IL DOLORE COME MALATTIA NEURODEGENERATIVA

 

(QUINTA PARTE)

 

Precedentemente si è fatto riferimento ad un complesso di piccoli sistemi, inizialmente identificati nel grigio periacqueduttale del mesencefalo[1], che nel suo insieme costituisce una via discendente di controllo inibitorio della nocicezione spinale, in grado di esercitare una profonda influenza sulla maniera in cui facciamo esperienza della sofferenza fisica. Lo studio delle aree e delle connessioni dalle quali origina questa funzione “analgesica”, ha rivelato un’importante partecipazione corticale, sottocorticale e troncoencefalica nella costituzione di una rete capace di integrare informazioni cognitive, emotive ed affettive secondo processi ancora in gran parte sconosciuti.

Oggi è accertato che le cellule nervose del grigio periacqueduttale troncoencefalico ricevono impulsi da varie aree corticali[2], così come dall’amigdala e dall’ipotalamo, ed inviano segnali all’area del bulbo indicata con l’acronimo inglese RVM (da rostral ventromedial medulla). L’attivazione di questo circuito media la potente soppressione del dolore che si verifica durante un trauma, uno stress intenso o uno stato di grande eccitazione, ma la sua funzione complessiva non si limita ad un’attività inibitoria. Infatti, numerose evidenze suggeriscono che il sistema nel suo complesso, in condizioni fisiologiche, svolge un ruolo di regolatore di intensità del dolore mediante l’azione di due distinte classi di neuroni:

 

1) cellule off, attivate da endorfine e mofina, inibitrici della trasmissione degli impulsi dolorifici;

2) cellule on, facilitatici della segnalazione del dolore e sensibili agli stimoli nocicettivi[3].

 

Si è poi accertato che questo sistema di controllo, e in particolare i neuroni della RVM, svolgono un ruolo importante nella persistenza del dolore acuto. Vari esperimenti avevano mostrato che, nel danno neuropatico sperimentalmente indotto nei roditori, una popolazione di cellule di questo nucleo bulbare emetteva una segnalazione che, invece di ridurre i segnali nocicettivi in arrivo, li amplificava. Un lavoro condotto da Porreca e colleghi nel 2001 ottenne un risultato illuminante in questo senso: impiegando il metodo della tossina legata al trasmettitore secondo la strategia del cavallo di Troia precedentemente descritta a proposito dello studio condotto dal gruppo di Patrick W. Mantyh, i ricercatori distrussero selettivamente nei ratti la popolazione neuronica del nucleo RVM sospettata di amplificare invece che inibire i segnali. Senza questi neuroni, i roditori ugualmente sviluppavano dolore patologico nella zampa innervata dal tronco nervoso sottoposto a danno sperimentale, ma la sofferenza durava poco tempo. Tale risultato, successivamente sottoposto a numerose verifiche, suggeriva che l’area RVM contiene un set di neuroni che specificamente interviene nel determinare una conversione funzionale responsabile del mantenimento dello stato alla base del dolore cronico.

Nel 2008 il team di Irene Tracey presso l’Università di Oxford ha cercato una verifica di questi risultati nell’uomo, in uno studio che ha avuto un’importanza decisiva per l’interpretazione del ruolo dei neuroni equivalenti a quelli del nucleo RVM dei roditori. Nei volontari in cui era stato indotto mediante capsaicina[4] un dolore simile a quello dei pazienti sofferenti di algie croniche, l’area della formazione troncoencefalica corrispondente alla RVM dei ratti presentava un’attività diversa da quella dei soggetti di controllo e in tutto simile a quella delle persone affette da dolore cronico.

Avuta questa conferma, si è compiuto un ulteriore passo in direzione dell’origine, cercando di individuare le cause che portano i neuroni bulbari del sistema di regolazione di intensità del dolore a rispondere emettendo segnali che amplificano le informazioni nocicettive. Varie evidenze, ancora al vaglio della verifica, sembrano indicare che segnali ectopici provenienti dal nervo danneggiato agiscono modificando lo stato delle cellule dell’area RVM inducendole a rispondere con una facilitazione, invece che con una inibizione, ai segnali dolorifici.

In attesa di ulteriori sviluppi di queste ricerche, passiamo ad un altro aspetto molto interessante della percezione del dolore: oltre ad operare attraverso un sistema di controllo dell’intensità degli stimoli, il sistema nervoso centrale è impegnato in attività di sintesi che sembrano essere alla base dello stato generale che connota la qualità complessiva di “esperienza spiacevole o insopportabile” con la sua gamma di differenti tipi, caratterizzati da componenti emotivo-affettive diverse e da particolarità che caratterizzano il vissuto soggettivo. Questi stati, convenzionalmente studiati come “interpretazione” del dolore, dipendono da innumerevoli fattori, quali il setting, il grado di attenzione e di allerta, il tono dell’umore, le esperienze passate della persona, il grado e il tipo di attivazione dei sistemi dello stress, la presenza di disturbi fisici e psichici pregressi, e così via. Sebbene la ricerca delle basi neurofunzionali dell’esperienza del dolore non possa penetrare la soggettività psicologica, oggi può fornire importanti elementi per la comprensione dell’influenza del dolore sulla sfera affettivo-emotiva e su quella cognitiva.

 

[continua]

 

La nota, divisa in parti per la pubblicazione sul sito, è la trascrizione di una relazione tenuta giovedì 26 novembre 2009 dal professor Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze. L’autrice del testo, ringraziando il presidente per la disponibilità mostrata nell’accettare la riduzione della sua articolata trattazione e per le note aggiunte al testo, consiglia la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso, che sono state pubblicate negli ultimi anni nella sezione “NOTE E NOTIZIE” (a partire da quelle recenti, come Note e Notizie 21-11-09 La percezione del dolore nella donna) e degli altri scritti correlati, editi nelle altre sezioni del sito (ad esempio: Dibattito sui nuovi farmaci nella terapia del dolore in RUBRICHE - Dibattiti).

 

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Gennaio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RASSEGNA]

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Esperimenti condotti presso l’Università della California a Los Angeles (UCLA) avevano dimostrato, già all’inizio degli anni Settanta, che la stimolazione di una particolare area del mesencefalo era in grado di causare sollievo nei ratti prostrati dal dolore.

[2] Nell’elaborazione del dolore sono attive aree della corteccia prefrontale, parietale posteriore, motoria, somatosensitiva, del giro del cingolo (anteriore e posteriore) e dell’insula. Si è scelto di riportare sinteticamente questo riferimento in nota, invece di trascrivere la dettagliata disamina dei centri corticali implicati nell’elaborazione del dolore proposta dal presidente, per non interrompere il filo della trattazione.

[3] La funzione di questo circuito è notevolmente influenzata da fattori psicologici e risente dell’effetto placebo.

[4] Composto contenuto nel peperoncino rosso o pepe di Caienna, ampiamente usato come stimolo nocicettivo a scopo sperimentale per la sua straordinaria potenza ed efficacia a piccole dosi.