Scoperto il
sostrato neurale dei sintomi negativi della schizofrenia
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno XXII – 15 febbraio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Come si dirà più compiutamente
più avanti, i sintomi negativi
della schizofrenia, quali negativismo, anedonia, anaffettività, povertà
verbale, difetto cognitivo, ridotte risposte motivazionali ed emozionali, sono
i più resistenti al trattamento, in quanto i farmaci attualmente in uso, che
tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o ad agire sul glutammato
o a riequilibrare altri neurotrasmettitori, non reintegrano il sostrato
neurobiologico, presumibilmente deficitario, responsabile dei sintomi. I
sintomi negativi, per lo stretto rapporto che hanno con la psico-neuropatologia
e con la sua evoluzione, condizionano in modo significativo le stime
prognostiche funzionali a lungo termine. Per questa ragione, riuscire a
definire la base neurobiologica e, possibilmente, i meccanismi all’origine di
queste manifestazioni cliniche, potrebbe costituire un progresso decisivo per
la ricerca di nuove strategie di trattamento.
Ziyang Gao e
altri colleghi cinesi di Chengdu, con Jeffrey R. Bishop della University of
Minnesota, hanno realizzato un progetto di ricerca finalizzato a identificare
le specifiche “impronte digitali” dei sintomi negativi della psicosi
schizofrenica. Il risultato è la scoperta di una specifica base neurale dei
sintomi negativi definita nei termini di un modello di rete.
(Gao Z.
et al., Neurobiological
fingerprints of negative symptoms in schizophrenia identified by
connectome-based modeling. Psychiatry and Clinical Neurosciences – Epub
ahead of print doi: 10.1111/pcn.13782, 2025).
La
provenienza degli autori è la
seguente: Department of Radiology and Functional and
Molecular Key Laboratory of Sichuan Province, West China Hospital of Sichuan
University, Chengdu (Cina); Huaxi MR Research Center
(HMRRC), West China Hospital of Sichuan University, Chengdu (Cina); Research
Unit of Psychoradiology, Chinese Academy of Medical
Sciences, Chengdu (Cina); Department of Experimental and Clinical Pharmacology,
College of Pharmacy, University of Minnesota, Minneapolis, MN (USA).
Come abbiamo fatto nel mese di gennaio[1]
e altre volte lo scorso anno[2]/[3], cogliamo
l’occasione di questa recensione, sia per introdurre il lettore non specialista
agli aspetti essenziali della clinica e della neuropatologia, sia per integrare
queste nozioni con alcuni aggiornamenti non ancora inclusi nei manuali di
clinica psichiatrica. Parte dei brani riportati di seguito sono stati citati in
Note e Notizie 09-03-24 Infiammazione nella patogenesi della schizofrenia;
mentre si è scelto di non riportare gli aggiornamenti di genetica più recenti,
per i quali si rimanda a due studi presentati nell’aprile dello scorso anno[4]; più
avanti, in questo testo, si danno le indicazioni per introdursi alla genetica e
alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti
con farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione
di deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia,
anaffettività, perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale,
insieme con un deficit cognitivo progressivo, sono i più resistenti al
trattamento, in quanto non possono giovarsi dell’effetto dei farmaci
attualmente in uso, che tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o
a riequilibrare altri neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni
deficitarie”[5]. Le basi
neurofunzionali dei sintomi al livello di sistemi neuronici sono studiate
mediante fMRI, riportando le funzioni alterate alle tre reti cerebrali principali: DMN (default mode
network), CEN (central executive
network), SN (salience network); ma questo tipo di studi
ha evidenziato alterazioni in tutte e tre le reti e nelle loro interazioni in
tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia introdursi alla neurobiologia del disturbo
può leggere: Note e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della
schizofrenia; per la genetica: Note e Notizie 23-09-23 Appunti di
genetica della schizofrenia; Note e Notizie 21-10-23 Genomica della
schizofrenia e sue implicazioni.
