Ruolo dei peptidi oppioidi derivati dal cibo
LUDOVICA R. POGGI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 02 novembre 2019.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il fascino che esercitano i neuropeptidi sui
ricercatori è facile da comprendere se si pensa all’enorme spettro di ruoli,
che vanno da quelli del primo fattore di crescita della cellula nervosa
scoperto da Rita Levi-Montalcini (NGF) a quelli dei peptidi neurotrasmettitori,
e se si tiene conto che c’è ancora molto da conoscere sulla fisiologia delle
molecole note e che sicuramente nuovi peptidi saranno scoperti nei prossimi
anni.
Molti neuropeptidi sono stati inizialmente
identificati come ormoni ipofisari o gastrointestinali. La vasopressina, come è
stato spesso ricordato in articoli pubblicati sul nostro sito, è stato il primo
neuropeptide identificato: una molecola di nove aminoacidi rilasciata dai
terminali assonici nella neuroipofisi e, più specificamente, sintetizzata dai
neuroni magnocellulari dell’ipotalamo che inviano le fibre alla regione
post-ipofisaria, dove i peptidi sono rilasciati nel sangue secondo la tipica
modalità neurosecretoria. Oltre la vasopressina, numerosi peptidi
gastrointestinali, come la colecistochinina (CCK), sono stati trovati ad
elevate concentrazioni nel sistema nervoso centrale dei mammiferi e, in
particolare, nel nevrasse umano. Nel sistema gastroenterico, CCK è secreto nel
sangue da cellule specializzate del duodeno e regola il rilascio degli enzimi
digestivi e degli acidi (sali) biliari nell’intestino. A differenza di quanto
accade per vasopressina e CCK, i fattori di rilascio ipotalamici (RF o RH) sono
peptidi immessi in uno speciale sistema portale che vascolarizza l’ipofisi
anteriore e consente il controllo degli ormoni ipofisari da parte dei peptidi
ipotalamici. La prima molecola isolata fu il peptide detto sostanza P,
definito “sialogico” in quanto causava salivazione in un saggio biologico. La
sostanza P è stata poi rinvenuta e studiata in molte vie di segnalazione, e
attualmente è indagata specialmente per il ruolo che svolge nelle vie
dolorifiche.
Una notevole mole di studi negli ultimi decenni è
stata dedicata ai peptidi oppioidi, quali β-endorfina, dinorfina,
leu-encefalina e met-encefalina, e ai loro recettori. I
ligandi dei recettori oppioidi endogeni partecipano a numerosi e importanti
processi fisiologici. Di recente sono stati indagati vari peptidi esogeni,
derivati da proteine del cibo che assumiamo per effetto dell’azione di proteasi
gastrointestinali, e per alcune classi di queste molecole sono state accertate attività
simil-oppioidi. Seguendo questa traccia, Liu e Udenigwe hanno definito lo stato
attuale delle conoscenze in questo campo, valutando anche la possibilità di
applicazioni terapeutiche delle nuove acquisizioni.
(Liu Z. & Udenigwe C. C., Role of food-derived opioid
peptides in the central nervous and gastrointestinal systems. Journal
of Food Biochemistry 43 (1):
e12629, 2019).
La provenienza degli autori è
la seguente: School of Life Science and Technology, Tongji University, Shanghai
(Cina); School of Nutritional Sciences, University of Ottawa, Ottawa, Ontario (Canada);
Department of Chemistry and Biomolecular Sciences, University of Ottawa,
Ottawa, Ontario (Canada).
Per facilitare l’inquadramento degli studi sui peptidi esogeni alimentari nell’ambito
della fisiologia delle molecole poli-aminoacidiche endogene, si propone una
sintetica introduzione tratta da un nostro articolo recente:
“I
peptidi impiegati dai sistemi biologici con funzione di segnalazione hanno una
lunga storia filogenetica, e in organismi molto semplici, quali i celenterati
del genere Hydra, sono del tutto
assenti l’acetilcolina e i neurotrasmettitori monoamminici, cioè le tre
catecolamine e la serotonina, perché tutta la funzione di segnalazione è
affidata a numerose e varie molecole peptidiche[1].
Più in generale, si può affermare che gli animali che occupano il più basso
grado della scala zoologica fra quelli provvisti di un sistema nervoso, ossia gli
cnidàri o celenterati, che comprendono gli anemoni di mare, i coralli, le
meduse e il genere Hydra, hanno una
rete nervosa fortemente peptidergica. Si ricorda, poi, che anche il lievito
impiega peptidi bioattivi per comunicare. Su questa base si ritiene che la
segnalazione affidata a molecole peptidiche costituisca un sistema
filogeneticamente primitivo ma conservato nel corso dell’evoluzione, perché
alcune sue peculiarità fisiologiche risultano utili pur in presenza di oltre 50
neurotrasmettitori e varie classi di ormoni, come accade nella nostra specie.
Alcune differenze che distinguono i peptidi dai neurotrasmettitori classici e
ne caratterizzano il profilo neurochimico e funzionale aiutano a comprendere la
loro specificità nel contesto della fisiologia nervosa e dell’intero organismo.
