ATTI SESSUALI NEL SONNO E SESSOSONNIA: UN DIFFICILE PROBLEMA

 

 

Anche se la finzione cinematografica, proseguendo un’antica tradizione di trame teatrali, è prodiga di episodi in cui un partner annuncia all’altro di aver avuto rapporti sessuali con questi a sua insaputa durante il sonno o una sbronza, la maggior parte delle persone adulte sa per personale esperienza che un’attiva partecipazione, anche agli atti più istintivi dell’amore fisico, richiede la condizione psicofisiologica della veglia.

Ciò è vero, non solo perché in quella speciale comunicazione non-verbale la scelta degli atti finalizzati, dei gesti effusivi e delle risposte adeguate richiede una guida intenzionale cosciente dei repertori automatici patrimonio della specie, ma anche perché l’intercorso implica sollecitazioni tattili e cinestesiche d’intensità sufficiente a produrre, mediante le scariche eccitatorie del sistema reticolare, l’attivazione nella corteccia cerebrale dello stato di veglia.

L’effetto di sostanze psicotrope in grado di deprimere la coscienza può complicare il quadro, ma il risultato non contraddice l’esperienza comune, perché non si registrano rilevanti dissociazioni fra stato mentale e comportamento, e generalmente si nota un grado di passività che cresce proporzionalmente alla riduzione della coscienza. Pertanto si può affermare, un po’ semplificando, che se una persona è del tutto incosciente sarà anche completamente passiva nella condizione di intimità, sicché in tale ipotesi non sussisterà lo status del rapporto sessuale, ed un atto compiuto su una persona in tale circostanza potrà facilmente configurare una situazione di abuso.

Una condizione ben diversa è rappresentata dal caso, spesso confuso con i precedenti, in cui un soggetto è cosciente durante l’amplesso, ma per effetto di un’amnesia, spesso a carattere dissociativo, ne perde completamente il ricordo.

Tanto si ricava dall’ordinaria esperienza relativa a persone non affette da specifici disturbi sessuali, del sonno o di altro genere, e dall’osservazione dell’effetto su tali soggetti di dosi non elevate delle sostanze psicotrope di più comune impiego; aver presente questo quadro torna utile per tracciare una netta linea di demarcazione tra il fisiologico e il patologico nelle riflessioni su una nuova tipologia di manifestazioni connesse con la sfera sessuale e insorgenti nelle ore notturne. Vediamo, in breve, i termini della questione e i motivi del nostro interesse.

Negli ultimi anni sono state descritte, in persone in apparente stato di sonno, varie forme di attività erotica fino a rapporti sessuali fisiologici, e veri e propri atti di violenza sessuale. Gli autori che per primi li hanno proposti all’attenzione della comunità scientifica, hanno fatto rientrare questi comportamenti, posti in essere prevalentemente durante il primo terzo dell’arco di tempo durante il quale il soggetto dorme, nella categoria diagnostica dei disturbi del sonno; ma si può osservare che, considerata la scarsa conoscenza che abbiamo della loro eziopatogenesi, potrebbero, del pari, essere ritenuti disturbi psichici che alterano il sonno.

L’interpretazione di queste manifestazioni e la loro collocazione nosografica sono ancora controverse, perciò non meravigliano le accese polemiche e gli intensi dibattiti sorti quest’estate a seguito della pubblicazione, su un’autorevole rivista di medicina legale, di un articolo di Ebrahim del London Sleep Center, in cui si cita il caso giudiziario di un imputato assolto da tre accuse di stupro sulla base della diagnosi di “automatismo dovuto a comportamento sessuale sonnambulistico” (Sonnambulistic sexual behaviour (sexsomnia). J. Clin. Forensic Med. 13, 219-224, 2006).

La questione non è di poco momento perché investe i limiti della diagnosi di sonnambulismo, ma soprattutto perché riguarda la natura dei processi cerebrali alla base di questi fenomeni. Per un migliore inquadramento della problematica sarà necessario attendere il raggiungimento di risultati inequivocabili e definitivi da parte della ricerca che studia l’eziopatogenesi, perché l’esatta conoscenza della fisiopatologia dei sistemi neuronici responsabili dei sintomi potrà definire un preciso vincolo biologico per tutte le costruzioni interpretative psicologiche e psicopatologiche, fornendo un miglior fondamento al ragionamento giuridico volto a stabilire l’esistenza dei requisiti di responsabilità ed imputabilità. Oggi, in assenza di un preciso riferimento a conoscenze sperimentali, non si può far altro che l’analisi critica degli elementi in nostro possesso.

