DANNI DA STRESS DELLA CORTECCIA PREFRONTALE

 

 

Al journal club di giugno del gruppo strutturale di BM&L sulla patologia da stress del sistema nervoso centrale, Lorenzo L. Borgia ha presentato e discusso una recente e documentata rassegna degli studi sulle vie di segnalazione dello stress che causano danni strutturali e funzionali alla corteccia prefrontale (Amy F. T. Arnsten, Stress signalling pathways that impair prefrontal cortex structure and function. Nature Reviews Neuroscience 10, 410-422, 2009).

La corteccia prefrontale, considerata la parte dell’encefalo filogeneticamente più recente ed evoluta, è alla base delle nostre abilità cognitive di più alto grado, e prende parte a processi che contraddistinguono la vita psichica umana. Questo ruolo, che la rende preziosa tanto per le abilità strumentali quanto per le funzioni psicologiche a fondamento della personalità, rende ancora più grave la sua estrema vulnerabilità allo stress. Molti ricercatori ritengono questa parte del neoencefalo la più sensibile agli effetti nocivi derivanti dall’esposizione a fattori stressanti (stressors)[1]. Molti studi hanno accertato che eventi stressanti lievi e brevi, sia pure acuti e incontrollabili, sono già sufficienti per il determinarsi di una perdita rapida e drammatica di abilità cognitive. In condizioni di esposizione protratta, come è stato documentato da vari gruppi di ricerca, si ha una vera e propria modificazione dell’architettura dendritica della corteccia prefrontale.

Lavori recenti hanno cominciato a rivelare le vie di segnalazione intracellulare che mediano gli effetti dello stress su questa struttura neocorticale, fornendo tracce su come fattori genetici e cause ambientali possano disinibire tali vie portando a sintomi di disfunzione corticale prefrontale profonda, caratteristica di vari tipi di disturbi mentali.

Durante la discussione è intervenuto il professor Perrella che ha proposto l’esito di alcuni studi recenti sulla corteccia prefrontale nel Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD, da post traumatic stress disorder) nelle sue forme acuta e cronica.

Si ritiene che, nelle persone predisposte, agenti stressanti che assumono la forma di minacce per l’integrità di una persona possano indurre uno stato funzionale che accentua le successive risposte allo stress, conducendo allo sviluppo di un PTSD. Le persone affette dal disturbo presentano una riduzione dell’attività della corteccia prefrontale mediale e del volume della materia grigia, con un’accentuazione della neurotrasmissione noradrenergica. Studi condotti mediante neuroimaging hanno dimostrato che, in pazienti affetti da PTSD, l’esperienza di stimoli distraenti associati all’evento traumatico è in grado di alterare gravemente i processi alla base della working memory, con un danno funzionale per i circuiti che può essere accostato solo a quello rilevato in pazienti affetti da depressione. Infine, il presidente di BM&L ha rilevato che vari studi recenti confermano l’importanza degli estrogeni nell’aumentare la vulnerabilità della corteccia prefrontale allo stress. Questa area della corteccia è infatti più resistente agli agenti traumatici nei maschi, nelle femmine di ratto ovariectomizzate o in età prepubere o post-menopausale. I meccanismi molecolari dell’amplificazione dell’azione tossica dello stress sui neuroni della parte più evoluta del manto cerebrale sono attualmente oggetto di studio in vari laboratori.

 

Roberto Colonna

BM&L-Giugno 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La vulnerabilità dell’ippocampo è ben nota e, per molto tempo, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata sulla perdita di neuroni in questa formazione nella patogenesi dei sintomi presenti nei disturbi da stress e nella depressione.