LA BASE NEURALE DEL FILTRO PER LA MEMORIA

 

 

Fin dai primordi dello studio neuropsicologico della memoria, che distingueva una funzione di lungo termine da una di breve termine, fu postulata l’esistenza di un’attività di conservazione delle tracce che seguisse e consentisse lo svolgimento dei compiti della vita quotidiana. Su tale modello i cibernetici idearono un equivalente artificiale che diede luogo alla RAM dei computers.

Attualmente è noto che la nostra memoria di funzionamento (working memory o WM) può contenere o gestire solo pochi elementi per volta, come è facile riscontrare mediante le misure di span (estensione) che si possono effettuare con semplici esercizi computerizzati; perciò si cerca di comprendere come avvenga la selezione dell’enorme quantità di dati registrati dal nostro apparato percettivo-cognitivo. L’opinione prevalente fra i ricercatori è che esista una funzione di filtro in grado di escludere dalla WM le informazioni irrilevanti, ossia una procedura che possiamo paragonare a quella dei programmi che eliminano lo spamming dalla nostra posta elettronica.

L’identificazione della base biologica di una tale funzione è una sfida raccolta da molti ricercatori, fra questi, McNab e Klingberg dello Stockholm Brain Institute (Karolinska Institutet), hanno condotto uno studio mediante fMRI (risonanza magnetica funzionale) ed esercizi cognitivi assistiti da computer, rilevando una base anatomo-funzionale per il controllo dell’accesso alla WM (McNab F. & Klingberg T. Prefrontal cortex and basal ganglia control access to working memory. Nature Neuroscience 11 (1), 103-107, 2008).

I due autori dello studio hanno concepito un esperimento costituito da due tipi di prova, il primo senza elementi di distrazione, il secondo con un elemento distraente. In pratica, i partecipanti dovevano ricordare la posizione di cerchi rossi e gialli sullo schermo di un computer: all’inizio di ogni prova una scritta, che rimaneva per 3-5 secondi, indicava se si dovesse ricordare la posizione dei cerchi di entrambi i colori (prove senza distrazione) o solo dei cerchi rossi (prove con elemento distraente); in questo secondo caso i cerchi gialli fungevano da elemento irrilevante che all’inizio della prova i volontari sapevano di dover ignorare.

Lo studio dell’attività cerebrale durante la fase di preparazione alla prova, ossia dopo aver saputo se si dovesse ricordare anche la posizione dei cerchi gialli, ha fornito un risultato ben definito. Nelle prove con elemento distraente, l’attività nella circonvoluzione frontale media e nei nuclei della base di sinistra era notevolmente più alta, indicando che in queste aree hanno sede le reti impegnate nella preparazione ad esercitare il filtro.

L’attività preparatoria del filtro nella corteccia prefrontale e nel nucleo pallido (globus pallidus, parte mediale del nucleo lenticolare) correlava positivamente con la capacità della WM dei partecipanti.

A questo punto i ricercatori hanno provato a verificare se questa attività preparatoria determinasse effettivamente l’immagazzinamento di un minor numero di elementi distraenti.

In precedenti ricerche è stato dimostrato che l’immagazzinamento dell’informazione, indipendentemente dalle sue caratteristiche, ovvero che si tratti o meno di elementi importanti, richiede l’intervento della corteccia del lobo parietale.

McNab e Klingberg hanno rilevato che l’attività preparatoria di filtro dei neuroni del nucleo pallido presentava una correlazione negativa con quella della corteccia parietale impegnata nell’immagazzinamento di dati distraenti. Infatti, l’elevata attività preparatoria determinava la registrazione di un minor numero di “distrattori” con un conseguente miglioramento nell’efficienza della WM.

L’analisi dei risultati di questo studio indica chiaramente che il nucleo pallido svolge un ruolo importante nell’esclusione dell’informazione che non deve aver accesso alla WM; per ciò che concerne l’attività della corteccia prefrontale, l’interpretazione è -come sempre- più difficile, per il gran numero di compiti cognitivi di base che questa struttura svolge, ma sembra ragionevole supporre che possa contribuire al processo, conferendo elementi distintivi (flagging) all’informazione che è necessario o opportuno ricordare.

Se questa schematica base neurale del processo di filtro troverà conferma in ulteriori studi, si potrà supporre che le variazioni nell’attività e nelle connessioni di queste aree siano alla base di differenze individuali nella capacità della WM e di alcuni processi rilevanti nei disturbi con deficit dell’attenzione.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Febbraio 2008

www.brainmindlife.org