UN RUOLO NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER PER IL

DOMINIO IC DI APP

 

 

Tutti i maggiori studi sulla patogenesi della malattia di Alzheimer concordano nell’attribuire il ruolo decisivo ai peptidi β-amiloidi () tossici, alla loro tendenza ad aggregarsi accumulandosi (depositi che generano le placche amiloidi) e alla serie di reazioni che innescano, fra le quali vi sarebbero anche quelle responsabili di avviare gli eventi che, determinando l’iperfosforilazione della proteina tau, si fanno responsabili del danno intracellulare dovuto alla degenerazione neurofibrillare[1].

Per un lungo periodo vi è stata una contrapposizione fra i sostenitori di un primum movens intraneuronico legato alle alterazioni della proteina tau e coloro che attribuivano all’amiloide la responsabilità di avviare la catena di eventi che porta alla degenerazione, poi nell’ultimo decennio le prove a favore della seconda ipotesi sono state ritenute schiaccianti e l’idea che l’iperfosforilazione della tau precedesse la deposizione di amiloide è stata accantonata. Tuttavia la teoria dell’amiloide, che ha avuto in Dennis Selkoe e in tanti altri autorevoli esponenti della Scuola di Harvard i maggiori sostenitori, non sembra in grado di spiegare tutte le caratteristiche istopatologiche rilevate nelle varie forme della neurodegenerazione e sembra contraddetta dalla scarsa correlazione che vi è fra l’entità dei depositi di amiloide e la gravità della malattia.

Il precursore APP (amyloid precursor protein)[2] dopo l’azione delle preseniline è sottoposto al clivaggio enzimatico da parte di BACE1 (β-site APP cleaving enzyme 1) e del complesso della γ-secretasi. Si ritiene che in corrispondenza delle sinapsi vi sia il maggiore accumulo di APP da cui, per azione di β-secretasi e γ-secretasi, sono rilasciati i monomeri Aβ40 e 42-43, i quali formano oligomeri, poi multimeri che si assemblano in configurazione β-sheet dando luogo ai protofilamenti dai quali, infine, si formano le fibrille amiloidi[3].

Quando la proteina transmembrana APP è sottoposta alla scissione ad opera delle preseniline, residua nel neurone il dominio intracellulare del precursore (AICD, da amyloid precursor intracellular domain): proprio a questa porzione della molecola hanno rivolto la loro attenzione Pimplikar e colleghi del Department of Neurosciences del Lerner Research Institute della Cleveland Clinic (Ohio), trovando elementi significativi che depongono a favore di una sua partecipazione alla patogenesi del danno neurodegenerativo (Ghosal K., et al. Alzheimer’s disease-like pathological features in transgenic mice expressing the APP intracellular domain. Proceedings of the National Academy of Science USA 106, 18367-18377, 2009).

Già in precedenza il gruppo di Pimplikar aveva cercato una correlazione con un ipotetico ruolo della parte del precursore che rimane legata alla membrana neuronica, realizzando topi transgenici iperesprimenti AICD, i quali avevano manifestato un’anomala attivazione di GSK-3β come nella malattia di Alzheimer. Ora hanno studiato dettagliatamente il fenotipo dei loro roditori caratterizzati da un eccesso del dominio intracellulare del precursore amiloide.

Lo studio ha rivelato alcune impressionanti similitudini con il quadro patologico della malattia di Alzheimer umana.

Un tipico contrassegno patologico della neurodegenerazione alzheimeriana è dato dalla presenza nel citoplasma dei neuroni del cervello, di aggregati della proteina tau iperfosforilata. Ebbene, nei topi esprimenti in eccesso il frammento AICD, i ricercatori hanno reperito l’innalzamento dei livelli di fosforilazione della tau entro l’età di 4 mesi e la formazione di aggregati della proteina iperfosforilata entro l’ottavo mese: un quadro che simula le variazioni dipendenti dall’età osservate nella demenza neurodegenerativa umana. Non è stata rilevata alcuna evidenza di un’alterazione dei processi enzimatici che riguardano la APP, né di livelli accresciuti di Aβ o di placche per effetto dell’iperespressione del dominio intracellulare del precursore amiloide: dunque gli effetti sulla tau non possono essere attribuiti ad alterazioni della produzione di Aβ.