Ripercorriamo attraverso le due tappe più significative il breve percorso che ha preceduto l’articolo di Ebrahim.

Nel 1999 Alves e dieci suoi collaboratori del Centro de Estudos do Sono dell’Università di San Paolo del Brasile studiano in dettaglio, mettendola in relazione con l’attività elettroencefalografia del sonno, una forma di parasonnia caratterizzata da comportamento sessuale in un giovane di 27 anni con anamnesi familiare positiva per il sonnambulismo, del quale era affetto egli stesso. In precedenza erano stati descritti sette casi di attività sessuali strutturate in soggetti dormienti, ma non erano stati messi in relazione con un disturbo del sonno in maniera così definita. Nel caso clinico descritto da Alves e colleghi, il primo episodio sonnambulico si ebbe all’età di 9 anni e, dai venti anni di età, cominciarono a manifestarsi durante il sonno episodi di comportamento violento e gravemente distruttivo che procurarono lesioni, oltre che allo stesso paziente, alla consorte ed al loro piccolo bambino. La moglie del giovane riferì agli psichiatri che negli ultimi quattro anni si erano anche verificati frequenti episodi di “amnesia sessuale”: il marito ne cercava spontaneamente l’intimità, facendola oggetto di attenzioni ed effusioni fino a giungere a rapporti sessuali completi e protratti, ma dopo mostrava di non ricordare assolutamente nulla. Da notare che il fratello del paziente, pur essendo del pari sonnambulo, non era mai andato incontro ad alcuna di tali manifestazioni. L’insieme delle peculiarità presentate da questo caso si possono riassumere nella presenza contemporanea di un disturbo comportamentale del sonno REM, e di sonnambulismo violento e non-violento con comportamenti sessuali durante il sonno NREM. Un ultimo, ma non irrilevante dato, riguarda la terapia: 2 mg al giorno di clonazepam potevano sopprimere la complessa sintomatologia (Alves R., et al. Sexual behavior in sleep, sleepwalking and possible REM behavior disorder: a case report. Sleep Res. Online 2, 71-72, 1999).

Nel 2003 Shapiro, Trajanovic e Fedoroff dell’Università di Toronto, in un lavoro che ha l’obiettivo dichiarato di descrivere una nuova parasonnia e il non celato scopo di attribuirsi la paternità della definizione di un nuovo disturbo psichiatrico, coniano il termine “sexsomnia” (reso in italiano con sessuosonnia o sessosonnia) per indicare il complesso dei comportamenti erotici manifestati da undici pazienti durante le fasi di sonno ad onde lente (NREM). Come è noto le parasonnie, il prototipo delle quali è il sonnambulismo, consistono nell’anomala attivazione durante il sonno di sistemi fisiologici normalmente attivi nella veglia; un tratto ritenuto caratterizzante, soprattutto dagli psichiatri del Nord-America, è l’insorgenza durante le fasi NREM, ossia quelle non accompagnate dai rapidi movimenti degli occhi (REM) associati all’attività onirica. La sessosonnia sembra, pertanto, possedere i requisiti che soddisfano i criteri per la definizione di parasomnia, ma, affinché non la si ritenga una particolare manifestazione di sonnambulismo, Shapiro, Trajanovic e Fedoroff hanno proposto una distinzione basata su tre caratteristiche del disturbo sessuale: 1) risveglio automatico più marcato; 2) attività motorie relativamente ristrette e specifiche; 3) frequente presenza di stati mentali legati al sogno (Sexsomnia – a new parasomnia? Can J Psychiatry 48, 311-317, 2003).

Da questa prima definizione di sessosonnia, ormai largamente accettata oltre oceano, sembra sia trascorso molto tempo, se giudichiamo il tono che traspare dalla forma in cui sono scritte le pubblicazioni più recenti, dalle quali si può ricavare l’impressione che vi sia una scienza consolidata a supporto della nuova categoria nosografica, anche se è facile rendersi conto che nulla di nuovo e rilevante è stato accertato negli ultimi tempi. Alcune delle prudenti e provvisorie formulazioni iniziali sembrano essere scomparse, per lasciare il posto ad un rigido schematismo dovuto a null’altro che alla scelta di adottare una nuova convenzione nella classificazione e non a progressi nella conoscenza che abbiano risolto i numerosi dubbi sulla natura di tali disturbi.

