AI per rilevare menzogne cambia un modo di agire sociale

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 06 luglio 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’intelligenza artificiale (AI, da artificial intelligence) oggi consente di disporre di algoritmi capaci di rilevare menzogne in testi scritti con un’accuratezza superiore a quella umana. Questa possibilità ha suggerito ad Alicia von Schenk e colleghi coordinati da Nils Kobis la realizzazione di un esperimento in grande scala per affrontare un problema, così come loro lo ravvisano, nella realtà sociale.

In breve, i ricercatori notano che le accuse di mentire sono poche e rare nella realtà, anche se le menzogne sono all’ordine del giorno, e questo perché – a loro avviso – la gente è consapevole dei costi sociali delle false accuse, e dunque diventa esitante nel denunciare le falsità. In altre parole, le denunce sarebbero poche perché le persone non sono certe di aver rilevato una menzogna e, dunque, per paura di essersi sbagliate e rischiare sanzioni o ritorsioni, non denunciano. Se questo è vero, potendo disporre di un sistema di AI che garantisce certezza, le accuse dovrebbero aumentare esponenzialmente.

Alicia von Schenk e colleghi hanno realizzato a questo scopo un SMLC (supervised machine-learning classifier), che supera l’abilità umana media nel rilevare le menzogne in un testo scritto, e hanno condotto un esperimento incentivato su vasta scala, manipolando la disponibilità di questo algoritmo rilevatore di bugie. Il risultato, osservano gli autori, cambia la dinamica sociale consueta.

(von Schenk A. et al., Lie detection algorithms disrupt the social dynamics of accusation behavior. iScience – Epub ahead of print doi: 10.1016/j.isci.2024.110201, 2024).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Humans and Machines, Max Planck Institute for Human Development, Berlin (Germania); Julius-Maximilians-Universität Wurzburg, Department of Economics, Würzburg (Germania); Institute for Advanced Study in Toulouse, Toulouse (Francia); Toulouse School of Economics, Toulouse (Francia); Research Center Trustworthy Data Science and Security, University of Duisburg-Essen, Duisburg (Germania).

Ecco cosa accadeva: in mancanza del supporto algoritmico, le persone partecipanti all’esperimento erano riluttanti nell’accusare altri di aver mentito, ma quando l’algoritmo era disponibile, una minoranza cercava attivamente le sue previsioni e coerentemente si affidava al verdetto del sistema SMLC per muovere le proprie accuse.

In effetti, solo il 31% dei partecipanti chiedeva la consulenza del sistema di AI, ma in questa frazione di meno di un terzo del totale la maggioranza seguiva l’indicazione implicita nella risposta del sistema. Un ultimo aspetto completa il quadro dei risultati: sebbene quelli che chiedevano il supporto dell’analisi del sistema SMLC non erano necessariamente più inclini ad accusare, si verificava che più volentieri seguissero le indicazioni che suggerivano la denuncia, rispetto a quelli che ricevevano l’informazione delle menzogne rilevate dal sistema SMLC senza averla attivamente richiesta.

Come si è già accennato, gli autori riconducono l’ordinaria “dinamica sociale” delle mancate denunce al timore di incorrere nei rigori della legge per false accuse, ma noi crediamo che sia opportuno tener conto di altri aspetti che qui di seguito si discutono in sintesi.

I criteri impiegati in questi studi implicano una schematizzazione rispetto alle circostanze reali della vita vissuta, semplificazione utile ed efficace quando si voglia isolare una relazione tecnica fra persone, come può essere una comunicazione, ad esempio, con un fine commerciale indiretto, quale è la maggior parte dell’informazione mediatica[1], ma che risulta fuorviante se si vogliano comprendere le ragioni dei comportamenti sociali nei confronti della menzogna.

Innanzitutto, si deve tener conto che nella vita reale non tutti gli enunciati non corrispondenti al vero sono ritenuti menzogne: sia pure in modo spontaneo, l’atteggiamento mentale della maggior parte delle persone riflette alcuni aspetti della complessità del reale. Ad esempio, la maggior parte delle persone nella maggior parte dei casi, considera con certezza menzogna un’affermazione falsa a scopo di frode, mentre è generalmente tendente a considerare erroneo, impreciso o improprio un enunciato falso che, almeno apparentemente, non è stato formulato allo scopo di ingannare qualcuno per trarne un vantaggio.

Nessuno chiamerebbe bugiardi dei genitori che, entusiasti per un lavoretto scolastico d’arte di una figlia, dicano: “Sei una grande artista!”; allo stesso modo nessuno considererebbe mentitore un innamorato che dica alla sua ragazza che è la donna più bella del mondo. E così per tutte le affermazioni dettate da entusiasmo o, all’opposto, da delusione: si pensi ai tifosi di calcio, delusi da una prestazione al di sotto delle attese dei propri beniamini, quante cose negative non vere sono in grado di dire!

