Come il
cervelletto agisce da analogo del lobo temporale mediale
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 19 ottobre 2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Una nozione della neurofisiologia classica sulle basi
neurali della memoria umana, definita da una scoperta compiuta oltre mezzo
secolo fa, individua nelle strutture del lobo temporale mediale la sede
dei sistemi neuronici principali per la formazione della memoria esplicita
di lunga durata, ossia LTM (long-term
memory) o memoria a lungo termine, secondo la definizione della
neuropsicologia. Lo studio, condotto secondo i principi e i metodi della
neuropsicologia clinica, aveva valutato la memoria appartenente alla coscienza
dichiarativa, ossia la memoria per elementi direttamente accessibili alla consapevolezza.
Ricordiamo che la memoria esplicita o dichiarativa umana è di due tipi: episodica,
consistente nel ricordo di fatti, storie, eventi e circostanze di vita vissuta[1], e semantica,
consistente nel ricordo di nozioni, concetti, nomi e cifre.
La nozione classica definiva la base neurale del
lobo temporale mediale esclusivamente per la LTM e non per la memoria di breve
durata (STM, short-term memory), ma tale
nozione è valida solo per le memorie esplicite o dichiarative, in quanto i
danni al lobo temporale mediale, che compromettono la memoria esplicita a lungo
termine, lasciano indenni le memorie procedurali a lungo termine,
cioè le memorie implicite costituenti la conoscenza sensomotoria acquisita.
Alkis M. Hadjiosif e colleghi
hanno accertato e dimostrato che la formazione delle memorie senso-motorie a
lungo termine (LTM) dipende dalle reti neuroniche del cervelletto, e dimostrano
anche che questa scoperta spiega gran parte della variabilità, riportata in
precedenza, dell’estensione del danno cerebellare alla quale si ha
compromissione dell’apprendimento senso-motorio.
(Hadjiosif A. M. et al., The cerebellum acts as the
analog to the medial temporal lobe for sensorimotor memory. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2411459121, 2024).
La provenienza degli autori
è la seguente: John A. Paulson School of Engineering
and Applied Sciences, Cambridge, Massachusetts (USA); Center for
Neurotechnology and Neurorecovery, Massachusetts
General Hospital, Boston, Massachusetts (USA); Department of Mechanical
Engineering, Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland (USA); Center for
Brain Science, Harvard University, Cambridge, Massachusetts (USA).
Due
settimane fa abbiamo presentato un atlante del cervelletto umano secondo un
nuovo modello funzionale che realizza una mappatura di precisione integrando le
nuove acquisizioni[2]; solo due settimane prima avevamo recensito lo studio
che riporta la scoperta di un ruolo del cervelletto nella regolazione della
sete[3]. Ecco cosa abbiamo riportato il 5 ottobre scorso a
proposito di questi continui aggiornamenti:
“Introducendo la recensione di uno studio sul cervelletto[4], il 22 giugno abbiamo così
sintetizzato le tappe principali del nostro impegno recente nel seguire la
ricerca sulla neurofisiologia di questa parte dell’encefalo:
I continui progressi nelle conoscenze sul cervelletto
richiedono la nostra attenzione costante come recensori: a maggio abbiamo
presentato tre nuovi studi che, nell’insieme, costituivano già un piccolo
aggiornamento. In precedenza abbiamo riportato lo studio di Jessica Bernard che
fa il punto delle conoscenze sulle interazioni ippocampo-cerebellari e le
considera anche in relazione all’invecchiamento e al declino cognitivo legato
all’età[5]. Ancor
prima, nel mese di febbraio, abbiamo visto come la struttura dell’encefalo
descritta quale organo per la prima volta da Vicq d’Azyr controlli direttamente
la sostanza nera o Substantia Nigra di Sömmering del mesencefalo,
agendo direttamente sulle popolazioni dopaminergiche connesse, regolando i
valori di ricompensa connessi col movimento[6]. Ci
siamo poi occupati dei nuovi meccanismi dei granuli cerebellari[7]. Abbiamo
recensito anche uno studio su un ruolo del nucleo interposito: i neuroni
di questa formazione nucleare generano previsioni che ottimizzano
nel tempo e nella forma la riposta di un movimento condizionato[8].