A proposito della patogenesi: “La patogenesi
della schizofrenia rimane ancora indefinita, nonostante si siano acquisite
nel campo della fisiopatologia nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello
strutturale, dal livello sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche
dell’encefalo. La stessa genetica che, dal tempo delle analisi di associazione
del Psychiatric GWAS Consortium Coordinating
Committee (2009) si è arricchita di una quantità enorme di dati sui geni di
rischio, non ha fornito le indicazioni dalle quali si sperava di ricavare la ratio
di processi paradigmatici per l’eziopatogenesi di alterazioni probabilmente
eterogenee in termini molecolari, cellulari e di sistemi neuronici, ma
accomunate clinicamente da alcuni capisaldi sintomatologici.”[6]
Per inquadrare le nuove nozioni nell’evoluzione
della concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1% della popolazione
mondiale, costituendo una delle maggiori cause di disabilità mentale, è la più
grave delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita di un paziente
psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età adulta fino
alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione generale.
La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si deve al
grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal caso di
uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più semplici
dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti con un
simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per questo
elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione diagnostica di demenza
praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto relativo al limite
cognitivo, poi per decenni trascurato, soprattutto per l’influenza delle teorie
psicodinamiche sulla genesi del disturbo, che attribuivano a conflitti inconsci
lo sviluppo di un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione del
fondamento neurobiologico cerebrale, necessario anche per i più elementari
processi di estrazione di significato dai messaggi verbali, oltre che per
induzione, deduzione, riconoscimento di nessi di causalità e vincoli
condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[7], che introdusse il termine
“schizofrenia” per indicare la frequente scissione (schizo-) nello
psichismo e, in particolare, la separazione del tono affettivo ed emotivo dalla
cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il difetto
intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli psichiatri era
concorde nel ritenere questo quadro psicopatologico la conseguenza di una
malattia del cervello con una forte base genetica, e caratterizzata da un
processo patologico che si supponeva diffuso nel parenchima cerebrale, con
particolare compromissione della corteccia, ritenuta la base dei processi
intellettivi. L’unica possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello
consisteva nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni
di tessuto cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della neuropatologia,
Nissl, Alzheimer e Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem
sul cervello di pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che
si rivelarono incostanti e non caratterizzanti[8]. In particolare, nel 1897 Alzheimer
segnalò una scomparsa locale di cellule gangliari negli strati esterni della
corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte (1906) descrissero zone di
demielinizzazione focale, il cui reale valore di reperto istopatologico fu
contestato, molto tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche
Buscaino in Italia (1921), capostipite di una famiglia di neurologi illustri,
compì studi neuropatologici sulla struttura del cervello schizofrenico,
descrivendo formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti di
preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e una
degenerazione grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in
altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei
focolai reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività
del reperto, postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel cervello
schizofrenico una perdita diffusa di neuroni, ma furono sollevati dubbi circa
la significatività del reperto che si ritenne potesse essere stato generato
dalle procedure istologiche impiegate. Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[9], per superare questo problema,
allestirono uno studio che prevedeva un’accurata indagine seriale degli
emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore di 8 μ in uno
studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli dei pazienti erano
comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette da
psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt trovarono
in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli sani, anche
se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano da un caso
all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule colliquanti (Schwundzellen),
degenerazione vacuolare e liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre cinquanta anni
durante i quali la concezione neuropatologica della schizofrenia è stata
abbandonata in luogo di teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali e
comportamentali, si è tornati su più solide basi, fornite dalle metodiche di
neuroimmagine, dalla nuova genetica e dalle scoperte di neurobiologia
molecolare e neurochimica, a concepire le psicosi schizofreniche come
conseguenza di alterazioni del cervello[10]. Dalle differenze nel metabolismo
cerebrale, nell’espressione dei recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli
equilibri fra sistemi neuronici, nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle
emerse dallo studio delle connessioni secondo i metodi del campo specializzato
della connettomica, si dispone di un’imponente raccolta di dati che individua
le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei
termini obsoleti della ‘reazione maggiore’, contrapposta alla ‘reazione minore’
costituita dai disturbi d’ansia”[11].
In passato abbiamo affrontato il problema allora
emergente dell’alterazione della funzione talamica nella schizofrenia[12]/[13].
