LA CANNABIS È CANCEROGENA OLTRE CHE LESIVA PER IL CERVELLO

 

 

E’ stato accertato da tempo che l’uso abituale di marijuana, hashish e ogni altro derivato della cannabis causa effetti di lungo termine sulla cognizione e sulla salute mentale, ma solo negli anni recenti è stato possibile documentare lesioni macroscopiche delle strutture cerebrali dovute all’assunzione dei prodotti del vegetale. In particolare, vogliamo ricordare il lavoro di Danilo Arnone e colleghi del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, proposto alla discussione lo scorso anno dal presidente di BM&L (Arnone D., et al. Corpus callosum damage in heavy marijuana use: preliminary evidence from diffusion tensor tractography and tract-based spatial statistics. Neuroimage 41, 1067-1074, 2008).

In quello studio fu adoperata una procedura di risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) sensibile all’integrità del tessuto cerebrale, combinata con una tecnica di trattografia per il mappaggio delle connessioni della sostanza bianca, al fine di indagare le modificazioni nella struttura del corpo calloso, ossia il massimo sistema associativo che collega i due emisferi cerebrali. Mediante DTI (diffusion tensor imaging) in 11 assuntori abituali di cannabis che avevano cominciato a farne uso da adolescenti, fu evidenziata un’alterazione dell’integrità dei tratti di sostanza bianca[1] e della loro coesione[2]. Nel confronto con i soggetti sani di controllo, appariva drammatica la differenza nelle aree anteriori corrispondenti al dominio del corpo calloso che collega la corteccia prefrontale dei due antimeri. Ricordiamo che questa porzione di corteccia cerebrale ha la massima importanza per la cognizione umana, in quanto sede di reti neuroniche che sono implicate nella pianificazione, nella progettazione, nel prendere decisioni e nella memoria di lavoro che sostiene le astrazioni, la comunicazione e il comportamento adattato alle circostanze. Da notare, che i rilievi dei ricercatori di Oxford erano coerenti con gli esiti di precedenti studi che avevano trovato patterns neurofunzionali alterati nei fumatori di prodotti della Cannabis sativa.

Ora, uno studio condotto presso il Department of Cancer Studies and Molecular Medicine della University of Leicester dal Cancer Biomarkers and Prevention Group, dimostra che il fumo dei derivati della cannabis ha una capacità potenziale di indurre cancerogenesi superiore a quella del fumo di tabacco, rendendo così conto anche del dato di ridotta sopravvivenza media riscontrata negli assuntori di lunga durata -soprattutto per inalazione del fumo- delle miscele vegetali contenenti il Δ9-tetraidrocannabinoide (THC) e gli altri composti con minore effetto psicotropo (Singh R., et al. Evaluation of the DNA damaging potential of cannabis cigarette smoke by the determination of acetaldehyde derived N2-ethyl-2’-deoxyguanosine adducts. Chem Res. Toxicol. 22 (6), 1181-1188, 2009).

Sono numerosissimi gli studi condotti negli ultimi decenni sulla cancerogenicità del fumo di tabacco, nel quale 69[3] degli oltre 4.700 composti presenti[4] sono classificati come carcinogeni (benzene, benzo[a]pirene, metil-nitrosammino-piridil-butanone, ecc.), mentre la ricerca sulla potenzialità oncogena e sui danni al DNA causati dagli spinelli è solo agli inizi. E’ perciò rilevante, come ha osservato Singh -uno degli autori della ricerca- l’aver accertato che il fumo dei derivati della cannabis contenga il 50% in più di sostanze cancerogene di quello prodotto dalla combustione del tabacco.

L’acetaldeide è un composto genotossico ubiquo classificato fra i carcinogeni umani, in grado di reagire con il DNA formando una base di Schiff, ossia l’N(2)-etilidene-2’-deossiguanosina (N(2)-etilidene-dG). I ricercatori hanno valutato la potenziale capacità di danneggiare il DNA da parte del fumo di sigarette di cannabis (i cosiddetti “spinelli”), mediante la determinazione delle molecole di (N(2)-etilidene-dG) dal derivato chimicamente stabile N2-etil-dG.

L’esito della sperimentazione ha dato una chiara conferma della potenziale capacità del fumo di cannabis di danneggiare il DNA, implicando che le sostanze inalate costituiscono un grave rischio per la salute umana, potendo dare avvio allo sviluppo di un cancro.

