Polimorfismi di miRNA associati alla schizofrenia
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 02 novembre
2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il mese scorso la Royal Swedish Academy of Sciences ha conferito il Premio Nobel
per la Fisiologia o la Medicina 2024 congiuntamente a Victor Ambros della UMass Chan Medical School di Worchester e a Gary Ruvkun della
Harvard Medical School di Boston, per la scoperta del
microRNA e del suo ruolo nella regolazione genica post-trascrizionale,
riportando all’attenzione della comunità medica internazionale l’importanza
delle molecole di miRNA in un ampio spettro di patologie. Numerosi studi hanno
associato polimorfismi miRNA ad accresciuto rischio di sviluppo del disturbo
psicotico schizofrenico o alla sua patogenesi, ma il reale impatto sulle
popolazioni di specifici agenti di rischio non è ancora noto.
Un nuovo studio condotto da Xiaoyu Liu e colleghi ha avviato una vasta indagine
epidemiologico-statistica su popolazioni per rilevare dati circa l’aumento di
suscettibilità a sviluppare la malattia psichiatrica nei portatori di
polimorfismi miR. Si ricorda che miR-SNP
è un tipo di polimorfismo funzionale a singolo nucleotide (SNP) che interessa
le funzioni regolatorie dei geni miRNA, dei siti di legame miRNA o di costituenti
della biogenesi di miRNA. Lo studio di Liu e colleghi
si è prefisso lo scopo di esplorare la relazione tra il polimorfismo dei geni
miRNA che regolano la proteina L del chininogeno e la
schizofrenia.
(Liu
X. et al., Gene polymorphism of miR-323b and miR-1343 that regulate
kininogen L are associated with schizophrenia susceptibility: A preliminary
population-based study. Biomolecules and Biomedicine – Epub ahead
of print doi: 10.17305/bb.2024.11100, Oct. 25, 2024).
La
provenienza degli autori è
la seguente: Department of Psychology, Changchun
Sixth Hospital, Changchun (Cina); Department of Bioengineering and
Biostatistics, School of Public Health, Jilin University Changchun (Cina).
Come abbiamo fatto più volte in precedenza[1], inclusa la
scorsa settimana[2], cogliamo
l’occasione di questa recensione, sia per introdurre il lettore non specialista
agli aspetti essenziali della clinica e della neuropatologia, sia per integrare
queste nozioni con alcuni aggiornamenti non ancora inclusi nei manuali di
clinica psichiatrica. Parte dei brani riportati di seguito sono stati citati in
Note e Notizie 09-03-24 Infiammazione nella patogenesi della schizofrenia;
mentre si è scelto di non riportare gli aggiornamenti di genetica più recenti,
per i quali si rimanda a due studi presentati in aprile[3]; più
avanti, in questo testo, si danno le indicazioni per introdursi alla genetica e
alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti
con farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione
di deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia,
anaffettività, perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale,
insieme con un deficit cognitivo progressivo, sono i più resistenti al
trattamento, in quanto non possono giovarsi dell’effetto dei farmaci
attualmente in uso, che tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o
a riequilibrare altri neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni
deficitarie”[4]. Le basi
neurofunzionali dei sintomi al livello di sistemi neuronici sono studiate
mediante fMRI, riportando le funzioni alterate alle tre reti cerebrali principali DMN (default mode
network), CEN (central executive
network), SN (salience network); ma questo tipo di
studi ha evidenziato alterazioni in tutte e tre le reti e nelle loro
interazioni in tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia introdursi alla neurobiologia del disturbo
può leggere: Note e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della
schizofrenia; per la genetica: Note e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica
della schizofrenia; Note e Notizie 21-10-23 Genomica della schizofrenia
e sue implicazioni.
