Sclerosi multipla e ruolo della disfunzione mitocondriale del cervelletto

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 21 giugno 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La settimana scorsa abbiamo presentato uno studio sull’emodinamica venosa cerebrale nella sclerosi multipla[1], e il professor Rossi ha ricordato che seguiamo sempre con attenzione la ricerca che indaga la patologia della sclerosi multipla e quest’anno, oltre ai numerosi journal club fra soci e agli incontri di aggiornamento con il gruppo strutturale che si occupa di questa malattia demielinizzante, abbiamo recensito uno studio del filone dedicato al ruolo dell’astroglia[2] e un lavoro sull’annosa questione del ruolo del virus di Epstein-Barr[3].

Questa settimana affrontiamo, attraverso la recensione di uno studio molto interessante, la questione della patologia cellulare del cervelletto nella sclerosi multipla, che da tempo impegna la ricerca, purtroppo senza aver finora ottenuto i risultati sperati.

Una costellazione di sintomi che denunci l’interessamento del cervelletto è rarissima nell’esordio clinico della malattia, ma nei casi che datano da decenni, e particolarmente nelle donne anziane affette, è frequentissimo il riscontro della triade cerebellare di Charcot, consistente in nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita, che denuncia il danno prodotto al cervelletto dal processo patologico, ma ancora più frequente è la presenza di atassia. Spesso l’evidenza clinica è quella di un’atassia associata a nistagmo. Nei casi di più lunga storia clinica si osservano le forme più gravi di atassia cerebellare, in cui il più lieve tentativo di muovere il tronco o gli arti scatena un tremore atassico violento e incontrollato. Si comprende la necessità di conoscere le basi patologiche di questi sintomi per trovare strategie terapeutiche più efficaci di quelle attualmente adottate in clinica neurologica.

Uno studio condotto da Kelley C. Atkinson e colleghi ha definito una base di danno cellulare da disfunzione mitocondriale delle cellule di Purkinje nella malattia e nei modelli.

 (Atkinson K. C. et al., Decreased mitochondrial activity in the demyelinating cerebellum of progressive multiple sclerosis and chronic EAE contributes to Purkinje cell loss. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2421806122, 2025).

La provenienza degli autori è la seguente: Division of Biomedical Sciences, School of Medicine at the University of California Riverside, Riverside, CA (USA).

A beneficio del lettore non specialista, si propone qui di seguito un’introduzione alla sclerosi multipla prevalentemente tratta da un articolo scritto dal nostro presidente in collaborazione con Diane Richmond[4] e da altri articoli più recenti[5]:

“Clinicamente la sclerosi multipla è distinta in 5 forme principali: la remittente-recidivante, che è la più frequente, la forma secondariamente progressiva, quella più rara che assume subito andamento progressivo, la forma acuta[6] e, infine, la sclerosi cerebrale diffusa[7]. Il sintomo iniziale in circa la metà dei pazienti è costituito da debolezza o torpore in un arto o due: all’esame neurologico spesso il paziente riferisce sintomi ad un solo arto ma si rilevano deficit, quali un Babinski positivo, anche nell’arto controlaterale. Sono avvertite parestesie e sensazioni di avere il tronco o un arto stretto da una fascia, verosimilmente per interessamento delle colonne posteriori del midollo spinale. L’esame dei riflessi tendinei inizialmente evidenzia ritardo di risposta che tende a mutare in iperattività. In generale, le manifestazioni sintomatologiche variano secondo un’ampia gamma di intensità, potendo essere sfumate o configurare vere e proprie paraparesi spastiche o atassiche. In vari casi l’emergenza clinica assume il profilo di una delle seguenti sindromi: 1) neurite ottica; 2) mielite trasversa; 3) atassia cerebellare; 4) sindromi del tronco encefalico (vertigine, disartria, diplopia, dolore o torpore faciale).