Il quadro teorico che emerge dalla valutazione oggettiva di questo studio, in una proiezione reale si aggrava ulteriormente, in quanto chi fuma marijuana e simili, tende ad inalare il fumo in maniera più profonda rispetto ai fumatori di tabacco. E’ facile prevedere, poi, che gli studi epidemiologici nel prossimo futuro forniranno un quadro molto diverso da quello odierno sulla cannabis come causa di cancro, sia perché questo ruolo non era noto, sia perché in presenza di un fattore causale principale (ad es.: fumo di tabacco per il carcinoma squamocellulare del polmone e alcool per il cancro dell’esofago) accade che si tenda a trascurare la presenza di altri fattori con un ruolo potenziale di causa o di concausa (come potrebbero essere, nel primo caso l’inquinamento ambientale e, nel secondo, un’alimentazione ricca di nitrosammine). L’Italia, insieme con la Spagna, ha il triste primato del consumo di cannabis nella popolazione fra i 15 e i 64 anni: questo problema dovrebbe preoccupare i responsabili della sanità del nostro Paese ed indurre a fare una seria campagna di prevenzione[5].

 

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Al termine di questa breve recensione raccomandiamo la lettura della scheda introduttiva nella sezione “Aggiornamenti” (BM&L sulla cannabis: Cannabinoidi e abuso di cannabis), che fornisce interessanti cenni storici, nozioni sulla pianta e sulla nomenclatura che correggono le numerose inesattezze presenti in molte trattazioni divulgative, e dati chimico-farmacologici su cannabinoidi, endocannabinoidi e recettori. Si è poi voluto, per comodità del lettore, fornire qui di seguito un quadro di estrema sintesi sui cannabinoidi con dati aggiornati di recente che possono integrare quelli esposti nella scheda[6].

 

CANNABINOIDI ESOGENI ED ENDOGENI. La clonazione nel 1990 del recettore accoppiato a proteine Gi/Go dei cannabinoidi reperito nel sistema nervoso centrale (CB1), e quella nel 1993 dell’omologo reperito alla periferia (CB2), insieme con l’identificazione di ligandi endogeni quali l’anandamide e il 2AG, hanno inaugurato lo studio di un nuovo sistema molecolare di modulazione, in passato solo ipotizzato sulla base degli effetti causati da composti psicotropi come il Δ9-tetraidrocannabinoide (THC) presente nei derivati di alcune varietà della Cannabis sativa.

L’effetto psichico principale del THC consiste nell’induzione di uno stato di distensione psichica con un miglioramento del tono dell’umore; gli altri effetti includono l’aumento dell’appetito e un’alterazione cognitiva, verosimilmente reversibile, riguardante processi importanti per l’attenzione e la memoria. Meno frequenti, ma pure abbastanza comuni, sono le reazioni ansiose, le crisi di panico e un funzionamento mentale che ricorda le psicosi paranoidee, con deliri di riferimento talvolta caratterizzati dall’identificazione di persecutori, e l’espressione di sentimenti di superiorità. A molti effetti del THC fa seguito lo sviluppo di tolleranza, che poi scompare rapidamente. La sospensione dell’uso, quando si sia creata dipendenza, può giungere ad una vera e propria sindrome da astinenza, ma la sintomatologia è in genere molto lieve e non comparabile con quella causata da oppioidi come la diacetil-morfina (eroina). L’astinenza da cannabinoidi, come quella da derivati oppiacei, è caratterizzata dall’upregulation della via dell’AMP-ciclico, ma nella dipendenza da THC questo fenomeno si verifica prevalentemente nel cervelletto e, verosimilmente, anche per questo motivo la sua gravità è minore.

 

Gli effetti dei cannabinoidi nel sistema nervoso centrale sono mediati dal recettore CB1. E’ importante subito sottolineare che nell’encefalo umano potrebbero esistere altri recettori per queste molecole e, infatti, sono in corso studi volti alla loro identificazione.