A proposito della patogenesi: “La patogenesi
della schizofrenia rimane ancora indefinita, nonostante si siano acquisite
nel campo della fisiopatologia nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello
strutturale, dal livello sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche
dell’encefalo. La stessa genetica che, dal tempo delle analisi di associazione
del Psychiatric GWAS Consortium Coordinating
Committee (2009) si è arricchita di una quantità enorme di dati sui geni di
rischio, non ha fornito le indicazioni dalle quali si sperava di ricavare la ratio
di processi paradigmatici per l’eziopatogenesi di alterazioni probabilmente
eterogenee in termini molecolari, cellulari e di sistemi neuronici, ma
accomunate clinicamente da alcuni capisaldi sintomatologici.”[5]
Per inquadrare le nuove nozioni
nell’evoluzione della concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1% della popolazione mondiale, costituendo
una delle maggiori cause di disabilità mentale, è la più grave delle
alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita di un paziente
psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età adulta fino
alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione generale.
La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si deve al
grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal caso di
uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più semplici
dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti con un
simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per questo
elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione diagnostica di demenza
praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto relativo al limite cognitivo, poi per
decenni trascurato, soprattutto per l’influenza delle teorie psicodinamiche
sulla genesi del disturbo, che attribuivano a conflitti inconsci lo sviluppo di
un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione del fondamento
neurobiologico cerebrale, necessario anche per i più elementari processi di
estrazione di significato dai messaggi verbali, oltre che per induzione,
deduzione, riconoscimento di nessi di causalità e vincoli condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[6], che introdusse il termine
“schizofrenia” per indicare la frequente scissione (schizo-) nello
psichismo e, in particolare, la separazione del tono affettivo ed emotivo dalla
cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il difetto
intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli psichiatri era concorde nel ritenere questo
quadro psicopatologico la conseguenza di una malattia del cervello con una
forte base genetica, e caratterizzata da un processo patologico che si
supponeva diffuso nel parenchima cerebrale, con particolare compromissione
della corteccia, ritenuta la base dei processi intellettivi. L’unica
possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello consisteva
nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni di tessuto
cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della neuropatologia, Nissl, Alzheimer e
Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem sul cervello di
pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che si rivelarono
incostanti e non caratterizzanti[7]. In particolare, nel 1897 Alzheimer
segnalò una scomparsa locale di cellule gangliari negli strati esterni della
corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte (1906) descrissero zone di
demielinizzazione focale, il cui reale valore di reperto istopatologico fu
contestato, molto tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche
Buscaino in Italia (1921), capostipite di una famiglia di neurologi illustri,
compì studi neuropatologici sulla struttura del cervello schizofrenico,
descrivendo formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti di
preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e una
degenerazione grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in
altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei
focolai reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività
del reperto, postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel cervello schizofrenico una perdita diffusa
di neuroni, ma furono sollevati dubbi circa la significatività del reperto che
si ritenne potesse essere stato generato dalle procedure istologiche impiegate.
Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[8], per superare questo problema,
allestirono uno studio che prevedeva un’accurata indagine seriale degli
emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore di 8 μ in uno
studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli dei pazienti erano
comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette da
psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt
trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli
sani, anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano
da un caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule
colliquanti (Schwundzellen), degenerazione vacuolare e liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre cinquanta anni durante i quali la
concezione neuropatologica della schizofrenia è stata abbandonata in luogo di
teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali e comportamentali, si è tornati
su più solide basi, fornite dalle metodiche di neuroimmagine, dalla nuova
genetica e dalle scoperte di neurobiologia molecolare e neurochimica, a
concepire le psicosi schizofreniche come conseguenza di alterazioni del
cervello[9]. Dalle differenze nel metabolismo
cerebrale, nell’espressione dei recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli
equilibri fra sistemi neuronici, nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle
emerse dallo studio delle connessioni secondo i metodi del campo specializzato
della connettomica, si dispone di un’imponente raccolta di dati che individua
le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei
termini obsoleti della ‘reazione maggiore’, contrapposta alla ‘reazione minore’
costituita dai disturbi d’ansia”[10].
In passato abbiamo affrontato il problema allora emergente
dell’alterazione della funzione talamica nella schizofrenia[11]/[12].
