UNA TERAPIA CONTRO IL COMPLEMENTO PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER

 

 

Gli elementi anatomopatologici considerati patognomonici della malattia di Alzheimer sono, come è noto, la degenerazione neurofibrillare intraneuronica caratterizzata da filamenti ad elica appaiati (PHF) della proteina tau iperfosforilata, e la placca β-amiloide (placca Aβ) o neuritica costituita da assoni e dendriti deformati da rigonfiamento, detriti cellulari, depositi extracellulari di peptidi β-amiloidi[1] circondati da astrociti e co-localizzati con varie proteine infiammatorie e microglia attivata[2]. Il contributo di ciascuno di questi fattori al declino cognitivo non è ancora chiaro, anche se la ricerca che indaga la patogenesi molecolare del danno ha individuato vari processi all’origine dei difetti cognitivi che si manifestano prima della perdita massiccia di neuroni[3].

E’ stato dimostrato che la placca Aβ attiva il sistema del complemento che, mediante l’attivazione di fattori quali C3a e C5a, innesca il reclutamento e l’attivazione di fagociti, inclusa la microglia, nelle sedi del danno. Come abbiamo già rilevato in altre occasioni, gli studi sul ruolo della microglia attivata hanno prodotto risultati contrastanti: alcuni sembrano dimostrare il contributo di questa componente gliale alla neurodegenerazione, altri indicano chiaramente un ruolo neuroprotettivo. Sono state proposte delle interpretazioni di questo apparente contrasto ma si continua ad indagare.

D’altra parte, nonostante vi sia chiara evidenza dell’implicazione di meccanismi infiammatori ed immunologici nella patogenesi della neurodegenerazione alzheimeriana, l’efficacia terapeutica degli agenti anti-infiammatori sperimentati è ancora controversa.

Fonseca e collaboratori del Department of Molecular Biology and Biochemistry, University of California at Irvine, hanno ora dimostrato che una piccola molecola inibitrice di Ca5R, PMX205, ha effetti benefici in modelli murini di malattia di Alzheimer (Fonseca M. I. et al. Treatment with Ca5R antagonist decreases pathology and enhances behavioral performance in murine models of Alzheimer’s disease. J. Immunol. 183, 1375-1383, 2009).

I ricercatori hanno somministrato oralmente il composto alla dose di 10-20 μg/ml per 12 settimane in topi Tg2576 fra i 12 e i 15 mesi di età, ossia nell’arco temporale in cui si verifica il più rapido accumulo di depositi di β-amiloide. Si è avuta una marcata riduzione dei depositi amiloidi e della reattività gliale nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo dei roditori trattati rispetto al gruppo di controllo. A queste concentrazioni non si è rilevato alcun effetto sul tasso di formazione delle fibrille e sulla tossicità. Un dato di estremo interesse è stato registrato nel modello murino 3XTg, in cui si è avuta una netta riduzione dei livelli di tau iperfosforilata.

I ricercatori hanno poi verificato gli effetti del PMX205 sulle prestazioni cognitive dei topi trattati. E’ stata impiegata una prova di memoria contestuale basata sull’evitamento passivo. In pratica, l’animale deve entrare in una camera buia dove in precedenza ha ricevuto una lieve scossa elettrica: in condizioni normali i roditori ricordano prontamente ed esitano nell’entrare (evitamento passivo). Invariabilmente i topi Tg2576, a causa dei danni prodotti dal modello sperimentale di malattia dei Alzheimer di cui sono affetti, presentano un’esitazione molto minore nell’entrare, mostrando una perdita della memoria dell’esperienza negativa. Nei topi transgenici trattati con PMX205 questo comportamento patologico era in massima parte abolito, suggerendo un miglioramento della loro capacità di ricordare lo stimolo che induce avversione.

Fonseca e i suoi collaboratori ipotizzano che si possa evitare l’inibizione degli effetti neuroprotettivi derivanti dall’attivazione del complemento, colpendo gli elementi a valle della cascata.

Se si tiene conto che il composto PMX53, dal quale deriva il PMX205, ha superato con successo la Prima Fase di sperimentazione clinica come farmaco per il trattamento delle malattie infiammatorie, è facile prevedere che i benefici effetti dell’inibizione di C5aR saranno ulteriormente indagati e daranno luogo a protocolli di sperimentazione farmacologica.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Settembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Frammenti Aβ di 40-42 aminoacidi derivati dalla scissione del precursore APP da parte di β-secretasi e γ-secretasi.

[2] È stato proposto un meccanismo che pone in relazione la patogenesi del danno innescato da beta-amiloide con l’iperfosforilazione della tau che si rende responsabile della degenerazione fibrillare. Recentemente questo aspetto è stato studiato con risultati interessanti (si veda in Note e Notizie 04-04-09 Come le placche dell’Alzheimer creano danni globali).

[3] Le nostre recensioni di lavori sperimentali di argomento connesso sono veramente numerose e interessanti, perciò si invitano i lettori a cercarle nell’elenco delle “Note e Notizie”.