L’elenco di tutte le obiezioni che si possono muovere all’adozione di un criterio che include nella stessa categoria la vocalizzazione notturna di parole dal valore semantico erotico e la messa in atto di un’azione violenta e criminosa come uno stupro, prenderebbe pagine e pagine investendo, probabilmente, temi e problemi che esulano dai limiti di questo scritto e dalle competenze di chi scrive, oltre che argomenti di altre aree calde del dibattito in psichiatria, quale quella relativa ai criteri nosografici imposti dalla commissione dell’APA attraverso il manuale DSM, o la discussione sui metodi, sui fini e sull’utilità delle categorie diagnostiche in psichiatria. Ci limiteremo, pertanto, solo ad alcuni rilievi critici strettamente inerenti alla caratterizzazione del disturbo, anche allo scopo di tener vivi nella nostra mente alcuni problemi irrisolti dalla creazione di codesta nuova casella nosografica e, ci sia consentito, per stimolare anche chi legge, affinché non ne resti passivo l’intelletto di fronte all’apparenza di un hortus conclusus, in osservanza di quella vecchia definizione dei pionieri delle scienze cognitive che poneva al primo posto, fra i tratti distintivi dell’intelligenza, la capacità di porsi un problema.

La prima questione che discuteremo brevemente riguarda il sonnambulismo come prototipo di parasonnia e la sua distinzione dalla sessosonnia.

Un punto, su cui l’insegnamento tradizionale delle scuole di psichiatria europee ed il DSM-IV-TR concordano, è l’importanza e insieme la difficoltà di distinguere il sonnambulismo dalla simulazione o da altri comportamenti volontari che si verificano durante la veglia. A tal fine il manuale diagnostico e statistico dell’American Psychiatric Association suggerisce: “Manifestazioni che fanno pensare ad un Disturbo di Sonnambulismo includono una storia positiva nella fanciullezza, comportamenti low complexity o stereotipati durante gli episodi di sonnambulismo, assenza di vantaggio secondario derivante dal comportamento notturno e presenza di tipici reperti polisonnografici quali ripetuti risvegli dal sonno NREM. Inoltre, per certi soggetti è difficile apparire o comportarsi come un sonnambulo sotto diretta osservazione o in una registrazione video fatta nel laboratorio del sonno” (DSM-IV-TR, 687-688, ed. It., Masson 2001).

Dunque, perché si possa dire di trovarsi in presenza di un sonnambulo e non di un abile simulatore o di una persona affetta da un disturbo psichico che ne altera le attività coscienti, è necessario che il comportamento sia caratterizzato da bassa complessità o da stereotipie, come si addice ad un automatismo privo di accesso alle modulazioni della coscienza, cieco ai numerosi feed-backs provenienti dall’ambiente e sordo alle esigenze della comunicazione. La sessosonnia, caratterizzata da Shapiro, Trajanovic e Fedoroff per attività motorie specifiche, prevede comportamenti altamente organizzati in alcuni casi. Infatti, oltre a violente masturbazioni che possono essere messe in atto con semplici gesti ripetitivi, sono riportati casi di uomini che compiono atti sessuali completi ed articolati scegliendo, oltre alla comune penetrazione vaginale, la penetrazione orale ed anale (Ebrahim et al. Sonnambulistic sexual behaviour (sexsomnia). J. Clin. Forensic Med. 13, 219-224, 2006). La descrizione di questi comportamenti complessi contrasta apertamente con il criterio di bassa complessità e stereotipie di moto.

Un altro criterio per la diagnosi differenziale è l’assenza di vantaggio secondario dovuto al comportamento notturno. Nel caso descritto da Alves nel 1999 è difficile pensare all’assenza di un vantaggio secondario: il giovane brasiliano presentava comportamenti violenti ed aggressivi che avevano indotto timore nella partner, solo dopo anni è comparsa l’attività sessuale in sonno che ha in parte sostituito il comportamento aggressivo ed è stata bene accetta dalla moglie. Come non ritenere la reazione positiva della moglie un classico effetto collaterale positivo del sintomo o, come si dice nel gergo psichiatrico di origine psicoanalitica, un vantaggio secondario?

