Azione neuroprotettiva di fitness ed esercizio intenso
ROBERTO COLONNA
NOTE E
NOTIZIE - Anno XXII – 03 maggio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Seguiamo gli sviluppi della
ricerca su meccanismi molecolari e processi che mediano l’azione neuroprotettiva
dell’esercizio motorio sul cervello fin dalla fondazione della nostra società
scientifica. Abbiamo dato conto in tempo reale della scoperta dell’aumento di
espressione genica e dell’attività di fattori come il VEGF (vascular
endothelial growth factor) oltre che delle neurotrofine, per effetto
dell’attività fisica, e abbiamo fatto conoscere in Italia il filone di ricerca
originato dagli studi di Kenneth Cooper, contribuendo a rendere nota nel nostro
paese la buona abitudine dei 10.000 passi al giorno, non solo nella chiave
della prevenzione cardiovascolare, ma specificamente per i benefici prodotti
sul cervello. Recensendo studi sulla riduzione di citochine infiammatorie
potenzialmente neurotossiche prodotta dal regolare esercizio aerobico, abbiamo
portato a conoscenza dei nostri lettori alcuni aspetti dei benefici
dell’esercizio fisico tradizionalmente non considerati in ambito
clinico-terapeutico. Anche se gli effetti indiretti sul cervello, attraverso
l’azione cardiovascolare che aumenta il flusso ematico e di O2
encefalico, sono di grande importanza, noi abbiamo dato particolare risalto
alla scoperta dell’aumento di connettività funzionale cerebrale, con miglioramento
delle prestazioni e arresto del declino cognitivo senile, per effetto di
attività fisica frequente e protratta.
Negli anni recenti abbiamo
documentato le prove sperimentali dell’effetto protettivo dell’esercizio
motorio da carico – intenso sulla forza anche se di breve durata – dai processi
neurodegenerativi e di senescenza fisiologica, contravvenendo l’ortodossia
aerobica. La nostra attenzione era stata sollecitata dalla dimostrazione
presente in vari studi, anche di molti anni fa, in cui si era rilevato il
massimo beneficio nei gruppi che praticavano sia esercizio aerobico sia
attività volta ad accrescere la forza. L’ultimo di questi studi, in ordine di
tempo, documentava benefici di un’attività di sforzo concentrato, come il tiro
alla fune, in assenza di un training aerobico strutturato.
Abbiamo proposto con
evidenza un’importante scoperta che ci offre una ratio evoluzionistica
per la comprensione della necessità e dell’efficacia dell’esercizio fisico: lo
studio comparato di scimmie e uomo ha rivelato che l’assetto della regolazione
metabolica dei primati sub-umani è molto diverso dal nostro, e ha chiarito che
con la quantità di attività fisica ordinariamente svolta dalle scimmie
arboricole in condizioni di vita naturali, noi in età media avremmo un quadro
simile a quello degli anziani obesi con alti livelli di colesterolemia,
infiammazione periferica, neuroinfiammazione centrale, arteriosclerosi,
ateromatosi, marcati segni di senescenza cerebrale e cardiaca, iperglicemia,
ecc.
Oggi presentiamo una
rassegna apparsa su Lancet, di Atefe R. Tari, Ulrik Wisloff e colleghi,
studiosi dei meccanismi neuroprotettivi dell’esercizio nella loro efficacia
contro l’invecchiamento cerebrale e le malattie, compresa la neurodegenerazione
alzheimeriana, che traggono vantaggio patogenetico dalle condizioni molecolari,
cellulari e tissutali caratteristiche della senescenza cerebrale. Gli autori avevano
anche pubblicato, quest’anno nel mese di gennaio, un interessante volume
sull’argomento e attualmente sono attivamente impegnati affinché il governo
norvegese in primis, e sull’esempio altri stati nazionali, recepiscano i
principi emersi dai loro e da altri studi per rivedere i parametri di attività
fisica consigliati, suggerendo un regime più vicino a quello praticato da
Kenneth Cooper e prescritto ai suoi pazienti, invece dell’indicazione di due
ore e mezzo alla settimana di attività motoria attualmente suggerite.
(Tari
A. R. et al., Neuroprotective mechanisms of exercise and the importance
of fitness for healthy brain ageing. Lancet 405 (10484): 1093-1118, 2025).
La
provenienza degli autori è
la seguente: The Cardiac Exercise Research Group at
the Faculty of Medicine and Health Sciences, Department of Circulation and
Medical Imaging, Norwegian University of Science and Technology, Trondheim,
Norway; Department of Neurology and Clinical Neurophysiology, St Olavs University
Hospital, Trondheim (Norvegia); Clem Jones Centre for
Ageing Dementia Research, Queensland Brain Institute, The University of
Queensland, Brisbane, QLD (Australia); Department of Neuromedicine and Movement
Science, Faculty of Medicine and Health Sciences, Norwegian University of
Science and Technology, Trondheim, Norway; Department of Neurology and Clinical
Neurophysiology, St Olavs University Hospital, Trondheim (Norvegia).
