COME UN AMBIENTE STIMOLANTE CURA L’AMNESIA

 

 

Capita a tutti di attraversare periodi o momenti in cui le prestazioni mnemoniche non sono ottimali, magari semplicemente perché i processi cognitivi di base sono, per varie cause, transitoriamente meno efficienti. In questi casi può accadere che si dimentichi un impegno, un oggetto personale, il posto di una cosa, il nome di qualcuno, magari senza particolari conseguenze pratiche; eppure non è raro che chi sperimenta queste piccole defaillances si allarmi temendo un deterioramento irrimediabile della propria capacità di ricordare. Questa frequente preoccupazione per lievi e temporanei indebolimenti della memoria prospettica o di quella per i nomi, ci rende conto dell’importanza del supporto mnemonico per la nostra vita quotidiana, ed anche del controllo automatico effettuato dalle procedure cognitive che, in caso non abbiano sufficienti riscontri di avvenuta rievocazione, avvertono la coscienza.

Se un piccolo disturbo di tale genere riesce a turbare tanto, si comprende quanto sia grave la sofferenza prodotta dalla perdita della memoria di lungo termine nelle persone affette da malattie neurodegenerative.     

Per affrontare questi problemi, numerosi ricercatori studiano la possibilità di elaborare strategie molecolari efficaci per il recupero della funzione. Infatti, sebbene in genere si parli di “perdita della memoria” è possibile che la distruzione cellulare e sinaptica, fino ad un certo grado, non cancelli la possibilità di ricostruzione delle tracce morfo-funzionali che costituiscono il substrato neurobiologico dei ricordi.

Una delle strategie sottoposte al vaglio sperimentale per un eventuale impiego terapeutico, consiste nel cercare di promuovere la plasticità nelle aree di degenerazione allo scopo di ristabilire le connessioni necessarie ai processi di recupero. A tale scopo, Tsai e colleghi hanno impiegato topi transgenici CK-p25, nei quali l’espressione di una proteina associata alla neurodegenerazione (p25) può essere indotta dopo la nascita in qualsiasi momento, secondo le esigenze della ricerca. Dal momento in cui si ha l’espressione di p25, i roditori vanno incontro ad una progressiva degenerazione neuronica e a deficit dell’apprendimento (Fischer A., Sananbenesi F., Wang X., Dobbin M. & Tsai L. H. Recovery of learning and memory is associated with chromatin remodelling. Nature 447, 178-182, 2007).

I ricercatori hanno fatto seguire l’espressione di p25 da quattro settimane di esposizione dei roditori ad un ambiente arricchito, ossia una condizione di vita associata ad incremento della plasticità con aumento numerico dei neuroni e delle loro connessioni.   

L’effetto dell’ambiente ricco e stimolante sui CK-p25 è stato molto evidente, facendo registrare una riduzione dei previsti difetti di memoria e apprendimento, con neoformazione sinaptica ed aumentata crescita dei dendriti.

Gli autori del lavoro hanno allora indagato gli effetti dell’ambiente ricco di stimoli su un paradigma di paura condizionata in grado di determinare la promozione di stabili memorie di lungo termine. A distanza di varie settimane dalla formazione della memoria si è proceduto all’espressione di p25, avviando così la degenerazione: come previsto, la rievocazione dell’apprendimento condizionato di lungo termine si riduceva. Non era invece prevedibile che, esponendo all’ambiente arricchito i topini in un periodo immediatamente successivo all’induzione di p25, si poteva annullare l’effetto di perdita della memoria prodotto dalla degenerazione. Anche in questo caso lo studio strutturale rivelava un aumento delle sinapsi e dei dendriti.

Questi risultati suggeriscono che alla base della perdita di memoria nei processi degenerativi simili a quelli causati dall’espressione di p25, vi è l’impossibilità di accedere ai ricordi e non la loro irreversibile cancellazione. In altre parole, la riduzione del substrato funzionale comprometterebbe la ricostruzione di tracce non cancellate dal processo patologico, ma questa ricostruzione può essere ristabilita promuovendo la plasticità.

Ma la parte più interessante del lavoro riguarda l’identificazione di un meccanismo molecolare alla base degli effetti prodotti dall’arricchimento ambientale. Infatti, Tsai e i suoi collaboratori hanno riscontrato modificazioni della cromatina, quali acetilazione e metilazione degli istoni nell’ippocampo, indotte dagli stimoli ambientali. Tali effetti potrebbero spiegare in quale modo un ambiente ricco possa regolare i geni associati alla plasticità sinaptica e perciò  importanti per la memoria e l’apprendimento.

I ricercatori hanno infine vagliato gli effetti degli inibitori degli enzimi che deacetilano gli istoni (HDI), rilevando che sono in grado di mimare gli effetti dell’ambiente arricchito di stimoli. Gli HDI, infatti, nei topi CK-p25 hanno migliorato l’apprendimento e il richiamo delle memorie di lungo termine, con upregulation dei markers della formazione di dendriti e sinapsi.

Se i risultati di questa ricerca troveranno conferme e si riveleranno applicabili alla realtà umana, si potrà affermare che è stato compiuto un passo molto importante verso una terapia dei deficit di memoria causati da neurodegenerazione.

Anche se è prevedibile che, a breve, sarà dato grande rilievo alla sperimentazione degli HDI come farmaci, non si deve trascurare l’aspetto a nostro avviso più importante emergente da questa sperimentazione, ossia la regolazione dell’espressione genica da parte dell’ambiente come terapia naturale dei disturbi della memoria.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Giugno 2007

www.brainmindlife.org