SONO COSCIENTI LE CODIFICHE SENSORIALI RIPRODUCIBILI

 

 

Mentre scrivo queste parole fissando lo schermo del mio computer, mi accorgo di una chioma bionda oltre lo schermo che si avvicina velocemente e deduco, senza smettere di scrivere, che una persona che conosco sta venendo a salutarmi. Questo genere di esperienze, tanto frequenti nella nostra vita quotidiana, è possibile perché costantemente il nostro cervello elabora tutte le informazioni che giungono dagli organi di senso, monitorando anche tutti gli stimoli ordinariamente destinati ad essere trascurati, per rilevare quelli che meritano di entrare nella coscienza. In questo caso, l’informazione proveniente dai quadranti periferici della retina ha fornito alle 32-33 aree cerebrali implicate nell’elaborazione della visione, uno stimolo riconosciuto come segnale e, pertanto, destinato a richiamare l’attenzione cosciente.

Fenomeni simili possono essere descritti per ogni modalità sensoriale, basti pensare al riconoscimento di una voce in lontananza mentre la nostra coscienza è concentrata nell’ascolto di una musica o impegnata in una conversazione, o all’improvvisa percezione di un cambiamento di velocità o direzione mentre siamo in aereo o in treno. In tutti questi casi possiamo distinguere un’elaborazione sensoriale di fondo che non raggiunge la nostra consapevolezza, da una che invece entra in quella parte della coscienza che chiamiamo dichiarativa, perché può facilmente essere comunicata e, in genere, ricordata e rievocata per esigenze coscienti. La distinzione fra la base neurofunzionale dell’elaborazione cosciente e non cosciente è cominciata con gli studi di Benjamin Libet e collaboratori che accertarono, per gli stimoli consapevoli, la necessità di transitare lungo una via più lunga[1], la cui percorrenza superava i 500 millisecondi (circuito di Libet).

Attualmente non è ancora chiaro cosa distingua l’elaborazione cosciente da quella inconsapevole, perciò si indagano tutte le possibili differenze. Schurger e collaboratori del Department of Psychology, Princeton University, hanno valutato l’attività cerebrale durante esperienze percettive coscienti e non coscienti per desumerne le peculiarità (Schurger A., et al. Reproducibility distinguishes conscious from nonconscious neural representation. Science  327, 97-99, 2010).

Le prove cui sono stati sottoposti i volontari includevano la presentazione di stimoli normalmente visibili e di stimoli mascherati, come ordinariamente si fa in questo genere di sperimentazione per distinguere l’esperienza percettiva consapevole da quella non consapevole.

La similarità fra i patterns di attività neurale delle presentazioni di stimoli simili era notevolmente più elevata per le esperienze visive coscienti che per quelle delle immagini mascherate. Un tale risultato suggerisce che la riproducibilità dei patterns di attività neurale è maggiormente correlata alla codifica cosciente.

 

Roberto Colonna  

BM&L-Febbraio 2010

www.brainmindlife.org   

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 



[1] Si fa, in genere, il paragone con il tempo minimo richiesto per l’elaborazione cognitiva automatica di uno stimolo visivo che deve dar luogo ad una risposta motoria, come nella misura computerizzata dei tempi di reazione visiva. In questo caso, appena il soggetto vede uno stimolo sullo schermo del computer deve premere un tasto che ha già sotto il suo dito: nell’insieme il tempo della via occhio-cervello, più il tempo centrale di processo, più la percorrenza cervello-dito è in media nell’ordine dei 200-300 millisecondi, nella maggior parte delle prove realizzate con soggetti sani non esercitati di ogni età.