Nell’apprendimento cerebellare classico, le cellule di Purkinje (PkC) associano i segnali di errore delle fibre
rampicanti (CF) alle cellule dei granuli (GrC)[9] predittive che sono attive
subito prima (circa 150 ms). Il cervelletto partecipa anche all’attuazione di
comportamenti caratterizzati da una scala temporale di maggiore durata. Martha
G. Garcia-Garcia e colleghi coordinati da Mark J. Wagner, per indagare come i
circuiti GrC-CF-PkC possono
apprendere previsioni della durata di secondi, hanno rilevato immagini
simultanee dell’attività GrC-CF durante
l’apprendimento condizionato con una ricompensa d’acqua ritardata. I risultati
dell’osservazione sperimentale sono molto significativi[10].
Dopo questi studi, come abbiamo già ricordato, Ila Mishra e colleghi hanno
rilevato e dimostrato che le cellule di Purkinje del cervelletto nel topo sono
attivate dall’ormone asprosina, e determinano
un aumento della sete, ossia del desiderio di bere e dell’esecuzione di atti di
assunzione di liquidi”[11].
Continuano dunque
a ritmo serrato i progressi nella conoscenza della neurofisiologia di questa
parte dell’encefalo, e noi cerchiamo di stare al passo con la ricerca pubblicando
questa settimana la recensione dello studio di Alkis M. Hadjiosif e colleghi e, anche in questa occasione come nelle precedenti[12], proponiamo un’introduzione anatomo-funzionale per il
lettore non specialista.
Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa
cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo
proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una
struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare,
corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati
(paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi
cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio
e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo
diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre
verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso complessivo
medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello. I solchi del
cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli,
accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno
trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il
fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale
cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello
dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza
bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero
della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi
contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto
origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella
fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae
che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni
multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[13]. A differenza del cervello, in cui la
sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture
interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente
nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico
corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca
che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare
come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.
La corteccia
del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e
al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o
superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo
dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato
rugginoso.
L’esame
microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato
esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e
presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o
granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.
Fra
queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o
zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del
cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.
Le cellule
di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se
a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni
inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della
corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di
“cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y
Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60
micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo
superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco
dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni
principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella
dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello
strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante
arborizzazione che si può seguire fino alla superficie piale”[14], secondo la descrizione classica. Sui rami
si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi
neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio
elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione
dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di
vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la
denominazione di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa
struttura è infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello
principale della lamella della corteccia del cervelletto, per cui si dice che
l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla lamella”[15].
Dal polo
opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa
cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[16], presentando la caratteristica di un
diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade
per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette
rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre
altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove
assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione
anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose
altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input
che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i
neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver
emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la
miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove
costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la
via cortico-nucleare cerebellare.
In
estrema sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere
schematizzata come segue.
1)
Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato
dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle
cellule di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei
neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo
strato.
2)
Lo strato granuloso, interno, caratterizzato
dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli
cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti
dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre
rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo
delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti
per la prima volta da Cajal.
3)
Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje
attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato
considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole
cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e
dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e
forniscono l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di
“cervelletto istologico”.
La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata
stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e
l’affascinante ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura
cellulare ha avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y
Cajal, usando il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è
proseguita nel secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir
John C. Eccles e collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R.
Llinas, che nel 1975 integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi
schematica e concettuale resa in una iconografia ancora oggi adoperata per
illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che
formano i circuiti della corteccia cerebellare[17].
Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre
muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono
eccitatori, ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente
opposti.
Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il
nucleo olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che
costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla
quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è
estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje,
come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.
Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di
Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono
sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli.
Una descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della
corteccia del cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate
in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle
trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono
la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione
spaziale di questi sistemi neuronici[18].
All’interno della struttura del
cervelletto le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza
bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso,
emboliforme e nucleo del tetto.
Il nucleo dentato è il più
grande e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente
ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni
e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30
micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura
rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che
contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo globoso (o n.
posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo
con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme
le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo
cerebellare superiore.
Il nucleo emboliforme (o n.
anteriore interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente
con il nucleo dentato.
Il nucleo del tetto è
localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto
ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi
dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella
sostanza bianca della commessura cerebellare[19]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che
passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo
vestibolare del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo
vestibolare omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo
cerebellare superiore[20].
La
sperimentazione recente ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che
hanno dimostrato un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in
particolare modulando il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio
e il comportamento sociale.
I nuclei
del cervelletto possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono
informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori
dell’encefalo. Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole
sviluppo della connessione di questi aggregati grigi con la corteccia
cerebrale del lobo frontale[21].