Il CB1 si può considerare il recettore accoppiato a proteine G di gran lunga più abbondante nel cervello dei mammiferi, con alta espressione nei nuclei della base, nel cervelletto, nell’ippocampo, nella corteccia e nel tronco encefalico. Le principali funzioni in cui il sistema cannabinoide interviene come modulatore riflettono la distribuzione anatomica dei neuroni con la maggiore densità del recettore: l’attività motoria, l’apprendimento, la memoria, la motivazione e la percezione del dolore.

La maggior parte dei CB1 ha una localizzazione presinaptica sui terminali inibitori degli interneuroni GABA e su quelli eccitatori dei neuroni glutammatergici; in tale sede i recettori agiscono riducendo il rilascio dei neurotrasmettitori mediante l’inibizione delle correnti di Ca2+ e la regolazione dei canali del K+. Ricordiamo che, oltre all’azione su GABA e glutammato, è stata descritta l’inibizione del rilascio anche di altri neuromediatori. I CB1 sono anche accoppiati all’inibizione dell’adenilil-ciclasi e all’attivazione della via della MAP kinasi/ERK, così come ad altre cascate di reazioni di proteinchinasi che regolano l’espressione genica. Importante notare che, come altri recettori accoppiati a proteine G, i CB1 vanno incontro a desensibilizzazione indotta dagli agonisti.

I cannabinoidi condividono con altre sostanze psicotrope d’abuso la proprietà di aumentare la frequenza di scarica dei neuroni dopaminergici della VTA ed aumentare il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens. Il sistema degli oppioidi endogeni (endorfine) gioca un ruolo nell’azione dei cannabinoidi sul rilascio di dopamina e, più in generale, potenzia gli effetti dei cannabinoidi.

 

I ligandi endogeni per i recettori CB sono definiti endocannabinoidi. I due endocannabinoidi più studiati sono l’anandamide (N-arachidonil-etanolammina) e il 2AG (2-arachidonilglicerolo). Alcuni passi negli eventi che portano alla sintesi degli endocannabinoidi sono calcio-dipendenti; questo dato spiega come la depolarizzazione neuronica, che aumenta i livelli intracellulari di calcio post-sinaptico, sia in grado di stimolare la sintesi e il rilascio di queste molecole. Alcuni recettori di neurotrasmettitori, quali i recettori per la dopamina D2, sono in grado di stimolare la formazione di endocannabinoidi, probabilmente agendo sui livelli post-sinaptici di calcio o su vie di segnalazione implicate nella sintesi degli stessi ligandi dei CB.

Un aspetto peculiare riguarda il meccanismo di rilascio che, a differenza della neurotrasmissione classica e peptidica, non si basa sull’accumulo in vescicole dopo la sintesi con esocitosi conseguente all’arrivo del potenziale d’azione, ma sembra avvenire secondo una modalità “a richiesta”, priva del mezzo vescicolare.

Gli endocannabinoidi hanno origine lipidica e natura idrofobica: tali caratteristiche hanno sollevato domande circa le modalità con le quali attraversino lo spazio extracellulare e, ad oggi, l’ipotesi più accreditata postula l’esistenza di proteine trasportatrici.

 

Gli endocannabinoidi funzionano da messaggeri retrogradi. Anandamide e 2AG sono rilasciate dal neurone post-sinaptico e si legano ai recettori CB1 siti sulla membrana presinaptica o sui terminali di neuroni vicini. La segnalazione retrograda degli endocannabinoidi è essenziale per varie forme di plasticità sinaptica avviate da depolarizzazione del neurone post-sinaptico con aumento dell’ingresso di calcio e diminuita probabilità di rilascio del trasmettitore; esempi di ciò sono varie forme di depressione di lungo termine (LTD) che si osservano nelle sinapsi a GABA dell’ippocampo e dell’amigdala e nelle sinapsi a glutammato dello striato e del nucleo accumbens[7].

L’assunzione esogena di marijuana, hashish ed altri derivati della cannabis può alterare gli effetti sinaptici mediati dagli endocannabinoidi, conducendo ad una plasticità sinaptica abnorme. In tal modo si spiegano, nei consumatori dei derivati del vegetale, tanto le alterazioni della memoria di breve termine e dell’apprendimento, quanto gli effetti di ricompensa e di alterazione della motivazione.

 

Esistono varie somiglianze fra il sistema degli oppioidi e quello degli endocannabinoidi.

