RIDOTTE CONNESSIONI NELLA SINDROME DI RETT

 

 

La sindrome descritta da Andreas Rett nel 1966 si configura come una grave alterazione neuroevolutiva legato al cromosoma X e classificata fra i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo[1], che si manifesta nella prima infanzia dopo una fase di evoluzione normale a causa di mutazioni nel gene che codifica MECP2 (methyl-CpG-binding protein 2)[2].

In un modello murino della sindrome di Rett (topi Mecp2-null) che manifesta sintomi equivalenti a quelli del disturbo genetico umano -quali disturbi motori e gravi deficit di memoria e apprendimento- studi recenti hanno rilevato anomalie nel potenziamento di lungo termine (LTP) e notevoli alterazioni dell’input sinaptico ai neuroni piramidali del V strato della corteccia cerebrale (L5). Dani e Nelson del Biology Department, Brandeis University, Waltham (Massachusetts), hanno ora approfondito lo studio delle connessioni corticali dei topi Mecp2-null, accertando un deficit quantitativo che potrebbe avere un ruolo decisivo nella patogenesi (Dani V. S. & Nelson S. B. Intact long-term potentiation but reduced connectivity between neocortical layer 5 pyramidal neurons in a mouse model of Rett sindrome. Journal of Neuroscience 29, 11263-11270, 2009).

L’alterazione del potenziamento di lungo termine, ossia della funzione sinaptica che costituisce un’importante base cellulare della memoria, può essere dovuta a ridotta plasticità o ad una riduzione della trasmissione eccitatoria in grado di indurre l’LTP. Per provare ad accertare quale di queste due possibili cause fosse responsabile dei sintomi nei modelli sperimentali della malattia, i due ricercatori hanno comparato, nel modello murino e nei controlli, l’induzione del potenziamento e la neurotrasmissione di base delle sinapsi fra i neuroni piramidali del V strato della corteccia. A tal fine, hanno effettuato registrazioni accoppiate in sezioni corticali di topi Mecp2-null e a genotipo naturale, prima dell’epoca di insorgenza dei sintomi, ossia a 2-3 settimane di età, e dopo l’insorgenza, ovvero a 4-5 settimane.

Contrariamente a quanto rilevato in lavori precedenti condotti su sinapsi dell’ippocampo, Dani e Nelson non hanno riscontrato differenze di rilievo nelle caratteristiche di induzione dell’LTP nelle sinapsi interpiramidali dei topi Mecp2-null, prima e dopo l’insorgenza dei sintomi, così come nei roditori di controllo. I caratteri di base della trasmissione sinaptica presentavano invece alterazioni interessanti: l’ampiezza media del potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP) delle sinapsi interpiramidali di L5 nei topi Mecp2-null di 4 settimane era soltanto la metà di quella rilevata nei roditori di controllo.

Un’indagine elettrofisiologica più approfondita ha rivelato che, mentre nei topi normali il 10% delle coppie di neuroni piramidali di L5 presentava sinapsi attive, nei topi Mecp2-null di 4 settimane solo il 5% mostrava connessioni funzionanti. Tale reperto indica che le mutazioni del gene Mecp2 riducono la connettività eccitatoria nei microcircuiti corticali locali. Dunque, poiché i meccanismi di induzione dell’LTP sono risultati integri negli animali Mecp2-null, le alterazioni del potenziamento di lungo termine rilevate da altri ricercatori devono attribuirsi ad una riduzione delle connessioni eccitatorie e non ad alterazioni della plasticità.

I risultati di questo lavoro suggeriscono che i deficit dell’apprendimento, della memoria e delle altre facoltà cognitive che compongono il quadro della sintomatologia psichica della sindrome di Rett, siano causate da un’alterazione del normale disegno di connessioni della neocorteccia e non da anomalie della plasticità sinaptica, come sostenuto di recente anche da studiosi autorevoli. Rimane tuttavia da stabilire se l’effetto primario delle mutazioni di Mecp2 consista in una riduzione della connettività.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invita a leggere le recensioni di argomento connesso nelle nostre “Note e Notizie”.

 

Nicole Cardon

BM&L-Ottobre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Il Manuale Diagnostico-Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM-IV-TR) lo classifica fra i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, con il nome di Disturbo di Rett [codice F84.2, corrispondente a 299.80 dell’ICD-9].

[2] Il gene, associato al cromosoma X e codificante MECP2, è mutato nella sindrome di Rett ed è espresso in forma aberrante nell’autismo. La maggior parte dei bambini colpiti sono femmine eterozigoti le cui funzioni cerebrali presentano marcati deficit cognitivi ed alterazioni di sviluppo dopo un iniziale sviluppo neuroevolutivo apparentemente nella norma. Il gene MECP2 è altamente espresso nei neuroni, ma di recente è stata dimostrata l’espressione negli astrociti e la partecipazione di queste cellule gliali alla sindrome (Note e Notizie 06-06-09 Ruolo degli astrociti nella sindrome di Rett). Per altre acquisizioni recenti si veda anche in Note e Notizie 29-11-08 Sindrome di Rett: origine del fenotipo e le altre recensioni di lavori sperimentali apparse nelle nostre “Note e Notizie”.