I dati su soggetti, etnie ed aree geografiche più colpite hanno costituito inizialmente un’indicazione orientativa per la ricerca sulle cause. La prevalenza maggiore è fra i Caucasici in aree con temperature medie annuali basse, ma la malattia, sia pure con una minima incidenza, è diagnosticata anche nei paesi tropicali. Fra i due sessi è maggiormente colpita la donna con un rapporto di 2:1 o 3:1[8]; le ragioni di questa differenza sono ancora sconosciute, ma il dato accomuna la sclerosi multipla a molte malattie autoimmuni[9].

Oggi, con stime epidemiologiche che superano i 2 milioni di persone affette in tutto il mondo e una prevalenza di 1:1000[10], non meraviglia che sia considerata la malattia neurologica più comune fra i giovani adulti[11]. In proposito, non possiamo dimenticare l’osservazione di Gilbert e Sadler che, dopo aver descritto cinque casi di studio autoptico nei quali sono state inaspettatamente scoperte le tipiche lesioni della sclerosi multipla in persone ritenute asintomatiche per tutta la vita, concludono che la reale incidenza potrebbe essere anche di tre volte maggiore di quella attualmente riconosciuta[12].

Eppure, fino agli anni Ottanta, ossia fino a quando sono stati introdotti criteri diagnostici e metodi basati sulla risonanza magnetica nucleare, in molti istituti neurologici la sclerosi multipla è stata considerata alla stregua di una malattia rara. È ragionevole supporre che una causa del basso numero di casi rilevati in quel periodo sia da ascriversi a falsi negativi e a numerosi casi mai giunti all’osservazione specialistica; tuttavia, non sono stati pochi i neurologi che hanno sospettato, probabilmente in relazione ad ipotesi eziologiche con un ruolo preponderante attribuito a fattori ambientali, che la malattia fosse rara in passato e si fosse verificato un effettivo e notevole incremento di persone colpite in epoca recente.

Ma, attingendo per informazioni a documenti di valore ormai storico, abbiamo conferma di una frequenza tutt’altro che bassa già nel passato, se con i limitatissimi mezzi diagnostici dell’Ottocento i neurologi edotti della sua esistenza hanno potuto lasciarci traccia di una discreta casistica[13].

All’inizio del diciannovesimo secolo la malattia, poi denominata dai neurologi britannici disseminated sclerosis e da quelli francesi sclérose en plaques, era già conosciuta, come si desume dalle accurate descrizioni pubblicate nel tempo da Carswell, da Cruveilhier e poi da Frerichs. È interessante notare che, solo dopo quel periodo, si ebbe l’interessamento da parte di Jean-Martin Charcot, in molte trattazioni indicato quale primo studioso di questa malattia. La ragione di tale attribuzione è tuttavia facile da comprendere, se si considera che il celebre chef de clinique della Salpêtrière che attrasse a Parigi il giovane Freud per i suoi studi sull’isteria, analizzò accuratamente ben 34 casi, definendo nel 1868 aspetti anatomopatologici e clinici mai rilevati in precedenza, e successivamente richiamò l’attenzione della comunità medica internazionale istituendo una fondazione per lo studio della malattia[14]. Un’altra ragione dell’oblio toccato agli studi dei neurologi che avevano preceduto Charcot è nella formulazione di ipotesi eziologiche erronee, talvolta elaborate secondo concezioni che ci appaiono anacronistiche. Ad esempio, Cruveilhier, nel suo saggio pubblicato intorno al 1835, ipotizzava all’origine della sclerosi multipla una soppressione della sudorazione.

Da quell’epoca lontana, si sono compiuti enormi progressi nella conoscenza dei processi patogenetici che portano dalle lesioni focali demielinizzanti, alla sezione degli assoni e alla perdita dei neuroni con i deficit neurologici delle fasi avanzate e delle forme progressive, ma quanto alle cause della sclerosi multipla sappiamo poco più di allora e, soprattutto, troppo poco in rapporto alla responsabilità che ricercatori e medici sentono di fronte ad una sofferenza che in un numero crescente di persone chiede di essere alleviata se non eliminata.

