CATEGORIZZAZIONE VISIVA SENZA LA CORTECCIA PREFRONTALE LATERALE

 

 

Nelle scienze biologiche che studiano il cervello, per categorizzazione si intende un processo cognitivo di base che aiuta gli individui di una specie a distinguere fra gruppi di animali e di elementi della realtà esperita, ripartendoli generalmente in positivi o negativi in funzione di valori evolutivi legati alla sopravvivenza dell’individuo e della specie: prede e predatori, cibi nutrienti e sostanze tossiche, e così via. Recenti esperimenti condotti sulle scimmie, hanno suggerito che la corteccia prefrontale laterale partecipi all’apprendimento e all’elaborazione delle categorie basate sulla percezione visiva, insinuando un dubbio che, se confermato, modificherebbe non di poco l’attuale ripartizione regionale di alcuni ruoli neurofisiologici dei sistemi corticali.

Infatti, nell’uomo la possibilità di un intervento di quest’area corticale del lobo frontale è stata esclusa, e una classica prova anatomo-clinica a supporto di questa esclusione è rappresentata dallo sviluppo di agnosia visiva per specifiche categorie di oggetti in seguito al danno della corteccia temporale inferiore, ma mai per lesione della corteccia prefrontale. Barry Richmond ha voluto verificare la fondatezza di questa ipotesi con Richard Saunders, suo collaboratore presso il Laboratory of Neuropsychology, National Institute of Mental Health, NIH, Department of Health and Human Services, Bethesda (Maryland, USA), e con Takafumi Minamimoto che, oltre a lavorare nello stesso laboratorio dell’NIH, presta servizio presso il Department of Molecular Neuroimaging, Molecular Imaging Center, National Institute of Radiological Sciences, Chiba (Giappone) (Minamimoto T., Saunders R. C. & Richmond B. J. Monkeys Quickly Learn and Generalize Visual Categories without Lateral Prefrontal Cortex. Neuron 66, 501-507, 2010).

La corteccia prefrontale laterale è quella regione della neocorteccia che corrisponde alla superficie esterna convessa del lobo frontale, include in tutto o in parte le aree 8, 9, 10 e 46 della classificazione di Brodmann, e si arresta al margine inferiore dell’emisfero dove confina con la corteccia orbito-frontale. Le lesioni di questa regione sono responsabili della sindrome prefrontale laterale, caratterizzata da un disturbo dell’attenzione nella sua componente di focalizzazione su un elemento cognitivo (interno) o percettivo (sensoriale)[1]. All’origine di questa sindrome si ritiene vi sia un difetto di iniziativa e consapevolezza, ma tale interpretazione risente delle categorie impiegate nella diagnosi neuropsicologica e non è affatto escluso che tanto il difetto di attenzione quanto quelli relativi alla coscienza e alla forza dell’intenzionalità volontaria abbiano origine comune nel deficit di alcune routines di base fornite dai neuroni di questa parte della corteccia cerebrale. I pazienti sono generalmente apatici, apparentemente disinteressati a se stessi e al mondo e non di rado presentano sintomi di negligenza frontale con neglect visuspaziale e anomalie dello sguardo se il danno è particolarmente accentuato nell’area 8. Frequente è anche il sintomo della perseverazione. In molti casi il quadro clinico della sindrome laterale corrisponde alla cosiddetta “sindrome disesecutiva” con disturbi dell’attenzione, della pianificazione e della working memory. I pazienti appaiono frequentemente incapaci di prendere iniziative o avviare semplici azioni e, quando riescono ad avviare un’attività o un semplice compito della vita quotidiana, quasi invariabilmente non lo portano a termine[2]. Soprattutto nel caso di lesioni della corteccia di sinistra sono presenti disturbi del linguaggio che possono configurare una vera e propria afasia prefrontale[3].

Questa premessa, particolarmente rivolta al lettore non specialista, ci ricorda il quadro di conoscenza neurologica entro cui tendiamo a collocare le nuove informazioni originate dagli studi sperimentali sulla corteccia prefrontale. Un quadro che non indica un ruolo primario, diretto e imprescindibile, di questa regione neocorticale nei processi di apprendimento che consentono il formarsi di categorie visive. Poiché questa ripartizione funzionale sembra sostanzialmente simile nelle antropomorfe e nell’uomo, i ricercatori hanno deciso di sottoporre a una verifica rigorosa nella scimmia l’esito degli studi che hanno indotto ad ipotizzare una categorizzazione visiva prefrontale.

L’esperimento è stato allestito secondo un approccio comportamentale nuovo[4], con scimmie alle quali era stata praticata l’asportazione chirurgica bilaterale della corteccia prefrontale laterale e scimmie integre che fungevano da gruppo di controllo. Nel corso di un giorno e senza specifiche istruzioni, le scimmie partecipanti all’esperimento hanno imparato a categorizzare una serie di immagini di cani e gatti che sono state loro sottoposte. Le prestazioni hanno evidenziato che l’ablazione delle regioni prefrontali esterne non interferiva minimamente con l’abilità di apprendimento necessaria all’attuazione di nuove categorizzazioni visive. I primati, sia integri che sottoposti all’ablazione chirurgica, riuscivano rapidamente ad imparare e a generalizzare le categorie percettive degli stimoli visivi che venivano loro somministrati senza esplicite istruzioni.

L’esito di questa sperimentazione suggerisce che la categorizzazione percettiva visiva, con relativa generalizzazione cognitiva, avviene presumibilmente nella corteccia temporale in uno stadio precoce della fase feed-forward dell’elaborazione e senza un top-down feedback o un’integrazione di informazioni da parte della corteccia prefrontale laterale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono su questo sito.

 

Diane Richmond

BM&L-Giugno 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 



[1] Ricordiamo che questa componente dell’attenzione, consistente nel dirigere e focalizzare la cognizione su un elemento, è anche definita inclusiva o selettiva, e si contrappone all’altra componente definita escludente o repressiva e consistente nell’eliminazione delle interferenze rappresentate da altri processi originati da stimoli interni o sensoriali.

[2] Se è vero che una parte di questi pazienti presenta un vero e proprio disturbo depressivo, la maggior parte non è depressa, pertanto questi deficit comportamentali si presentano come sintomi neurologici e non psichiatrici, in un quadro di umore ed affettività pressoché normale. L’aspetto è paragonabile a quello di altre sindromi da danno focale come quelle aprassiche, agnosiche ed afasiche, soprattutto quando si presentano con integrità dell’intelligenza e dell’equilibrio affettivo-emozionale.

[3] Ricordiamo l’afasia frontale dinamica descritta da Luria. Per ulteriori dettagli sulla sindrome laterale si veda Joaquin M. Fuster, The Prefrontal Cortex, pp. 197-198, Elsevier  Academic Press, 2008.

[4] Per la descrizione della procedura si rimanda alla lettura del lavoro originale.