IL DOLORE COME MALATTIA NEURODEGENERATIVA

 

(PRIMA PARTE)

 

INTRODUZIONE. Da tempo è noto che il dolore cronico può causare disturbi psichici che vanno da sindromi lievi, caratterizzate da irritabilità, disturbi del sonno ed astenia, fino a quadri gravi, con sintomatologia depressiva, disturbi della sfera emotiva, alterazioni del pensiero e interessamento cognitivo espresso in termini di deficit dell’attenzione e della capacità di concentrazione. Recenti ricerche stanno definendo con precisione sempre maggiore la base biologica di questo effetto, rilevando alterazioni funzionali in gruppi neuronici specificamente implicati nel pain processing e, soprattutto, identificando lesioni di strutture dell’encefalo che consentono di paragonare gli stati di dolore cronico protratto a una malattia neurodegenerativa.

 

IL DOLORE E LA SOFFERENZA CRONICA. Lo studio scientifico del dolore si basa su due importanti elementi definiti e confermati sperimentalmente: la sua natura di esperienza psichica e l’origine in un evento lesivo, anche se solo microscopico. Una concezione bene espressa e sintetizzata dalla definizione dell’International Association for the Study of Pain (IASP): una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di tale danno.

La risposta fisiologica al dolore è avviata da stimoli in grado di attivare le terminazioni di una o più classi di neuroni recettivi del dolore (nocicettori)[1] che trasmettono l’informazione sensitiva principalmente attraverso il glutammato e i neuropeptidi ai neuroni delle corna posteriori del midollo spinale, da cui originano cinque vie ascendenti al talamo ed alla corteccia cerebrale: 1) Spino-Talamica, 2) Spino-Reticolare, 3) Spino-Mesencefalica, 4) Spino-Ipotalamica, 5) Cervico-Talamica. Ciascuno di tali tratti presenta caratteristiche fisiologiche peculiari. I nuclei talamici mediano l’invio dell’informazione alla corteccia cerebrale, che direttamente partecipa all’elaborazione delle sensazioni dolorose. A queste vie ascendenti corrisponde una rete distribuita di popolazioni neuroniche costituenti nel loro insieme il sistema analgesico endogeno, del quale si riconoscono alcune sedi principali nel grigio periacqueduttale, nel nucleo del rafe magno, in parti della formazione reticolare del bulbo e del mesencefalo, inclusa la regione parabranchiale[2]. Proseguendo in direzione cefalica vi è come una continuazione del sistema di controllo del dolore in aree proencefaliche che, stimolate, sono in grado di inibire le afferenze nocicettive del fascio spino-talamico: il grigio periventricolare, il nucleo ventroposterolaterale del talamo, l’area somestesica primaria della corteccia post-centrale e le aree corticali parietali posteriori. Non è superfluo ricordare che la stimolazione diretta del cervello produce, in generale, analgesia.

Per approfondire alcuni aspetti che possono aiutarci a comprendere meglio quanto accade in condizioni patologiche, ritorniamo alle prime fase della percezione del dolore, in particolare ai nocicettori. Classicamente le cellule recettrici del dolore sono distinte in nocicettori termici, nocicettori meccanici e nocicettori polimodali[3].

Nocicettori termici. Sono neuroni di piccolo diametro con fibre mieliniche di tipo Aδ a conduzione rapida: lo stimolo viene condotto a velocità variabili fra da 5 a 30 m/sec. L’attivazione si ha oltre il livello-soglia delle temperature basse e di quelle alte, rispettivamente per T < 5 °C e T > 45 °C.

Nocicettori meccanici. La caratteristica principale di questi neuroni sensitivi, detti anche meccanocettori nocicettivi, consiste nella tipologia di stimoli in grado di attivarli, ossia percussione, pressione, trazione, torsione o spremitura dei tessuti di entità superiore a quella prodotta da stimoli endogeni, spontanei e, in genere, fisiologici. Anche questi neuroni presentano sottili fibre mieliniche Aδ con una velocità di conduzione di 5-30 m/sec.

Nocicettori polimodali. Rispondono alle temperature estreme (alte e basse), a stimoli nocicettivi diversi e contemporanei, a tutti gli stimoli dei meccanocettori nocicettivi, a varie fonti di dolore chimico (chemiocettori del dolore). Nella massima parte dei casi sono neuroni di diametro piccolo con fibre C amieliniche conducenti a velocità bassa o bassissima, ma sempre inferiore a 1 m/sec.

A queste tre popolazioni di cellule sensitive, spesso attive in sinergia o in successione nel rendere i diversi aspetti dell’esperienza nocicettiva[4], se ne può aggiungere una quarta presente nei tessuti viscerali: i nocicettori silenti. Questi neuroni, a differenza dei precedenti, non sono ordinariamente attivati da stimoli dannosi, ma presentano un notevole abbassamento della soglia di scarica in corso di infiammazione e per effetto di vari stimoli chimici; perciò si ritiene che contribuiscano allo sviluppo dell’iperalgesia secondaria e della sensibilizzazione centrale.