A proposito dell’aver a lungo trascurato
in psichiatria i sintomi cognitivi, in parte coincidenti con alcuni sintomi
negativi della schizofrenia, due anni fa si osservava:
“La cultura che voleva caratterizzare
anche la distinzione fra la neurologia, come la branca medica che si occupa di
ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e così via, e la psichiatria, che
si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico, depressione e disturbi con
deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui sintomi “propriamente
psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse nell’errore di
considerarla una “demenza precoce” come era accaduto nell’Ottocento.
Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare per molto tempo
la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento cognitivo”[14].
In realtà, nella clinica psichiatrica
del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi
positivi, quali deliri e allucinazioni, sintomi
negativi, come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio
soggettivo o inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le
frequenti stereotipie di moto.
Per introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei
sintomi della schizofrenia correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio
a un articolo del 20 marzo 2021[15]:
“Due anni fa ho ricordato un modello neuroevolutivo
della schizofrenia[16] attualmente oggetto di insegnamento
in molte facoltà mediche di tutto il mondo e proposto per la prima volta da
Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi noxae
evolutive portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche
reti neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e
psicosociali; durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi
determina un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan
nota che, dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni
neurochimiche possono condurre a processi neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo modello è dato dal
‘sostegno’ ricevuto da numerose evidenze sperimentali. In realtà, si tratta di
una ricostruzione ragionevole e coerente con i dati dai quali è stata desunta,
e nulla esclude che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica rispetto
all’esigenza di capire perché e come le ‘noxae’ causino una
displasia responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una
perdita di sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[17]”[18].
Ritorniamo al progetto di ricerca di Ziyang Gao e colleghi finalizzato all’individuazione di marker neurobiologici e, più in
generale, di un sostrato dei sintomi negativi.
Consideriamo in sintesi estrema il metodo adottato per
lo studio: basandosi sui dati di connettività funzionale allo stato di riposo,
ottenuti in un grande campione di 132 pazienti al primo episodio di
schizofrenia e indenni da contaminazione farmacologica, i ricercatori hanno
realizzato un CPM (connectome-based predictive modeling) con
cross-validazione per identificare le reti funzionali che consentono di
prevedere la gravità dei sintomi negativi. Le generalizzabilità
delle reti identificate è stata poi validata in un campione indipendente di 40
pazienti, anche questi con le caratteristiche del campione dei 132 volontari su
cui era stato sviluppato il modello basato sul connettoma.
Concludendo, lo studio ha scoperto e validato un modello
di rete comprensivo, quale unico substrato neurale dei sintomi negativi
della schizofrenia, modello che fornisce una nuova prospettiva alla ricerca
finalizzata a individuare strategie di trattamento di queste manifestazioni
cliniche difettuali, che costituiscono ancora un problema irrisolto.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-15 febbraio 2025
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Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 25-01-25 Nella schizofrenia precoce identificati geni hub quali
biomarker immunorelati.
[2] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia; Note e Notizie 18-05-24
Stem olfattive come modello di disfunzioni nella schizofrenia, ecc.
[3] Note e
Notizie 26-10-24 La riduzione
di GluN ippocampale riproduce la schizofrenia.
[4] Si vedano: Note e Notizie
27-04-24 Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia;
Note e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e
schizofrenia.
[5] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[6] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[7] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi
sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”;
nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali
nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi
concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia
mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni
nostri.
[8] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[9] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[10] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[11] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie
07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[12] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[13] Note e Notizie 03-07-21
Talamo anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[14] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda anche
lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e volume
delle aree cerebrali sottocorticali: Note
e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume sottocorticale.
Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia la normale asimmetria
emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di
schizofrenia che precedono i sintomi per una diagnosi precoce.
[15] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa
patogenesi si legga il testo integrale dell’articolo.
[16] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[17] È evidente la costruzione
deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello,
il campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato
dall’ipotesi dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione
anti-dopaminergica di fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di
prima generazione efficaci nel ridurre deliri e allucinazioni degli
schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è consolidata l’evidenza della
partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una
prevalenza di interesse anche farmacologico per i sistemi neuronici a
segnalazione glutammatergica.
[18] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.