L’ATTIVITA’ DEL CERVELLO E IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE

 

 

Anche se siamo ancora lontani dalla possibilità di conoscere il modo in cui il cervello codifica le parole e, probabilmente, per molto tempo continueremo a studiare separatamente la codifica sensoriale verbo-acustica, quella verbo-motoria, quella verbo-grafica e così via, l’esame dell’attività cerebrale che ragionevolmente possiamo mettere in relazione col valore semantico dei lemmi della lingua che usiamo per comunicare, è molto importante perché ci avvicina ai processi più astratti che costituiscono l’essenza noetica della nostra capacità di  pensiero verbale e di comunicazione.

Una procedura razionale per ricavare da quadri di attività encefalica criteri per definire schemi morfo-funzionali corrispondenti alle parole, consisterebbe nello studio delle risposte cerebrali a tutti i vocaboli del dizionario e in un lavoro di confronto e discriminazione per ottenere una sorta di impronta digitale appartenente a ciascuna parola. Purtroppo non è possibile procedere in questa maniera, e i complessi problemi posti dalla distanza che sussiste fra il livello funzionale esplorabile e i concetti semantici, impongono la realizzazione di modelli computazionali in base ai quali interpretare i patterns di attività.

Mitchell e i suoi collaboratori hanno realizzato un modello computazionale in grado di prevedere i patterns fMRI di attività cerebrale associati al significato di singole parole (Mitchell T. M., et al. Predicting human brain activity associated with the meaning of nouns. Science 320, 1191-1195, 2008).

Prima di proporre un beve resoconto dello studio, è necessario premettere che da quando furono messe a punto le prime reti neurali allo scopo di avere dei simulatori in grado di apprendere, più simili a circuiti neuronici animali che a softwares esplicitamente programmati, è trascorso molto tempo. Le reti neurali basate sull’algoritmo di back-diffusion e sulle “unità nascoste” presentavano molti limiti ed erano difficili da addestrare. Oggi esistono istituti scientifico-tecnologici interamente dedicati alle macchine che apprendono e in grado di sviluppare modelli di processi intelligenti veramente interessanti. In questo ambito di studio si colloca la ricerca condotta da Mitchell e colleghi presso il Machine Learning Department della School of Computer Science presso la Carnagie Mellon University di Pittsburg.

I ricercatori hanno determinato le componenti semantiche di 60 nomi concreti tratti da 12 categorie di significato comprendenti animali, abbigliamento, strumenti e veicoli. Poi, hanno verificato la frequenza con la quale questi nomi apparivano in prossimità di 25 verbi che denotano sia atti motori che sensori, in una banca dati di testi contenente un totale di 1.000.000.000.000 (un milione di milioni) di parole. A ciascun verbo era assegnato un valore per ciascun nome, basato sulla frequenza di co-occorenza. In tal modo al computer era possibile creare dei marchi semantici (semantic signature) che catturassero il significato di ciascun nome. Ottenuto questo riferimento, i ricercatori hanno rilevato i patterns di attività corrispondenti ai 60 nomi in 9 volontari, ai quali si chiedeva di pensare a ciascuno dei nomi quando lo vedevano apparire su uno schermo posto all’interno dello scanner fMRI che esaminava la loro attività cerebrale.

Mitchell e i suoi colleghi hanno messo a punto un modello computazionale in grado di imparare a mettere in relazione lo schema neurale e quello semantico di ogni nome. Il modello è stato addestrato per 58 dei nomi e poi è stato impiegato per prevedere lo schema neurale, in base a quello semantico, delle due parole rimanenti.

I patterns di attivazione prevista incontravano quelli ricavati dalla fMRI per i due nomi con un’accuratezza del 77%. Quando il modello è stato nuovamente addestrato con 59 nomi e poi gli è stata data l’immagine fMRI del nome escluso, si è visto che riusciva a scegliere il nome corretto da una lista di 1001 parole con il 72% di precisione rispetto alla categoria.

Ma l’aspetto forse più interessante di questa ricerca può così essere sintetizzato:  quando i ricercatori hanno valutato l’attivazione neurale che il modello associava con ciascuno dei 25 verbi, hanno visto che le aree del cervello che associava al verbo “mangiare” includevano la corteccia gustativa e, per il verbo “correre”, includevano la parte del lobo temporale implicata nella percezione del moto biologico. Ciò suggerisce che fra le aree cerebrali che possono codificare il significato di un verbo vi sono le aree attivate quando una persona esegue l’azione significata dal verbo.

Questo modello sembra dunque idoneo allo studio della codifica semantica dei nomi concreti da parte del cervello, offrendo la possibilità di ricavare le impronte funzionali mediante la simulazione, senza procedere a migliaia di sezioni tomografiche funzionali. L’estensione dello schema semantico dei nomi con l’inclusione degli aggettivi potrebbe ulteriormente migliorare il modello computazionale, più specificamente potrebbe conferirgli l’abilità di distinguere gli schemi neurali di nomi di una stessa categoria, compito nel quale il modello si è rivelato carente.

Lavorare alla rifinitura di questo strumento di simulazione computerizzato, potrebbe consentire di prevedere la rappresentazione neurale di concetti più astratti, tuttavia si deve rilevare che con soli 25 verbi per definire semanticamente dei nomi, il modello ha già prodotto schemi abbastanza accurati, rivelando che le rappresentazioni neurali dei nomi concreti sono almeno in parte basate sulle componenti sensoriali e motorie dell’oggetto.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Giugno 2008

www.brainmindlife.org