Numerosi dati suggeriscono l’influenza di fattori ambientali sulla possibilità di sviluppare la malattia[15]. Studi sui flussi migratori indicano che il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla è maggiore in coloro che abbiano vissuto in aree ad alta prevalenza della patologia prima della pubertà. Altre osservazioni riportano dei picchi di incidenza in riferimento ad un determinato luogo o ad un periodo particolare, suggerendo l’importanza di una variabile temporale. Simili profili di distribuzione possono far pensare ad infezioni, a fattori nutrizionali o a tossicità chimica.

L’ipotesi seguita dalle più numerose e intense indagini sperimentali è stata quella virale, con studi condotti sui virus di Epstein-Barr, Herpes simplex 1 e 2, HHV6, Varicella zoster e altri agenti eziologici degli esantemi dell’infanzia. Gran parte dell’interesse per l’ipotesi virale è derivato dal rischio di encefalomielite acuta disseminata che segue infezioni virali e dalla prevalenza di sieropositività a virus come quello di Epstein-Barr nelle persone affette da sclerosi multipla.

Anche alcuni risultati di studi volti ad accertare il ruolo di fattori ambientali hanno contribuito a confermare l’importanza della ricerca sull’eziologia genetica, nonostante siano sempre mancate evidenze per una ereditarietà mendeliana[16]. La diversa prevalenza fra gruppi etnici e la già ricordata differenza nella concordanza fra gemelli monozigoti e gemelli dizigoti hanno costituito fattori determinanti. Più recentemente l’analisi estesa all’intero genoma del polimorfismo di singoli nucleotidi ha identificato numerosi loci genici associati ad accresciuto rischio di malattia nella popolazione generale[17]. Molti polimorfismi mappano geni o loci genici associati con la regolazione immunitaria. Una forte associazione rilevata qualche anno fa è quella con l’HLA-DRB1 sul cromosoma 6p21, che sembra dar conto del 16-60% di suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia. Il prosieguo della ricerca sta identificando un numero sempre crescente di loci genici verosimilmente legati alla possibilità di sviluppare un disturbo neurologico clinicamente rilevante, pertanto l’opinione più seguita fra i genetisti è che, se si dimostrerà che la sclerosi multipla è in senso stretto una malattia genetica, sarà definita come un disturbo complesso nel quale molti geni polimorfici interagenti hanno una bassa penetranza ed esercitano un piccolo effetto sul rischio patologico complessivo[18][19].

Dopo questa introduzione, ritorniamo al lavoro sulla patologia cerebellare da sclerosi multipla.

Kelley C. Atkinson e colleghi, partendo dalla responsabilità del danno cerebellare nella sintomatologia che abbiamo illustrato più sopra, hanno affrontato una questione già indagata in precedenza: quale ruolo ha la disfunzione mitocondriale associata alla demielinizzazione infiammatoria? L’osservazione sperimentale ha dimostrato in modo convincente che tale fisiopatologia dei mitocondri ha un ruolo critico nella perdita del tipo neuronico più importante del cervelletto, ossia le cellule di Purkinje, e nella degenerazione assonica. I risultati sono stati identici nello studio diretto della sclerosi multipla umana e in quello indiretto sul modello sperimentale murino della EAE (experimental autoimmune encephalomyelitis). In particolare, l’evidenza della disfunzione mitocondriale quale chiave della patologia cerebellare si può così sintetizzare: 1) riduzione dell’attività del complesso mitocondriale IV; 2) alterazione strutturale degli organuli mitocondriali; 3) compromissione del processo di respirazione mitocondriale.

Interessante notare che i risultati ottenuti stabiliscono il modello della EAE di stadio avanzato quale modello specifico per lo studio della degenerazione cerebellare da sclerosi multipla.

Gli studi precedenti avevano dimostrato un rapporto specifico e spesso proporzionale tra sintomi clinici, quali tremore, alterato controllo motorio e perdita di coordinazione, e tre aspetti del danno cerebellare: 1) atrofia della materia grigia del cervelletto; 2) demielinizzazione rilevata nella sostanza bianca cerebellare; 3) perdita dei neuroni di Purkinje.

Simili aspetti patologici si potevano osservare anche nei modelli murini EAE, pertanto Kelley C. Atkinson e colleghi hanno preso le mosse dall’ipotesi che la demielinizzazione infiammatoria del cervelletto altera soprattutto la funzione mitocondriale e contribuisce alla degenerazione assonica e alla morte delle cellule di Purkinje.

