AUTISMO
NUOVE
PROSPETTIVE PER LA DIAGNOSI
Chi si occupa del
trattamento dei bambini autistici conosce bene la distanza che esiste fra le
categorie diagnostiche basate sul loro comportamento e la possibilità di capire
qualcosa dei loro processi cognitivo-strumentali. L’ipotesi etiopatogenetica
che riportava l’autismo infantile ad una risposta psicologica a
condizioni frustranti, per decenni è stata la più accreditata. Si trattava di
una congettura psicodinamica -ossia fondata su una teoria psicoanalitica- che
considerava le reazioni del bambino alla stregua di quelle dell’adulto. Poco
per volta, negli ultimi vent’anni, soprattutto grazie agli studi condotti
mediante risonanza magnetica nucleare ed altre tecniche di neuro-imaging, si è
fatta strada l’idea che nella quasi totalità dei casi siano presenti
alterazioni strutturali dell’encefalo. Ne sono state descritte molte, fra cui
l’ipodisplasia di regioni del lobo limbico e delle confinanti aree temporali,
alterazioni del tronco encefalico come l’assenza del nucleo olivare superiore e
di un’intera striscia di tessuto nervoso, l’atrofia del cervelletto
-particolarmente in alcune strutture della linea mediana- e, da ultime, ma con
la massima importanza funzionale, le alterazioni del neoencefalo.
La patogenesi consistente in una disgenesia e agenesia
di gruppi di neuroni che alterano i processi di interazione durante lo
sviluppo, introduce una distinzione importante sia per la comprensione dei
processi psichici, sia per la terapia. Infatti la causa psicogena faceva
ipotizzare un cervello normale per certi versi quiescente per effetto di
un’inibizione reattiva. Si poteva concedere che la condizione di ritiro
autistico, riducendo la normale interazione relazionale che accompagna e
modella lo sviluppo, ne inducesse un ritardo come epifenomeno.
Viceversa, l’esistenza di un difetto strutturale vuol dire che l’encefalo non
può esplicare correttamente le funzioni procedurali di base che gestiscono le
percezioni ed amministrano i patterns di movimento.
Negli ultimi due decenni,
soprattutto in Italia e in Francia, alcune scuole di psicologia hanno condotto
una vera e propria battaglia ideologica contro l’eziologia organica
dell’Autismo, negando la validità delle diagnosi nei casi studiati mediante
risonanza magnetica o tecniche di medicina nucleare quali la PET (tomografia ad
emissione di positroni). La diffusione dei criteri del DSM (ora nella versione
IV-TR) ha consentito di avere una base condivisa per la diagnosi e di correlare
le alterazioni encefaliche, senza possibilità di dubbio, a quadri di sindrome
autistica.
La dimostrazione delle alterazioni strutturali avvalora lo
studio delle prestazioni cognitivo- strumentali a scopo diagnostico e
terapeutico. Da circa un decennio sono state fatte osservazioni sulle anomalie
percettivo-cognitive di bambini con condotte autistiche (Giuseppe Perrella e
coll. Caratterizzazione di prestazioni visuo-motorie in bambini autistici, Cognitive
Science Club 2, 3-6, 1993), rilevandone la presenza costante come
importante riferimento per la diagnosi e la terapia. Una di queste anomalie è
stata studiata da Susan Bryson e dal suo dottorando Reginald Landry della New
York University e dell’Hospital for Sick Children di Toronto: la costante
presenza dell’anomala risposta, facilmente rilevabile mediante un test
computerizzato, consentirà di mettere a punto un nuovo protocollo diagnostico
su basi più certe ed affidabili.
BM&L- Dicembre 2003