Le informazioni trasmesse dai nocicettori al midollo spinale sono subito sottoposte ad una sorta di vaglio da parte di popolazioni specializzate di cellule poste all’ingresso del sistema nervoso centrale: l’equilibrio fra afferenze nocicettive e non nocicettive primarie può modulare il dolore. Il possibile meccanismo di questo “filtro al varco” fu per la prima volta illustrato da Melzack e Wall nel 1965, secondo una concezione tuttora valida e nota con il nome di Gate Control Theory[5].

 

[continua]

 

La nota, divisa in parti per la pubblicazione sul sito, è la trascrizione di una relazione tenuta giovedì 26 novembre 2009 dal professore Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze. L’autrice del testo, ringraziando il presidente per la disponibilità mostrata nell’accettare la riduzione della sua articolata trattazione e per le note aggiunte al testo, consiglia la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso pubblicate negli ultimi anni nella sezione “NOTE E NOTIZIE” (a partire da quella della scorsa settimana sulla percezione del dolore nella donna) e degli altri scritti correlati nelle altre sezioni del sito (ad esempio il dibattito sui nuovi farmaci nella terapia del dolore in RUBRICHE - Dibattiti).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Novembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RASSEGNA]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Un tempo, seguendo le descrizioni anatomiche classiche, si riservava il termine “nocicettore” alla terminazione recettoriale periferica dei neuroni sensitivi protopatici (cellule a “T”) con il corpo cellulare nel ganglio spinale o nel ganglio dei nervi cranici. Attualmente si tende a seguire l’uso della fisiologia, che identifica il nocicettore con tutta la cellula. Questo criterio si applica anche ad altre strutture percettive; ad esempio nella retina si indicano con coni e bastoncelli le cellule fotorecettrici, incluso l’articolo esterno dal quale prendono il nome. Tale uso è seguito da tempo in ambito sperimentale, dove il termine “recettore” è pressoché esclusivamente impiegato per designare le molecole proteiche che ricevono un ligando. [Nota del Relatore].

[2] Più avanti si fornisce un’indicazione più particolareggiata delle aree importanti nella modulazione del dolore e dei principali meccanismi noti.

[3] Stimoli nocivi per la pelle, le mucose, le articolazioni, i muscoli e vari altri tessuti non superficiali, sono in grado di attivare le terminazioni di queste tre classi di cellule sensitive. A differenza di quanto accade per la sensibilità tattile epicritica e propiocettiva cosciente, non vi sono strutture recettive periferiche con una precisa conformazione anatomica ed una specializzazione funzionale legata alla morfologia (corpuscoli di Meissner, strutture di Dogiel, corpuscoli di Ruffini, clave sferoidali di Krause, corpuscolidi del Pacini, ecc.) ma, nella massima parte dei casi, il nocicettore riceve lo stimolo mediante terminazioni nervose libere.  Lo stimolo non è di per sé “doloroso”, ma acquista questa qualità per effetto dell’elaborazione nervosa che, come in tutte le altre percezioni, ha nella sintesi psichica l’espressione di più alto livello e la variabile di grado maggiore. Lo stress, vari tipi di emozioni e sentimenti possono far variare grandemente la soglia di percezione del dolore e inibirlo anche per un tempo protratto (si pensi ai pugili che talvolta non sentono dolore fino alla fine del round o lo avvertono poco fino alla fine del match). Per una trattazione dettagliata ed esaustiva si consiglia di integrare i trattati di neurofisiologia più autorevoli e recenti con le rassegne e i lavori sperimentali selezionati dalle maggiori riviste per le raccolte monografiche. I soci possono, previa iscrizione al gruppo di studio sulle basi neurobiologiche del dolore, disporre di una bibliografia che va dalle opere che costituiscono i classici di questo settore fino alle ricerche in corso [Nota del Relatore].

 

[4] Si pensi ad un trauma causato da una caduta in corsa: a causa dell’impatto si sente immediatamente un dolore acuto, trasmesso dalle fibre Aδ a conduzione rapida (nocicettori meccanici), seguito da sensazioni originate da informazioni condotte dalle fibre C dei nocicettori polimodali ed elaborate in un tempo più lungo, con i caratteri del “bruciore” se prevale, ad esempio, un’abrasione cutanea, oppure con quelli di un dolore sordo se prevalgono gli effetti di una contusione [Nota del Relatore].

 

[5] Detta anche semplicemente Gate Theory o, talvolta, teoria di Melzack. In alcune trattazioni italiane è anche definita “teoria del cancello”, traducendo un po’ approssimativamente la parola gate che indica un portale e si riferisce ad un varco controllato come quelli allestiti negli aeroporti [Nota del Relatore].