A proposito dell’aver a lungo
trascurato in psichiatria i sintomi cognitivi, in parte coincidenti con alcuni
sintomi negativi della schizofrenia, due anni fa si osservava:
“La cultura che voleva
caratterizzare anche la distinzione fra la neurologia, come la branca medica
che si occupa di ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e così via, e la
psichiatria, che si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico, depressione e
disturbi con deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui sintomi
“propriamente psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse
nell’errore di considerarla una “demenza precoce” come era accaduto
nell’Ottocento. Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare
per molto tempo la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento
cognitivo”[13].
In realtà, nella clinica
psichiatrica del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi positivi, quali
deliri e allucinazioni, sintomi negativi,
come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi
cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio soggettivo o
inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le frequenti
stereotipie di moto.
Per introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei
sintomi della schizofrenia correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio
a un articolo del 20 marzo 2021[14]:
“Due anni fa ho ricordato un modello neuroevolutivo della schizofrenia[15] attualmente oggetto di insegnamento
in molte facoltà mediche di tutto il mondo e proposto per la prima volta da
Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi noxae
evolutive portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche
reti neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e
psicosociali; durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi
determina un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan
nota che, dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni
neurochimiche possono condurre a processi neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo modello è dato dal ‘sostegno’ ricevuto da
numerose evidenze sperimentali. In realtà, si tratta di una ricostruzione
ragionevole e coerente con i dati dai quali è stata desunta, e nulla esclude
che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica rispetto all’esigenza di
capire perché e come le ‘noxae’ causino una displasia
responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una perdita di
sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[16]”[17].
Ritorniamo ora allo studio qui recensito.
Come abbiamo già detto, lo studio
di Liu e colleghi si è prefisso lo scopo di esplorare la relazione tra la
schizofrenia e il polimorfismo dei geni miRNA che regolano la proteina L del chininogeno.
I polimorfismi di rs56103835,
rs6513496, rs651349 e rs2986407 sono stati rilevati usando le tecnologie imLDR multiple SNP typing
in 513 pazienti affetti da schizofrenia e 509 controlli. L’associazione delle
variazioni di miR-SNP con la suscettibilità alla
schizofrenia e con la sintomatologia clinica della psicosi è stata valutata
usando SNPstat per determinare il modello
ottimale di ereditarietà. L’analisi GMDR e la regressione logistica sono state
usate per calcolare le interazioni miR-SNP.
L’associazione tra hsa-miR-323b-rs56103835 e la schizofrenia era
statisticamente significativa per il modello dominante.
Il risultato dell’interazione
gene-gene ha mostrato che il modello trifattoriale
era il migliore, ma poteva non essere considerato significativamente correlato
a schizofrenia. Inoltre, i pazienti schizofrenici con genotipo CC o CT su
rs2986407 presentavano una probabilità molto maggiore dei pazienti con genotipo
TT di avere allucinazioni uditive.
Questo studio ha rivelato che la
mutazione di hsa-miR-323b-rs56103835 da C a T era associata a suscettibilità
alla schizofrenia; e la mutazione di hsa-miR-1343-rs2986407 da T a C aumenta il
rischio di allucinazioni uditive nei pazienti schizofrenici.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-02 novembre 2024
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La Società
Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia; Note e Notizie 18-05-24
Stem olfattive come modello di disfunzioni nella schizofrenia, ecc.
[2] Note e Notizie 26-10-24 La riduzione di GluN
ippocampale riproduce la schizofrenia.
[3] Si vedano: Note e Notizie
27-04-24 Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia;
Note e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e
schizofrenia.
[4] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[5] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[6] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi
sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”;
nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali
nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi
concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia
mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni
nostri.
[7] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[8] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[9] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[10] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie
07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[11] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[12] Note e Notizie 03-07-21
Talamo anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[13] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda
anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e
volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume
sottocorticale. Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia
la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di schizofrenia che precedono i sintomi
per una diagnosi precoce.
[14] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa
patogenesi si legga il testo integrale dell’articolo.
[15] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[16] È evidente la costruzione
deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello,
il campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato
dall’ipotesi dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione
anti-dopaminergica di fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di
prima generazione efficaci nel ridurre deliri e allucinazioni degli
schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è consolidata l’evidenza della
partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una
prevalenza di interesse anche farmacologico per i sistemi neuronici a
segnalazione glutammatergica.
[17] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.