I peptidi sono presenti nei tessuti
a concentrazioni molto più basse dei neuromediatori classici e sono
coerentemente attivi sui recettori a concentrazioni notevolmente inferiori. Ad
esempio, le concentrazioni di ACh e NA nelle vescicole sinaptiche è
nell’intervallo di 100/500 mmol/l, mentre la concentrazione di peptidi nelle
tipiche vescicole dal grande nucleo denso è, al più, 3-10 mmol/l;
corrispondentemente l’affinità dell’ACh per i suoi recettori è in un ordine che
va dal micromolare al millimolare, mentre i peptidi si legano ai propri
recettori in un intervallo dimensionale che va dal nanomolare al micromolare.
Un’altra fondamentale differenza con i segnalatori non peptidici è data dalla
biosintesi. I neuropeptidi derivano da precursori inattivi di maggiori dimensioni,
che in genere sono costituiti da almeno 90 aminoacidi. L’esempio più semplice è
quello della prolattina prodotta dall’ipofisi, che richiede solo la rimozione
dal precursore della sequenza-segnale e la formazione di un ponte disolfuro.
Anche la somatostatina non richiede un processo in vari passi: dopo la
rimozione della sequenza-segnale è sufficiente una sola scissione. Al
contrario, molti altri neuropeptidi, come quelli derivati dalla
pro-oppiomelanocortina (POMC), prevedono una più complessa elaborazione
biochimica.
Un’altra caratteristica interessante,
comune ai precursori dei peptidi nelle specie filogeneticamente più antiche, è
l’esistenza di più copie delle molecole bioattive nello stesso precursore, come
esemplificato dalla famiglia peptidica FMRF-NH2, con 59 copie di
peptidi simili codificati da 22 geni. I precursori con molte copie del peptide
bioattivo sono meno frequenti nelle specie più evolute, anche se il precursore
del TRH nel ratto contiene tre copie del tripeptide TRH.
Mentre i neurotrasmettitori convenzionali riempiono
per sintesi locale piccole vescicole sinaptiche nei terminali giunzionali, i
neuropeptidi sono sintetizzati nel soma cellulare, sequestrati nel lume della
via secretoria e trasportati lungo l’assone mentre vanno incontro a scissione
ed altri eventi di elaborazione molecolare. Le vescicole LDCV contenenti
peptidi possono essere impiegate una sola volta. Dopo l’esocitosi, i
costituenti della membrana LDCV devono essere re-internalizzati e distrutti o
trasportati a ritroso fino al corpo cellulare per il riutilizzo. Sicché nessun
riciclo dei neuropeptidi o dei loro immediati precursori si verifica al loro
sito di rilascio o altrove. In proposito, si ricorda che il rilascio è un’altra
area di differenze fra trasmettitori convenzionali e neuropeptidi, che sono
secreti a concentrazioni di calcio citosolico molto più basse”[2].
Si conoscono vari peptidi di provenienza esogena, ossia derivanti da
macromolecole assunte con l’alimentazione e sulle quali agiscono proteasi
gastroenteriche, e caratterizzati dall’esercitare un’attività oppioide: esorfine
del glutine (grano), casomorfine del latte, rubiscoline degli
spinaci e soiomorfine della soia. Si è accertato che i peptidi oppioidi
derivati dal latte svolgono sia ruoli agonisti che antagonisti, e la maggior
parte dei peptidi oppioidi esercita funzioni di regolazione nel sistema nervoso
centrale, dimostrate attraverso effetti modulatori su nocicezione, emozione e
memoria, prodotti per somministrazione orale, intra-cerebro-ventricolare e
intraperitoneale. I risultati di questo genere di sperimentazione indicano che
i peptidi possono aver attraversato la barriera emato-encefalica (BEE) o aver
agito perifericamente.
Alcuni peptidi oppioidi derivati dal cibo influenzano le funzioni
gastroenteriche, quali la motilità intestinale, il rilascio di ormoni, l’appetito,
la produzione di muco e l’immunità locale.
In stato di salute, ossia nelle condizioni fisiologiche ottimali, i peptidi
oppioidi derivati dagli alimenti si ritiene che possano apportare benefici
sia all’apparato digerente che al sistema nervoso, mentre in condizioni patologiche
i cambiamenti di permeabilità gastrointestinale e l’eccesso di oppioidi può
contribuire alla patogenesi di alcune malattie.
Gli studi finalizzati ad utilità clinica esaminati dai due ricercatori
canadesi presentano vari elementi di interesse; infatti, i recettori oppioidi
sono importanti bersagli farmacologici per il trattamento di molte malattie. Ad
esempio, è emerso che i tradizionali composti oppiati, quali gli alcaloidi, inducono
molti effetti collaterali alle dosi efficaci, pertanto il loro impiego clinico
va ridimensionato. Dall’esame di nuovi esiti sperimentali si deduce che i peptidi
oppioidi di origine alimentare siano meno dannosi degli alcaloidi e, per
tale motivo, si prevede il loro impiego per lo sviluppo di alimenti funzionali.
Nel complesso, la rassegna riporta le proprietà di tutti i peptidi oppioidi
alimentari che sono stati scoperti, dettagliando l’analisi delle loro attività
fisiologiche nel sistema nervoso centrale e nell’apparato gastroenterico. Ad avviso
di chi scrive, il testo di questa rassegna può costituire un utile punto di
partenza per la programmazione di nuovi studi.
L’autrice
della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella
sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Ludovica R.
Poggi
BM&L-02 novembre 2019
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