ALZHEIMER: INDIVIDUATO PROCESSO NEI DISTURBI DI MEMORIA PRECOCI

 

 

Le placche extracellulari e la degenerazione neurofibrillare della malattia di Alzheimer sono gli elementi distintivi di un processo inesorabilmente progressivo, che porta al declino di tutte le facoltà cognitive per la perdita di neuroni. I gravi disturbi della memoria si spiegano su questa base, tuttavia è noto che alterazioni minori, indistinguibili da quelle presenti nell’involuzione senile fisiologica, precedono per un lungo periodo l’istaurarsi di sintomi più gravi. E’ stato ipotizzato che questo lieve deficit di memoria, peraltro efficacemente trattato mediante esercizio cognitivo assistito da computer, fosse da ascriversi a modificazioni dell’attività sinaptica, piuttosto che a perdita di cellule nervose. In vero, l’esatto meccanismo patogenetico di questa dismnesia prodromica non è noto, ma è oggetto di numerosi studi condotti su modelli animali della malattia.

Lesné e collaboratori hanno identificato in modelli murini un processo che potrebbe spiegare le ridotte prestazioni cognitive non rapidamente ingravescenti come quelle dovute alla progressiva perdita del patrimonio neuronico (A specific amyloid-β protein assembly in the brain impairs memory. Nature 440, 352-357, 2006).

I topi Tg2576 che esprimono un mutante del precursore umano del peptide beta-amiloide (βA), intorno ai sei mesi di vita (corrispondenti alla “mezza età” umana), sviluppano deficit di memoria senza perdita di neuroni. Dopo questo declino iniziale, la funzione mnemonica rimane stabile per 7-8 mesi, prima di un ulteriore declino.

Numerose evidenze indicano la responsabilità del peptide βA nel primo manifestarsi del deficit, tuttavia i livelli di questa molecola presentano un pattern di incremento crescente con l’età, che contrasta con i 7-8 mesi di stabilità delle prestazioni. Per spiegare quest’apparente incongruenza, gli autori hanno ipotizzato la formazione di oligomeri del peptide βA, che sarebbe stato possibile rilevare nei topi Tg2576 a partire dai sei mesi di vita, e il cui tasso sarebbe rimasto stabile durante l’età media.

L’immunoblotting di estratti di proteine extracellulari ottenuti da topi di 6 mesi, ha dimostrato la presenza delle specie oligomeriche postulate:

 

1) monomeri del peptide βA del peso molecolare di 4 kDa,

2) trimeri del peptide βA del peso molecolare di 14 kDa,

3) esameri del peptide βA del peso molecolare di 27 kDa,

4) nonameri del peptide βA del peso molecolare di 40 kDa,

5) dodecameri del peptide βA del peso molecolare di 56 kDa.

 

Tutti questi oligomeri erano resistenti alla denaturazione con SDS/urea (un comune denaturante delle proteine globulari) e per effetto di concentrazioni crescenti di esa-fluoro-isopropanolo (un solvente che rompe i legami H) si dissociavano in monomeri, confermando la loro natura di “multipli” dello stesso peptide.

L’assemblaggio dodecamerico di 56 kDa, che gli autori hanno siglato Aβ*56, appare per la prima volta a 6 mesi di età e rimane stabile durante l’età media dei topi Tg2576, indicando che i suoi livelli sono correlati inversamente con il deficit di memoria.

Per studiare il ruolo causale di Aβ*56 nella perdita di memoria, gli autori hanno purificato questo assemblaggio fino all’omogeneità e lo hanno iniettato nei ventricoli laterali di giovani ratti che, successivamente, sono stati sottoposti a prove di apprendimento e memoria spaziale. L’iniezione del dodecamero beta-amiloide sembrava aver compromesso la memoria spaziale di lungo termine, pur lasciando intatta la capacità di acquisire nuove informazioni spaziali. In altre parole, i topi con depositi di oligomeri cerebrali avevano le stesse capacità di apprendimento del gruppo di controllo, rispetto al quale evidenziavano solo un deficit della memoria pregressa. Il re-testing di tutti i topi dopo 10 giorni, senza ulteriori iniezioni, non mostrava più le differenze osservate alla prima prova: il difetto di memoria spaziale di lungo termine nei topi cui era stata somministrata Aβ*56 non era più apprezzabile.

Questi risultati depongono per un ruolo determinante dell’Aβ*56 nel causare il deficit di memoria indipendente dalla formazione di placche o dalla perdita di cellule nervose, nei topi Tg2576.

Se questi risultati saranno confermati, si dovrà cercare di stabilire quali effetti possono avere gli altri oligomeri del peptide beta-amiloide e, cosa senz’altro molto impegnativa, si dovrà individuare il meccanismo con cui Aβ*56 disturba la funzione sinaptica.

E’ perfino superfluo sottolineare che l’individuazione di un equivalente umano dell’ Aβ*56 fornirebbe un potenziale bersaglio per la sperimentazione di farmaci diretti al miglioramento dei disturbi di memoria che a lungo precedono i sintomi della fase avanzata di questa grave malattia neurodegenerativa.

 

L’autrice della nota ha discusso l’argomento con Nicole Cardon e si è avvalsa della collaborazione di Isabella Floriani.

 

Diane Richmond

BM&L-Maggio 2006

www.brainmindlife.org