Fino a questo punto, quindi, l’aderenza al modello del sonnambulismo come parasomnia da parte della sessosonnia è quanto meno problematica, tuttavia si può obiettare che il sonnambulismo sia ritenuto prototipo perché forma più nota e frequente, ma potrebbe non essere un modello astratto e completo delle caratteristiche di ogni parasonnia, senza che ciò infici il criterio dell’esistenza della sessosonnia come disturbo indipendente della stessa categoria. Allora, il tratto comune a tutte le forme di parasonnia rilevato dagli psichiatri nordamericani, ossia l’indipendenza dal sonno REM legato ai sogni, assume un particolare rilievo come elemento di caratterizzazione. Eppure, come abbiamo visto in precedenza, in aperto contrasto con questo tratto, il punto “3” della lista degli elementi che secondo Shapiro e colleghi caratterizza la sessosonnia, è proprio la “frequente presenza di stati mentali legati al sogno” (Sexsomnia – a new parasomnia? Can J Psychiatry 48, 311-317, 2003).

Un altro aspetto problematico è dato dal fatto che gli episodi di comportamento erotico solo raramente sono registrati o direttamente osservati nei cosiddetti laboratori del sonno. A questo si aggiunga la tendenza a raccogliere anamnesi orientate da un sospetto diagnostico o dalla stessa inclusione in un campione sperimentale definito sulla base degli interessi dei ricercatori; tale bias metodologica, associata a tempi troppo brevi di studio dei pazienti e di diretto contatto con loro, priva spesso di informazioni preziose che potrebbero portare ad inquadrare in maniera del tutto diversa i sintomi rilevati. 

Un problema più radicale è l’utilità dell’individuazione della sessosonnia come disturbo indipendente, visto che i “comportamenti sessuali durante il sonno” sono già patrimonio della diagnostica psichiatrica e la loro interpretazione avviene sulla base dello studio complessivo e approfondito della singola persona.

Si può anche osservare che le descrizioni di rapporti sessuali in stato di trance da parte di pazienti isteriche non erano rare nel passato; con l’abolizione della categoria nosografica dell’isteria da parte dell’APA, e con la conseguente scomparsa di tutti gli studi ad essa connessi dal curriculum di formazione dei medici e degli psichiatri, si è smesso di pensare a questi sintomi in termini di personalità e stati mentali complessivi.

Le considerazioni di chi scrive sono anche, in parte, il frutto di riflessioni derivate da un’interessante discussione con il presidente di BM&L-Italia che, concludendo la conversazione, mi ha lasciato con una considerazione che vi propongo qui di seguito, sperando che stimoli le vostre riflessioni tanto quanto ha stimolato le mie.

“Quando si parla di questi argomenti siamo fortemente limitati da due condizionamenti culturali che riguardano la coscienza o, meglio, il concetto di coscienza cui siamo soliti riferirci: il primo è dato dalla tendenza a considerarla come un’entità monolitica, ed il secondo è rappresentato dal trascurare l’esistenza della sua base strutturale e funzionale quando non si manifesta nelle caratteristiche attività della veglia che ne costituiscono l’esperienza comune. Dimentichiamo che l’essere coscienti e auto-coscienti è solo una conseguenza o un aspetto di un’attività neuronica complessa che è anche somma di numerosi processi distinti. Le questioni relative alle parasonnie si possono considerare, in questo senso, correlate al sostrato neurale della coscienza. Possiamo concepire questo sostrato come un complesso insieme di sistemi che esprime un’attività globale evidente nella sincronia delle oscillazioni del V strato della corteccia cerebrale. Se ne consideriamo due stati di equilibrio ideali, quali lo stato di massima attivazione nella veglia e lo stato di attivazione minima nel sonno, possiamo facilmente concepire le parasonnie come un difetto nell’inibizione corticale necessaria a mantenere l’equilibrio dello stato di sonno profondo. Poiché la maggioranza delle sinapsi corticali è inibitoria e la stragrande maggioranza di queste è GABA-ergica, si spiega facilmente l’efficacia di una benzodiazepina come il clonazepam che esercita un effetto GABA-agonistico legandosi al sito BZ del recettore del GABA”.

  

L’autrice della nota ringrazia il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, per i suggerimenti, le correzioni e le integrazioni al testo.

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-Settembre 2006

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