Ritorniamo
alla recensione del lavoro di Alkis M. Hadjiosif e colleghi,
ricordando che il cervelletto ha una riconosciuta importanza critica per l’apprendimento
sensomotorio ma, considerato che si stenta ancora a definire con precisione
il suo ruolo, questo team di ricerca si è prefisso l’obiettivo di
determinare una caratterizzazione della partecipazione cerebellare a questo
tipo di apprendimento, di fondamentale importanza per attività che vanno dalla
pratica sportiva alla scrittura, dalla danza al suonare uno strumento musicale.
Prendendo le mosse dalla nozione classica relativa all’importanza del lobo
temporale mediale (MTL) per la formazione delle memorie esplicite a
lungo termine e non per quelle a breve termine, Hadjiosif
e colleghi hanno ipotizzato che il cervelletto svolga per le memorie
sensomotorie un ruolo analogo a quello svolto da MTL per la memoria
dichiarativa.
Allo scopo di sottoporre a vaglio questa ipotesi, gli autori dello studio
hanno analizzato l’apprendimento sensomotorio di pazienti affetti da grave
atassia causata da degenerazione cerebellare. Hanno dissezionato le
memorie formate durante l’apprendimento sensomotorio, distinguendole in due
categorie:
1)
componente mnemonica temporalmente volatile,
che decade rapidamente con una costante temporale di 15-20 secondi, tale da non
poter portare a ritenzione di lunga durata;
2)
componente mnemonica temporalmente persistente,
che rimane stabile per un tempo uguale o superiore a 60 secondi, e va incontro
a ritenzione a lungo termine.
Il confronto di queste due componenti, tra i pazienti affetti da grave
atassia e i volontari di controllo, ha reso evidente che la compromissione del
cervelletto determina una drammatica riduzione del livello delle memorie
senso-motorie temporalmente persistenti, a fronte di memorie
senso-motorie volatili risparmiate e perfino di livello elevato.
In particolare, Alkis M. Hadjiosif
e colleghi hanno rilevato che il difetto sistematicamente peggiorava con una
durata della finestra di memoria oltre le finestre di memoria più breve (minori
di 12 secondi), ed era vicino al deficit completo della conservazione della
memoria con finestre della memoria più lunghe, maggiori di 25 secondi.
Una tale dissociazione rivela un nuovo ed esclusivo ruolo del cervelletto
quale elemento imprescindibile per la formazione di memorie di tipo
sensomotorio a lungo termine, e non di memorie a breve termine, rispecchiando
il ruolo di MTL per le memorie dichiarative. Questo studio dimostra l’esistenza
di due distinti sostrati neurali per le memorie sensomotorie di breve durata e
di lunga durata, e inoltre spiega le differenze “prova per prova” identificate
in questo studio e le differenze da sempre evidenziate da uno studio all’altro,
a proposito di effetti del danno cerebellare sull’abilità di apprendimento
senso-motorio.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-19 ottobre 2024
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data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] In massima parte coincidente con
la “memoria autobiografica”.
[2] Note e Notizie 05-10-24
Atlante gerarchico del cervelletto umano.
[3] Note e Notizie 21-09-24 Il
cervelletto regola la sete.
[4] Note e Notizie 22-06-24
Granuli-fibre rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[5] Note e Notizie 09-03-24 La nuova
via cervelletto-ippocampo.
[6] Note e Notizie 03-02-24 Il
Cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa.
[7] Note e Notizie 17-02-24 Nuovi
meccanismi dei granuli del cervelletto.
[8] Note e Notizie 02-03-24 Un
ruolo del nucleo interposito del cervelletto.
[9] Si veda sui granuli la già
citata recensione Note e Notizie 17-02-24 Nuovi meccanismi dei granuli del
cervelletto.
[10] Note e Notizie 22-06-24
Granuli-fibre rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[11] Note e Notizie 21-09-24 Il
cervelletto regola la sete.
[12] Note e Notizie 11-05-24 Tre
nuovi studi sul cervelletto.
[13] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone,
Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor
vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della
periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed
è ancora chiamata arborvitae. L’origine della
denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di
Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e
seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[14] Testut e Latarjet, op. cit.,
vol. III, p. 242.
[15] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[16] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[17] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le
Scienze Editore, Milano 1978.
[18] Note e Notizie 26-09-20 La
corteccia del cervelletto umano è sorprendente.
[19] È interessante notare che non si
tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso,
ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano
commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea
mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.
[20] Note e Notizie 23-01-21
Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[21] Questo richiamo sintetico
all’anatomia cerebellare si trova anche in Note
e Notizie 15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e
colleghi.