Il recettore μ per gli oppioidi ed il CB1 sono recettori accoppiati a proteine Gi/Go e condividono alcuni meccanismi di segnalazione ed alcune azioni cellulari, come l’inibizione presinaptica. Oppioidi e cannabinoidi producono entrambi effetti analgesici e di ricompensa. Entrambi i sistemi sono parte integrante del circuito a ricompensa e perciò partecipano alle risposte di altre classi di sostanze psicotrope. Per esempio, negli animali il blocco della trasmissione di endocannabinoidi attenua il ristabilirsi del comportamento di richiesta di eroina e cocaina e riduce la spinta al consumo di alcool. E’ probabile che il meccanismo implichi la modulazione mediata da CB1 della trasmissione sinaptica e della plasticità in regioni del cervello attive nei processi a ricompensa alterati dalle sostanze psicotrope, in particolare la VTA, il nucleo accumbens, lo striato dorsale e l’amigdala. Per tale ragione si ipotizza che farmaci agenti sulla neurotrasmissione del sistema cannabinoide endogeno potranno essere utili nel trattare alcuni aspetti della dipendenza.

 

I dati di questo quadro sintetico sono tratti da Giuseppe Perrella, Appunti di Neurochimica 2008/2009. BM&L, Firenze 2009. L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Nicole Cardon

BM&L-Settembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 



[1] In base alla MD, ossia mean diffusivity.

[2] Mediante FA, ovvero fractional anisotropy.

[3] Di questi, 7 appartengono alla categoria 1 della classificazione IARC (OMS), 11 alla categoria 2A e 49 alla categoria 2B.

[4] Il numero si riferisce ai composti identificati, quelli isolati nel loro complesso superano i 12.000. Qui si fa riferimento solo ai 69 composti che rispondono ai criteri per la definizione dei carcinogeni, ma il numero complessivo di agenti tossici o potenzialmente dannosi contenuti nel mainstream smoke (il fumo attivo) e nel sidestream smoke (che costituisce il fumo passivo e include la parte che direttamente origina dalla brace della sigaretta e quella espirata nell’ambiente dai fumatori) è molto più alto.

[5] L’autrice della nota auspica che si faccia prevenzione mediante lo studio di nozioni scientifiche sulla nocività delle sostanze psicotrope d’abuso nelle scuole di ogni ordine e grado (con scelta e adattamento dei contenuti) e di incontri formativi per i docenti a cura delle società scientifiche biomediche nazionali ed internazionali. Che si introducano regolamenti nelle scuole e sui luoghi di lavoro con penalizzazioni per gli studenti e sanzioni pecuniarie per tutti i dipendenti, con particolare aggravio per le figure con compiti di maggiore responsabilità. Si spera che non si voglia, invece, ridurre la prevenzione a costosissimi spots pubblicitari televisivi che, come accadde anni or sono per il tabagismo negli USA, non ebbero alcun effetto. Gli effetti sulla riduzione delle morti causate dal fumo di tabacco negli USA si devono prevalentemente a campagne educative e divieti con sanzioni pecuniarie e, in parte, ad incentivi per aziende e istituti che realizzassero e custodissero dei no smoking environments. Ricordiamo iniziative come quella di Clint Eastwood che, in qualità di sindaco della città californiana di Carmel, agli inizi degli anni Novanta propose al mondo la prima smoking free city, nella quale era vietato fumare anche negli spazi aperti oltre che nei locali pubblici.

[6] Tutti i dati riportati nella scheda introduttiva dell’aggiornamento (BM&L SULLA CANNABIS) sono da ritenersi esatti e confermati, ma possono essere integrati da questo sintetico aggiornamento. Ad esempio, fino alla data dell’estensione della scheda (2005) si avevano evidenze sperimentali certe solo per l’anandamide come endocannabinoide, successivamente si sono avute conferme convincenti anche per il 2AG.

[7] Il sistema degli endocannabinoidi, importante nel fenomeno della metaplasticità sinaptica, è sottoposto a livelli più alti di controllo. In particolare, Edwards, Zhang ed Alger, hanno studiato la mobilizzazione di endocannabinoidi da parte del gruppo I di recettori metabotropici del glutammato (mGluR) nelle cellule piramidali dall’area CA1 dell’ippocampo (si veda la recensione di Roberto Colonna in “Note e Notizie 05-07-08 Un meccanismo di regolazione degli endocannabinoidi”).