I DISCENDENTI DI JOHANN, PAZIENTE DI ALZHEIMER

 

 

“Una donna di 51 anni ha mostrato gelosia verso suo marito come primo segno rilevante della malattia. Presto si è potuta notare una perdita di memoria rapidamente ingravescente. Non era in grado di orientarsi nel suo appartamento. Portava oggetti avanti e indietro e li nascondeva. A volte pensava che qualcuno volesse ucciderla e cominciava ad urlare.”

Con queste parole annotate nel 1906 e pubblicate nel 1907, Alois Alzheimer introduce il caso di Auguste D., ammalata in età presenile di una forma di demenza con sintomi psicotici, che la porterà a morte nel giro di pochi anni. L’esame del suo cervello rivelò la presenza di placche amiloidi[1], dette allora placche senili, e di ammassi di neurofibrille nei neuroni piramidali.

Al quadro descritto dal neuropatologo tedesco, nelle osservazioni attuali si possono aggiungere le caratteristiche ad alta risoluzione della degenerazione granulo-vacuolare, si può rilevare l’eventuale presenza di “corpi di Hirano” e si possono dettagliare le caratteristiche dell’angiopatia congofilica, ossia un’alterazione della parete vascolare associata a rischio di emorragia cerebrale ed evidenziata dalla captazione del colorante istologico Rosso Congo; tuttavia le placche amiloidi e la degenerazione neurofibrillare rimangono i due elementi istopatologici distintivi della malattia.

Eppure Alois Alzheimer descrisse e pubblicò, dopo quello celeberrimo di Auguste D., un secondo caso, quello di Johann F., in cui era assente la degenerazione neurofibrillare.

Questa forma della malattia, che presentava accanto a segni generici di encefalopatia atrofica solo le placche amiloidi come reperto specifico, è stata trascurata o ignorata del tutto dalla maggior parte delle trattazioni didattiche, ma è sempre rimasta all’attenzione dei ricercatori. In particolare, negli anni scorsi, la ricerca del primum movens patogenetico ha visto il formarsi di due scuole di pensiero, l’una sostenitrice del ruolo di innesco della catena di reazioni degenerative da parte dei peptidi anomali beta-amiloidi (ßA), l’altra sostenitrice della priorità temporale delle alterazioni neurofibrillari conseguenti all’iperfosforilazione della proteina tau. Nella prima ipotesi, le alterazioni delle neurofibrille sarebbero la conseguenza dei processi che generano le placche, nella seconda ipotesi le placche sarebbero un’espressione tardiva, in parte conseguente alla necrosi, di una catena di eventi iniziata all’interno del neurone[2].

Il caso di Johann, che nell’attuale classificazione internazionale corrisponderebbe al sottogruppo “plaque-only type” della malattia di Alzheimer, rappresentava il prototipo di quelle forme addotte come prove, dai sostenitori della “teoria della beta-amiloide”, a sostegno dell’idea che la cascata di reazioni indotta dai peptidi ßA sia necessaria e sufficiente a produrre la malattia e che la degenerazione neurofibrillare costituirebbe un evento secondario e non obbligatorio.

Al contrario, per i sostenitori della “teoria della tau”, il caso di Johann era da considerarsi una forma di malattia degenerativa diversa da quella di Auguste, con un innesco patogenetico da determinare e l’esito comune nella produzione delle placche, vere e proprie “pietre tombali” sul tessuto cerebrale già degenerato.

Attualmente sembra vi siano prove sufficienti a favore di un legame biochimico fra la cascata della beta-amiloide e l’iperfosforilazione della tau[3], pertanto la “teoria della beta-amiloide” risulterebbe confermata.

Un gruppo di ricercatori afferenti alla Clinica Psichiatrica dell’Università di Regensburg (Germania) ha rintracciato i discendenti di Johann F., ne ha ricostruito l’albero genealogico e ne ha studiato alcune caratteristiche genetiche in funzione del rischio di sviluppare demenza degenerativa su base ereditaria. Gli studiosi tedeschi hanno poi deciso di condurre uno studio genetico più estensivo e dettagliato alla luce delle conoscenze attuali, chiedendo la collaborazione di neurogenetisti del calibro di Peter St. George-Hyslop, noto per l’identificazione dei geni presenilina 1 e 2 (Klunemann H. H., et al. Characterization of the kindred of Alois Alzheimer’s patient with plaque-only dementia. Alzheimer Dis Assoc Disord. 20 (4): 291-294, 2007).

Le tracce documentali hanno consentito ai ricercatori di risalire lungo la linea degli antenati fino al 1670, e di elaborare un complesso albero delle parentele che, con i suoi 1403 discendenti, giunge fino ai nostri giorni. Fra i membri attualmente viventi, solo 4 sono affetti da demenza e, verosimilmente, il tratto patologico è stato trasmesso come un carattere autosomico dominante.

Pertanto i ricercatori hanno testato tutti i geni dominanti noti che avessero un provato rapporto con la demenza neurodegenerativa alzheimeriana. In particolare, è stata valutata la presenza di mutazioni nei seguenti geni: APP, PS1, PS2, PRNP e BRI.

Non sono state riscontrate mutazioni in alcuno dei probandi.

Il risultato, deludente per i ricercatori di Regensburg, a noi appare stimolante, in quanto sembra confermare la tesi dei sostenitori della “teoria della tau”, secondo i quali la demenza con le sole placche amiloidi e senza la degenerazione neurofibrillare sarebbe una malattia diversa dalla patologia alzheimeriana classica, con una sua genetica ancora da accertare.

 

Gli autori della nota ringraziano Isabella Floriani per aver riassunto la loro relazione all’incontro dello scorso giovedì dal titolo: “1907 – 2007: La malattia di Alzheimer ad un secolo di distanza”.

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Marzo 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

 



[1] Il termine “amiloide” fu coniato da Vircow per indicare una sostanza vischiosa che tende a consolidarsi come l’amido. Le placche, infatti, si presentano inizialmente come addensamenti poco consistenti e terminano come strutture dal nucleo compatto. Il “core” della placca è infatti principalmente costituito da polimeri di peptidi ßA insolubili precipitati, che inglobano dendriti ed assoni danneggiati o frammentati ed elementi infiammatori, fra cui spiccano le cellule della microglia.

[2] All’iperfosforilazione della proteina associata ai microtubuli tau, consegue lo scompaginamento delle strutture del citoscheletro assonico, con iniziale avvolgimento spiraliforme dei neurofilamenti (coppie di filamenti di 10 nm reciprocamente avvolti, con un passo di 80 nm) e progressivo cambiamento delle caratteristiche chimico-fisiche delle proteine, fino alla costituzione di aggregati filamentosi irregolari più spesso simili ad intricate matasse di fili che a gomitoli ordinatamente composti.

 

[3] In proposito esiste una vasta letteratura, ma probabilmente la prima prova sperimentale di un tale collegamento risale alla seguente comunicazione: Ming Sum Lee e Li-Huei Tsai (Comunicato da James Geddes), Cdk5: one of the links between senile plaques and neurofibrillary tangles? Journal of Alzheimer's Disease, Vol. 5, N 1, 2003.