alla definizione della struttura degli acidi nucleici sono stati
versati fiumi di inchiostro e, soprattutto in lingua inglese, i saggi di pregio
pubblicati sull’argomento sono numerosi. Pertanto, non dovrebbe essere
difficile fare delle buone letture che rinfreschino la memoria dei meno giovani
e regalino ai ragazzi dei brani esemplari di storia della scienza, che li
aiutino non soltanto ad imparare dati, ma anche a decifrare i paradigmi
ricorrenti nelle vicende umane per ricavarne sempre utili lezioni di vita.
Eppure, interrogando sull’argomento studenti di facoltà scientifiche in
Università italiane, così come è accaduto in Inghilterra e negli Stati Uniti,
ci si rende conto che solo pochissimi hanno sentito parlare di un certo
Chargaff e dei suoi postulati che imponevano vincoli precisi alla struttura
dell’acido deossiribonucleico ed alcuni, addirittura, non sanno che con Watson
e Crick a condividere i meriti della scoperta ed il premio Nobel, assegnato nel
1962, c’era un signore di nome Maurice Hugh Frederick Wilkins, i cui studi
cristallografici con la tecnica della diffrazione dei raggi X, fornirono una
parte fondamentale e decisiva di dati per comprendere la conformazione della
molecola. Infatti, la diffrazione dei raggi X è una tecnica che consente di
determinare l’orientamento delle molecole, misurare esattamente le distanze che
le separano e talvolta permette anche di riconoscere la loro organizzazione
atomica. Inutile dire che quasi nessuno sa che Wilkins lavorava con
l’ingiustamente dimenticata Franklin.
Di chi la colpa? Nostra. Ovvero di tutti coloro che conoscono queste cose ed hanno il compito di
trasmetterle. Coloro che sono nati decenni prima delle giovani matricole o che,
addirittura, hanno avuto la fortuna di vivere l’avventura entusiasmante di quel
periodo della ricerca biologica non da spettatori, ma da attori. Questa
celebrazione può essere un’occasione per rendere giustizia al lavoro ed alle
capacità dei dimenticati, così come per imparare che metodi “poveri” basati sul
ragionamento come il calcolo usato da Chargaff, o procedure di analisi
faticose, basate su centinaia di esperimenti, come i metodi impiegati da Pauling,
Kendrew, Perutz e Wilkins, hanno costruito il progresso delle scienze
biomediche molto più di quanto non facciano tante ricerche sensazionali basate
sull’astuto impiego di evolute tecnologie, in progetti che fanno notizia e
destano scalpore nell’opinione pubblica.
La prestigiosa rivista Nature ebbe il privilegio di pubblicare nel
1953 l’articolo originale, che per la prima volta proponeva alla comunità
scientifica la bellezza e la funzionalità di un modello affascinante in cui la
forma appariva come conseguenza logica, ma non unica ed inevitabile, della
struttura: come accade per la straordinarietà di ogni fenomeno naturale era
qualcosa di impensabile e familiare allo stesso tempo.
E’ giusto che Nature celebri l’evento. Come lo fa? Promovendo
convegni, dibattiti, saggi, tavole rotonde sull’argomento? No. Sul sito web
della rivista si legge testualmente che la comunità scientifica celebra il
cinquantesimo anniversario della pubblicazione della struttura del DNA su Nature.
Come se l’evento non fosse la scoperta, ma la scelta di Nature per la
pubblicazione. Ma questo con un po’ di sforzo, mettendosi nei panni dei
giustamente orgogliosi editors della rivista, lo si può comprendere.
Andando avanti, si legge che i progressi nella genomica giustificano la
celebrazione di Nature Genetics, fondata nel 1992. E questo,
francamente, lo si capisce un po’ meno; pure ovviamente riconoscendo il primato
qualitativo della pubblicazione. Poi si dice che, per la celebrazione, si
pubblica un numero con una retrospettiva 1992-2002 con articoli scritti da
protagonisti della Genetica e, nello strillo pubblicitario, si
menzionano Venter, Bork e Rotstein trascurando Roses, Feldman e l’Italiano
Luigi Luca Cavalli Sforza che pure hanno scritto reviews in quel supplemento
monografico. Perdonatemi, ma la logica di tutto ciò proprio mi sfugge.
Chi e cosa si celebra?
Ancora una volta l’industria biotecnologica ed i grandi interessi economici
a questa legati.
Quell’avventura di conoscenza che si compì nel 1953 è quanto di più lontano
si possa concepire dalla realtà dei ricercatori-manager i cui risultati sono un
prodotto giudicato dall’influenza che è in grado di esercitare su
quotazioni borsistiche.
Lasciate che rivolga un pensiero riconoscente ed un ideale saluto ai veri
protagonisti di quella fortunata stagione, che ancora oggi sono testimoni di
una concezione della ricerca e della vita ispirata alla realizzazione di valori
alti e puri e, soprattutto, a coloro che non ci sono più.
Non è un mistero che molti qui in BRAIN MIND & LIFE seguono con
passione la Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali di Gerald Edelman e che
sono stati colpiti dalle irridenti parole di Francis Crick quando definì
“Edelmanismo Neurale” la teoria. Tuttavia gli sono grati. E’ la riconoscenza
che nella scienza si prova per l’interlocutore dialettico, che contribuisce sia
con l’assenso che con il dissenso motivati al progresso delle conoscenze,
perché ci corregge o ci stimola in ogni caso, anche quando ci induce a lavorare
con tutte le nostre forze per confutare le sue tesi.
Lasciate che celebri di quella scoperta il puro desiderio di conoscere di
tutti coloro che hanno fatto ricerca senza pensare agli onori delle ribalte o
ad interessi diversi dal piacere di essere penetrati un po’ nei segreti della
natura e che, forse, hanno il migliore rappresentante proprio nel biofisico
neozelandese nato a Pongaroa, del quale mi piace ripetere ancora tutti i nomi:
Maurice Hugh
Frederick Wilkins.
Il Presidente
di BM&L-Marzo 2003