Il tessuto cerebellare prelevato post-mortem da pazienti affetti da sclerosi multipla, particolarmente da quelli affetti dalla forma progressiva secondaria della malattia, presentava una diminuzione dell’attività del complesso mitocondriale IV (COXIV) e una riduzione evidente e significativa del numero dei neuroni di Purkinje. Un’osservazione accurata dei preparati ottenuti dai campioni di cervelletto prelevati nel corso dell’esame necroscopico ha evidenziato infiammazione, demielinizzazione degli assoni delle cellule di Purkinje, degenerazione degli stessi neuriti e perdita delle fibre parallele. Questi risultati, come si è già riportato, erano riflessi nei modelli murini EAE in stadio avanzato, che presentavano anche un’accresciuta infiammazione e demielinizzazione, una ridotta attività COXIV nelle cellule di Purkinje che, nel complesso, erano drasticamente diminuite. Le analisi hanno rivelato le citate alterazioni di struttura e respirazione mitocondriale, accanto a riduzione dei livelli di geni mitocondriali delle proteine implicate nei processi di produzione di energia.

Questi risultati suggeriscono l’impiego del modello della EAE di stadio avanzato per l’identificazione di nuove strategie terapeutiche, per prevenire e ridurre la degenerazione cerebellare nella sclerosi multipla.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-21 giugno 2025

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 14-06-25 Emodinamica venosa nella sclerosi multipla.

[2] Note e Notizie 08-03-25 Nella sclerosi multipla CLEC16A limita la patologia (CLEC16A quale soppressore delle risposte patologiche degli astrociti);

[3] Note e Notizie 08-03-25 Il ruolo del virus Epstein Barr nella sclerosi multipla.

[4] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.

[5] Note e Notizie 20-04-24 Il ruolo di SCFA intestinali nella sclerosi multipla; Note e Notizie 20-04-24 Nella sclerosi multipla scoperti eventi di comunicazione fra cellule.

[6] Malattia di Marburg e sclerosi multipla tumefattiva.

[7] Malattia di Schilder e sclerosi concentrica di Balo.

[8]  Per la ratio 2:1, v. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013; per la ratio 3:1, v. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[9] D’altra parte la demielinizzazione si associa a malattie autoimmuni, quali SLE, malattia di Sjogren e sindromi correlate.

[10] La prevalenza media di 1:1000 abitanti in Nord America ed Europa Centro-Settentrionale comprende stime come quelle di Mayr nel Minnesota di 177 casi per 100.000 (Olmstead County) e di 30/80 per 100.000 in Nord USA e Europa. Invece, nel meridione di USA ed Europa, la prevalenza è da 6 a 14 per 100.000. Nelle aree tropicali è rara con una prevalenza sempre inferiore all’unità per 100.000 abitanti (Cfr. Adams & Victor’s, p. 917, McGrawHill, 2014).

[11] Spesso diagnosticata fra i 20 e i 40 anni: si vedano le righe introduttive in Note e Notizie 06-02-16 Nella sclerosi multipla un sorprendente comportamento delle cellule NK; Cfr. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013.

[12] Cfr. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[13] Compston A., Lassmann H., McDonald I., The history of multiple sclerosis, pp. 69-112 in McAlpine’s Multiple Sclerosis 4th ed. Churchill Livingstone, New York 2006.

[14] Questa iniziativa, a un secolo di distanza, ispirò Rita Levi-Montalcini per la costituzione dell’AISM.

[15] Compston A. & Cole A. Multiple Sclerosis. Lancet 372, 1502-1517, 2008. Cfr. Staugaitis S. M. & Trapp B. D., Diseases Involving Myelin, pp. 691-704 in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), AP, Elsevier, 2012.

[16] V. nota 10.

[17] Cfr. Australia and New Zealand Multiple Sclerosis Genetics Consortium (ANZgene), 2009; De Jager et al. Nature 41, 776-782, 2009.

[18] Staugaitis S. M. & Trapp B. D., op. cit., p. 696.

[19] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.