L’ATTIVITA’ DELL’AREA CORTICALE V4 GUIDA E PRECEDE LA SCANSIONE DELL’OCCHIO

 

 

In passato una parte considerevole dello studio della fisiologia dell’encefalo, si basava sulla ricerca della localizzazione di funzioni semplici in aree discrete, sul modello della ripartizione schematica seguita dalla somatotopica motoria e sensitiva. Le mappe corticali riflettevano questa impostazione, così che l’area 41 della corteccia temporale era l’area acustica, l’area 17 della corteccia occipitale si identificava con l’area visiva primaria e così via. Oggi si ha un quadro molto più complesso delle funzioni cerebrali, tanto che si contano almeno 32 aree corticali per l’elaborazione delle informazioni visive, e la ricerca che mira ad identificare localizzazioni funzionali è sempre più spesso rivolta alle mappe di neuroni che gestiscono particolari tipi di sotto-processi necessari per macrofunzioni come vedere e sentire. Questa impostazione della ricerca è perfettamente coerente con la teoria di Gerald Edelman che, per primo, ha dimostrato come fosse possibile sulla base di un’organizzazione fatta di “mappe di mappe” spiegare anche la base neurofisiologica delle attività psichiche più complesse.

Quando rivolgiamo lo sguardo intorno e ci soffermiamo ad osservare una scena ricca di figure e di particolari, come un insieme di persone o un paesaggio, la possibilità di distinguere, riconoscere, valutare, apprezzare le caratteristiche o associare ricordi, si basa sui movimenti saccadici dell’occhio. Questi impercettibili spostamenti permettono una rapida e completa scansione di tutta la scena che si offre allo sguardo, mediante la focalizzazione su punti-bersaglio cruciali per l’elaborazione percettiva. Questa messa a fuoco consiste nell’orientamento dell’area più sensibile della retina, la fovea, sui punti salienti rappresentati in uno schema retinotopico. Mazer e Gallant (J. A. Mazer and J. L. Gallant, Goal related activity in V4 during free viewing visual search: evidence for a ventral stream visual salience map. Neuron 40, 1241-1250, 2003) sostengono, sulla base di evidenze sperimentali, che questa mappa sia localizzata in un territorio di elaborazione visiva extrastriata, l’area V4, e dimostrano che i processi governati da quest’area sono molto più complessi di quanto si pensasse.

Per studiare la mappa dei punti salienti i due studiosi hanno addestrato delle scimmie all’esecuzione di una prova di riconoscimento visivo simile a quelle che si adoperano nel training cognitivo umano (free-viewing visual search task). In pratica si presentava su uno schermo una figura circolare come stimolo-bersaglio e, successivamente, si chiedeva di riconoscerla fra molte altre in una schermata successiva. Durante il compito di riconoscimento venivano simultaneamente registrati i movimenti oculari e l’attività dei neuroni nell’area V4. I rilievi mostravano un’aumentata attività delle cellule nervose che precedeva i movimenti saccadici dell’occhio, in una forma organizzata secondo la retinotopica e condotta dalla funzione visiva in atto. Questo pattern di funzione consentiva di predire istante per istante i movimenti saccadici successivi e la loro direzione sulla base dei gruppi neuronici attivati in V4.

Un’altra importante dimostrazione proposta in questo lavoro è l’indipendenza di questa attività di V4 da segnali oculomotori e la sua unica dipendenza dagli inputs visivi. Ma, forse, il risultato più rilevante di questa ricerca consiste nell’aver riscontrato che l’attività di alcuni gruppi di neuroni in V4 può essere modulata dall’oggetto che si guarda. Ovvero i tratti salienti che costituiscono l’identità dello stimolo, consentendo di riconoscerlo, sembra possano operare una specie di modulazione a feed-back su alcuni circuiti di cellule nervose che dirigono la scansione. Poiché in precedenza il modello teorico di una mappa dei punti salienti non prevedeva questo tipo di modulazione top-down, si può ritenere che i risultati di questa ricerca aggiungano un ulteriore livello di complessità alla funzione di riconoscimento mediante scansione saccadica.

Lo studio di Mazer e Gallant rende evidente che nessuna area gestisce questi processi da sola e che non viene impiegato un singolo standard per il controllo, al contrario l’elaborazione si basa sull’interazione fra più aree e tiene conto delle proprietà dell’oggetto osservato. Tale quadro è interessante anche alla luce del fatto che questa rete funzionale deve interagire con le reti che fanno capo alle aree che controllano la selezione del bersaglio e pianificano i movimenti oculomotori, anche se è indipendente da queste per il suo funzionamento intrinseco. Solo la conoscenza dettagliata dell’attività integrata di tutte queste reti potrà darci un’idea di cosa accade quando guardiamo, osserviamo ed esploriamo il mondo che ci circonda.

 

BM&L-Febbraio2004