Un altro elemento che contraddistingue il quadro microscopico della malattia di Alzheimer è la perdita di neuroni dipendente dall’età: i ricercatori hanno rilevato una maggiore perdita di neuroni nell’ippocampo dopo i 18 mesi di età nei topi iperesprimenti AICD rispetto a quelli di controllo. Il cervello dei topi transgenici con una maggiore quantità del dominio intracellulare del precursore è risultato anche più vulnerabile agli insulti tossici: l’eccitotossicità kainate-indotta nei topi di 4 mesi di età causava una maggiore perdita di neuroni dell’ippocampo nei topi iperesprimenti AICD rispetto ai roditori di controllo.

In una tipica prova per la valutazione di prestazioni della working memory murina (Y-maze task), a differenza dei topi con una normale fisiologia cognitiva che ricordano quale sia il braccio del labirinto precedentemente visitato e così tendono ad alternare i due bracci nelle esplorazioni successive, i topi iperesprimenti AICD a 8 mesi presentavano una riduzione dell’alternanza rivelando che, come i pazienti alzheimeriani, soffrono di un deficit di memoria. Il difetto cognitivo poteva essere prevenuto mediante un trattamento con il litio che è un inibitore di GSK-3β.

Fin qui i risultati della sperimentazione dimostravano che l’eccesso del dominio intracellulare del precursore amiloide induce nei topi la manifestazione di segni patologici e tratti comportamentali simili a quelli tipici della malattia umana, ma naturalmente queste evidenze non erano sufficienti per sostenere un ruolo di quella parte del precursore nella patogenesi della demenza nell’uomo. I ricercatori hanno allora studiato il cervello di pazienti affetti dalla degenerazione di Alzheimer comparandolo con quello di controlli di età corrispondente: i livelli di AICD nell’encefalo affetto sono risultati più alti, suggerendo che i risultati ottenuti nel topo possano avere significato clinico.

In conclusione, dallo studio di Pimplikar si evince che livelli più alti di AICD potrebbero avere un ruolo nella patogenesi della malattia, sebbene non emergano elementi che consentano di valutare l’importanza relativa di questa componente rispetto alla cascata di eventi legata all’accumulo di Aβ, né dati che suggeriscano una sinergia fra le due vie. Pertanto, la verifica di questi risultati da parte di altri gruppi di ricerca ed il prosieguo delle indagini saranno necessari per avere delle certezze e poter inquadrare questo nuovo tassello nel complesso mosaico dei dati patologici attualmente in possesso dei ricercatori, prima di avviare una sperimentazione volta ad ottenere farmaci diretti contro l’AICD, come già auspicato da alcuni ricercatori.

 

L’autrice della nota ringrazia il professore Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, per le integrazioni al testo, la cui bozza è stata corretta dalla dottoressa Isabella Floriani. BM&L-Italia è attenta agli sviluppi della ricerca sulla malattia di Alzheimer, dedicando numerose recensioni di lavori sperimentali (si veda in “Note e Notizie”) ed altri scritti di aggiornamento pubblicati nelle altre sezioni del sito, molto apprezzati da docenti e discenti italiani; si invitano perciò i visitatori interessati alla lettura di questi testi.

 

Nicole Cardon  

BM&L-Novembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 



[1] Gli agglomerati di neurofibrille sono formati da fascicoli di filamenti appaiati ad elica (paired helical filaments, PHF) costituiti da tau iperfosforilata. Le placche amiloidi macroscopicamente visibili e i grovigli di fibrille all’interno dei neuroni (fibrillary tangles) costituiscono i due contrassegni istopatologici della malattia descritti già da Alois Alzheimer nel 1906 (si veda in “In Corso”: Giuseppe Perrella, La Malattia di Alzheimer - un’introduzione. BM&L-Italia, 2004).

[2] Una proteina transmembrana di tipo I esistente in varie isoforme, abbondante nei neuroni del sistema nervoso centrale dove è condotta per trasporto anterogrado lungo l’assone al terminale sinaptico. Mutazioni (autosomico-dominanti) nel gene dell’APP e delle preseniline PS1 e PS2 influenzano il clivaggio di APP ad opera di BACE1 e γ-secretasi, portando alla maggiore formazione di peptidi Aβ tossici in forme familiari della malattia di Alzheimer con insorgenza più precoce della media.

[3] Sono questi gli elementi evidenziati con Rosso Congo e tioflavina che hanno consentito storicamente lo studio istopatologico diagnostico e sperimentale.