AMILOIDE REGOLATA DA ORESSINA E CICLO NICTEMERALE

 

 

Come è noto, l’aggregazione beta-amiloide (βA) extracellulare gioca un ruolo di notevole importanza nella patogenesi della malattia di Alzheimer, determinando la formazione delle placche che costituiscono, con la degenerazione neurofibrillare, il principale contrassegno della patologia, ritenuto patognomonico nella diagnosi istologica. Le placche amiloidi si formano quando i livelli dei monomeri peptidici βA solubili aumentano al punto da determinare accumulo nel fluido interstiziale dell’encefalo (ISF), pertanto tutti i processi che possono influenzare l’aggregazione monomerica e la precipitazione degli oligomeri favorendo od ostacolando lo sviluppo delle lesioni, sono oggetto di intensi studi. Holtzmann e i suoi collaboratori del Department of Neurology, Washington University in St. Louis, hanno ora dimostrato che l’oressina sembra in grado di influenzare i livelli β-amiloide nei liquido interstiziale mediante la regolazione dei cicli veglia-sonno. Lo studio sarà prossimamente pubblicato sulla rivista Science[1] (Kang J. E., et al., Amyloid–β dynamics are regulated by orexin and the sleep-wake cycle. Science  [Epub ahead of print, Sep 24], 2009).

I ricercatori hanno adottato la microdialisi per misurare i livelli di peptidi βA nell’ISF dell’ippocampo di topi normali e di roditori transgenici impiegati come modello sperimentale di malattia di Alzheimer; successivamente hanno eseguito lo stesso tipo di saggio in soggetti volontari sani, allo scopo di verificare similarità o differenze nella nostra specie. In tal modo sono state accertate nei topi sani, in quelli affetti da malattia sperimentale e negli esseri umani, fluttuazioni quotidiane nei livelli di βA interstiziale con concentrazioni più alte durante il giorno e più basse durante la notte: una tale omogeneità di riscontro ha suggerito ai ricercatori l’esistenza di un processo di regolazione fisiologica. Un rilievo emerso dallo studio dei dati ottenuti nei topi transgenici è apparso particolarmente interessante: i livelli di βA correlavano con la durata della veglia.

Per interpretare causalmente questa correlazione, i ricercatori hanno cercato di stabilire se dipendesse dai cicli luce/buio o da un ritmo circadiano interno degli animali. A tale scopo i topi sono stati stabulati in condizioni di illuminazione costante e, successivamente, sono stati effettuati i rilievi dei livelli di βA nell’ISF. I dati raccolti chiaramente dimostravano la persistenza della fluttuazione delle concentrazioni con il ritmo sonno/veglia. E’ stato allora studiato, per ottenere un riscontro, l’effetto della deprivazione di sonno: i livelli di βA si innalzavano durante l’esperimento di veglia forzata, per decrescere non appena gli animali cedevano al bisogno di sonno addormentandosi.

Questo esito indica chiaramente che la regolazione dei livelli dei peptidi potenzialmente tossici è associata al ritmo biologico intrinseco sonno-veglia e non agli effetti della ciclica esposizione alla luce. Poiché l’oressina è ritenuta una delle molecole più importanti nella regolazione del principale ritmo nictemerale che caratterizza la vita della maggior parte degli animali, i ricercatori hanno ipotizzato che questo neuropeptide possa intervenire nella mediazione delle fluttuazioni quotidiane dei peptidi βA nell’ISF.

L’iniezione intracerebroventricolare di oressina per 6 ore dall’inizio del periodo di luce, quando la concentrazione di βA è ancora molto bassa e i topi addormentati, aumentava i livelli dei peptidi e prolungava la veglia. Al contrario, l’infusione continua per 24 ore mediante microdialisi di un antagonista recettoriale dell’oressina, causava la riduzione del periodo di veglia, l’aumento complessivo dei livelli di βA nell’ISF durante le 24 ore, ed aboliva le fluttuazioni giorno/notte dei peptidi potenzialmente tossici. La rimozione dell’antagonista ripristinava prontamente il ritmo quotidiano.

La verifica sperimentale sembra, dunque, confermare l’ipotesi di un ruolo dell’oressina, suggerendo che la segnalazione dipendente dal neuropeptide regoli i livelli di βA nell’ISF.

I dati emersi nel corso di questo studio sollevano un dubbio importante a proposito del danno da accumulo di βA che potrebbe essere causato dalla privazione di sonno, una condizione che si può determinare per effetto di stati ansiosi e disturbi dell’umore non di rado associati alle prime manifestazioni cliniche di malattia di Alzheimer. E, più in generale, ci si chiede se dormire cronicamente meno di quanto fisiologicamente necessario possa contribuire allo sviluppo della malattia o all’aggravamento della sintomatologia nelle persone geneticamente predisposte.

I ricercatori hanno accertato che, nei topi transgenici affetti da un modello murino della malattia neurodegenerativa, la privazione di sonno causava una maggiore formazione di placche. Ma, soprattutto, hanno verificato cosa accadeva somministrando un antagonista recettoriale dell’oressina: in molte aree del cervello si aveva una riduzione del processo di formazione delle placche.

In conclusione, questo studio dimostra che la segnalazione dipendente dall’oressina e il comportamento legato al ciclo veglia/sonno regolano i livelli di βA solubile nell’ISF, e che la manipolazione di entrambi può influenzare la formazione delle placche in un modello murino della malattia degenerativa. Sarà dunque opportuno indagare se il miglioramento dei patterns del sonno o il controllo farmacologico dei livelli di oressina, possono rallentare la formazione delle placche amiloidi e della demenza nelle persone a rischio.

 

Si invitano i lettori interessati a leggere le numerose recensioni di argomento connesso nelle nostre “Note e Notizie” e gli altri scritti sulla malattia di Alzheimer (v. in “Aggiornamenti” e “In Corso”). La bozza di questo testo è stata corretta dalla dottoressa Isabella Floriani.

 

Diane Richmond

BM&L-Novembre 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 



[1] Il sito web della rivista presenta la versione EAP (Epub ahead of print).