L’ARTO FANTASMA

 

 

(PRIMA PARTE)

 

Si stima che oltre il 90% delle persone che abbiano subito un’amputazione, sentano la parte del corpo mancante ancora presente e, in molti casi, tale percezione è associata a forme di sofferenza fisica e psichica. L’arto fantasma non deve considerarsi una curiosità neurofisiologica, ma un problema medico di difficile soluzione per la frequente resistenza ai trattamenti farmacologici. Le nuove acquisizioni sulle basi neurobiologiche del fenomeno hanno ispirato tecniche di terapia fisica basate sull’impiego di specchi e realtà virtuale, che hanno già dato risultati promettenti.

 

 

CENNI STORICI. Già in molte storie di epoca medievale si legge di persone che, prive di un arto o di parti di esso, in circostanze ritenute straordinarie ne percepissero la presenza, ma si deve attendere il 1500 per la prima descrizione medica di sintomi riferiti ad una parte del corpo mancante. Nel corso di tale secolo, infatti, il chirurgo militare francese Ambroise Paré, che aveva migliorato le tecniche di asportazione degli arti prolungando la sopravvivenza dei feriti sottoposti ad amputazione, descrisse molti casi del fenomeno in soldati provenienti dai campi di battaglia europei. Sebbene Paré godesse della stima dei contemporanei ed oggi lo si consideri un antesignano della chirurgia ortopedica della mano per aver progettato un dispositivo meccanico in grado di sostituire la funzione articolare metacarpo-falangea, la sua descrizione della percezione dell’arto perduto fu ignorata per oltre 300 anni.

Nel 1866 sull’Atlantic Montly fu pubblicato un racconto dal titolo “Il caso di George Dedlow” in cui il protagonista, che aveva già perso un braccio nella Guerra Civile americana, si risveglia in un ospedale dopo l’amputazione degli arti inferiori, avvenuta a sua insaputa, ed avverte un acuto dolore da crampi alla gamba sinistra. La breve storia non recava alcuna firma, ma presto se ne conobbe la paternità: Silas Weir Mitchell, il più noto neurologo americano di quei tempi. Alcuni storici della medicina hanno ipotizzato che il medico abbia scelto la pubblicazione anonima su un mensile di larga diffusione per saggiare le reazioni dei suoi pari senza rischiare il suo prestigio, in un’epoca in cui il positivismo imperante nella cultura scientifica aveva indotto nella classe medica uno scetticismo intransigente verso tutti i fenomeni non riconducibili ad una base materiale.

Nel 1872 Silas Weir Mitchell usa per la prima volta l’espressione “arto fantasma” per descrivere le sensazioni riferite dai mutilati della Guerra Civile. Da allora sono stati pubblicati centinaia di studi di casi sull’argomento, adottando la definizione introdotta da Mitchell.

 

MOTIVI DI INTERESSE. Generazioni di fisiologi e psicologi si sono cimentati con il problema dell’interpretazione dell’arto fantasma che, nel corso del XX secolo, è divenuto, di volta in volta, ostacolo o fulcro di ipotesi, teorie e modelli dello “schema corporeo” e del modo in cui la percezione del corpo crea la realtà del sé. […]

 

[Continua]

 

Le autrici ringraziano il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, perché la presente nota è tratta dalla sua discussione settimanale al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Monica Lanfredini & Nicole Cardon

BM&L-Febbraio 2008

www.brainmindlife.org