Esistono molte forme di comunicazione sociale in cui sono convenzionalmente o tradizionalmente tollerati dei contenuti non veri: i curriculum vitae di giovani al primo impiego, la comunicazione di parte politica, ideologica o sportiva, la propaganda di prodotti commerciali, la conversazione da salotto per fini di adulazione, galanteria, compiacimento, cortesia, o intesa al supporto, al sostegno, all’incoraggiamento di persone ammalate, anziane, scoraggiate e sofferenti per varie ragioni.

La radice culturale del valore semantico del termine menzogna è etica; e in questo senso la intende la psicologia individuale del soggetto medio nella maggior parte delle prestazioni spontanee: di fatto considera menzogna un’affermazione sbagliata negativa. Se uno vede un tizio recarsi presso un ente benefico e, non sapendo che è impiegato presso quell’ente, dice che è un benefattore, nessuno lo accuserà di aver mentito; ma, se vede un altro tizio che parla con un noto esponente di un’organizzazione criminale e, non sapendo che è un poliziotto in borghese, dice che è un trafficante di droga, potrà essere accusato di calunnia, ossia la peggiore delle menzogne, costituita dalla falsa accusa di aver commesso un reato. La verità è che in entrambi i casi si è trattato di un errore, di un’affermazione erronea.

La radice etica del valore semantico dei termini connessi col mentire si può riconoscere nella filosofia greca e, soprattutto, nel pensiero giudaico-cristiano che attinge al comandamento “Non dire falsa testimonianza”. In entrambe le tradizioni si distingue l’errare involontariamente (l’erroneo) dal mentire (il falso); in particolare, nella tradizione ebraico-cristiana conta l’intenzione: senza l’intenzione al male non c’è menzogna e non c’è peccato.

È importante riflettere su un aspetto rilevante della concezione cristiana che ha influenzato la cultura nel corso dei secoli, fino alla scristianizzazione dell’epoca post-moderna. La Verità è identificata nel Cristo stesso, definito Via, Verità e Vita, ma questo valore è riferito alla sostanza intenzionale della persona e non si riferisce alla forma del comportamento o all’apparenza corretta tipicamente farisaica. Il comportamento di Gesù, che non pecca mai, chiarisce che cosa è menzogna, e dunque peccato, e cosa non lo è. Gesù dice che non andrà a Gerusalemme, ma poi vi si reca, in incognito. Non ha mentito: semplicemente non ha fatto sapere ai suoi aguzzini dove sarebbe stato, per non farsi prendere e uccidere prima dell’ora stabilita; invece, giunto in incognito, può andare a insegnare nel Tempio. Contano il fine e l’intenzione.

Nelle società multiculturali contemporanee, particolarmente in quella degli USA, si è abbandonato il riferimento a questa cultura del senso ragionato sui contenuti etici, e si è andato affermando un appiattimento sulla forma: ogni detto che non corrisponde al vero è sempre menzogna, per tutti e per ogni credo religioso o concezione filosofica.

La perdita di questo riferimento implicito alla cultura cristiana attraverso le forme di ragione elementare del giudizio spontaneo espresse nel common sense americano, corrispondente al nostro “buon senso”, ha portato a una progressiva perdita del giudizio di sostanza basato sui contenuti, primo fra tutti quello relativo alle intenzioni, e poi tanti altri, fino alla calibratura del senso in rapporto alle circostanze in cui è pronunciata un’affermazione. Progressivamente, e quasi inesorabilmente, nel tempo questo ha portato all’atteggiamento formalistico che gli studi sociologici hanno rilevato nella società nordamericana degli ultimi decenni. Non abbiamo analisi paragonabili per la realtà europea nel suo complesso; tuttavia, sembra evidente dalla comunicazione mediatica che anche nel vecchio continente si sia affermata la tendenza schematica a far prevalere la forma sulla sostanza, senza considerazione per il valore di falsità dipendente dai contenuti.

La perdita di valori culturali antropologicamente radicati a fondamento del giudizio, rende le persone molto meno sicure di sé, in quanto non possono attingere a certezze interiormente radicate nel valore di buon senso; allora diventa per molti importante avere il supporto di uno strumento tecnico che rende “oggettivo” il giudizio in relazione a una circostanza.

Queste ragioni più profonde, non considerate dagli autori dello studio qui recensito, riteniamo possano aver contribuito a determinare i risultati emersi.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-06 luglio 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] In quanto remunerata da sponsor di fascia oraria, legati all’uso del canale, e così via; nei servizi informativi a pagamento lo scopo di lucro è diretto. Si fa questo esempio, perché alcuni degli autori di questo studio in precedenza si sono occupati di comunicazioni commerciali.