Ulrik Wisloff, Atefe R.
Tari e colleghi hanno approfonditamente studiato gli effetti dell’attività
fisica sull’invecchiamento fisiologico e patologico, seguendo anche tutti gli
studi condotti dai maggiori gruppi di ricerca operanti in questo campo.
L’invecchiamento è una
complessa realtà biologica scientificamente interessante per i suoi numerosi
aspetti non ancora chiariti, a cominciare dai processi che regolano l’orologio
genetico che la avvia, fino ai motivi delle marcate differenze individuali e di
tessuto, ma ordinariamente la si caratterizza in base ai cambiamenti
morfologici e funzionali dovuti all’accumulo di danni molecolari e cellulari,
che alterano la fisiologia dei tessuti e degli organi. L’invecchiamento è anche
considerato, in temini epidemiologici, il maggior fattore di rischio (cioè di
elevata probabilità) per la malattia di Alzheimer e, una delle ragioni per lo
studio della senescenza cerebrale, è storicamente la sua distinzione in termini
molecolari e cellulari dalla patologia neurodegenerativa che causa le forme più
gravi di demenza.
In realtà, l’età involutiva
si accompagna nella maggioranza della popolazione a un declino cognitivo ma, se
da oltre un secolo si sa che vecchiaia non vuol dire demenza, oggi è ben noto
che, nell’invecchiamento fisiologico, le persone che mantengono in allenamento
i processi cognitivi e rimangono attive fisicamente e psichicamente, non
risentono della riduzione della velocità centrale di processo e, in
alcuni casi, possono anche migliorare delle prestazioni cognitive. In generale,
una persona che ha sempre avuto un grande impegno intellettivo e, pur
invecchiando, continua a studiare, diventa più abile rispetto a giovani di pari
livello di istruzione, nell’estrazione di significato da testi, discorsi e
circostanze complesse. Questa abilità segna la differenza principale tra
anziani in buona salute cerebrale e anziani con declino cognitivo, perché
questi ultimi, al contrario, presentano prestazioni significativamente
inferiori a quelle dei giovani nell’estrazione di significato da testi e
contesti.
Numerose evidenze
suggeriscono che la sedentarietà e gli stili di vita poco salutari accelerano
l’invecchiamento cerebrale, mentre un’attività fisica regolare, un alto fitness
cardiorespiratorio (CRF), o una combinazione di entrambi, può mitigare il
declino cognitivo e ridurre il rischio di demenza.
La rassegna di Tari, Wisloff e colleghi si prefigge lo scopo di esplorare i
meccanismi neuroprotettivi dell’esercizio di resistenza (endurance) e di
evidenziare l’importanza, emergente dagli studi, del CRF nel promuovere una
senescenza cerebrale fisiologica.
Risultati rilevanti mostrano
come il CRF medi gli effetti neuroprotettivi dell’esercizio via meccanismi
quali: 1) il miglioramento del flusso ematico encefalico; 2) ridotta
infiammazione; 3) accresciuta neuroplasticità.
Gli autori sintetizzano
evidenze a supporto dell’integrazione di esercizi di endurance, che
aumentano il CRF, nelle iniziative volte a promuovere la salute pubblica e a
combattere il declino senile.
Un elemento emergente da
questa rassegna che ha particolarmente attratto la nostra attenzione è
costituito dall’evidenza che piccole quantità di attività fisica ad alta
intensità portano significativi benefici alla salute del cervello e una
rilevante riduzione del rischio di demenza. Ad esempio, tenere un’andatura
tanto veloce da non poter cantare, anche per un tempo non protratto, ma fare
ogni giorno questo esercizio, riduce il rischio di demenza di percentuali fino
al 40%. In altri termini, il cervello può essere protetto anche da dosi
limitate di esercizio vigoroso (ma sempre progressivo, mai improvviso, senza
preparazione e senza riscaldamento).
Un altro elemento è
sottolineato dagli stessi autori della rassegna: non è mai troppo tardi per
cominciare, e anche un training non prolungato e incostante qualche
beneficio lo produce. Anche se è necessaria una pratica quotidiana[1], per
innescare i circoli virtuosi che passano per un aumento del flusso ematico
cerebrale e un aumento di attivazione del sistema a ricompensa associata
all’esercizio.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
BM&L-03 maggio 2025
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of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Una pratica quotidiana almeno di jogging o
camminata a passo lungo, veloce e continuo per un paio d’ore.