Circuito discendente che modula il dolore neuropatico

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 28 settembre 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una grande sfida per le neuroscienze di base e la neurologia clinica è comprendere le cause, la genesi e i meccanismi implicati nel dolore neuropatico, per poter giungere a terapie efficaci di tutte le sue forme e, soprattutto, a un livello di conoscenza tale da poterlo prevenire ed evitare in ogni circostanza. Acquisizioni così radicali e preziose, come in ogni altro aspetto della ricerca neuroscientifica, consentirebbero progressi anche nella maggior parte dei campi di studio contigui. Nell’ultimo mezzo secolo, e particolarmente negli anni recenti, si sono andati accumulando dati che hanno radicalmente cambiato la concezione del dolore originato da danni al sistema nervoso periferico, spazzando via il malvezzo clinico, condannato già da Robert Wartenberg nel 1958, di etichettare come “nevralgia” tutti i dolori di origine indeterminata, spesso non dovuti a lesioni dei nervi periferici.

Attualmente, per la diagnosi, si adotta un criterio riflesso in una definizione accettata dall’International Association for the Study of Pain (IASP): “Dolore causato da lesione o malattia del sistema somatosensoriale” (Jensen 2011)[1]. La maggior parte delle malattie del sistema nervoso periferico produce sintomi e segni neurologici negativi, ma lo sviluppo di sofferenza algica per effetto di danno alle strutture nervose è in sostanza un paradosso, in quanto la compromissione anatomo-funzionale dell’apparato che consente l’efficiente conduzione assonica dell’informazione nocicettiva dovrebbe causare riduzione della sensibilità dolorifica. Le neuropatie dolorose costituiscono un gruppo eterogeneo di disturbi caratterizzato da dolore spontaneo indipendente da stimoli e iperalgesia indotta da stimolo. Numerose evidenze emerse dallo studio di pazienti affetti da tali sindromi croniche convergono nell’indicare quale fattore eziologico cruciale l’alterazione del fenotipo degli afferenti nocicettivi primari.

Per alcuni meccanismi del dolore neuropatico individuati dalla ricerca, si invita alla lettura della breve monografia Dolore cronico e danno neurodegenerativo[2] dalla quale più avanti si estraggono due brani. Un interesse particolare è suscitato dall’analisi condotta al livello dei sistemi neuronici che mediano l’espressione e la modulazione del dolore neuropatico.

Huang e colleghi hanno analizzato la base morfo-funzionale dell’ipersensibilità meccanica e termica sviluppata come conseguenza di danni dei nervi periferici, ed hanno individuato una via discendente che appare cruciale per la modulazione del processo di elaborazione dei segnali nocicettivi.

(Huang J., et al. A neuronal circuit for activating descending modulation of neuropathic pain. Nature Neuroscience – Epub ahead of print https://doi.org/10.1038/s41593-019-0481-5, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Physiology and Pharmacology, University of Calgary, Calgary (Canada); Alberta Children’s Hospital Research Institute, University of Calgary, Calgary (Canada); Hotchkiss Brain Institute, University of Calgary, Calgary (Canada); Cumming School of Medicine, University of Calgary, Calgary (Canada); Department of Psychiatry & Behavioral Sciences and Department of Bioengineering, Howard Hughes Medical Institute, Stanford University, Palo Alto, California (USA).

Riprendiamo alcune nozioni introduttive sulle basi della risposta al dolore, nella sintesi proposta nel già citato studio monografico:

“La risposta fisiologica al dolore è avviata da stimoli in grado di attivare le terminazioni di una o più classi di neuroni recettivi del dolore (nocicettori)[3] che trasmettono l’informazione sensitiva principalmente attraverso il glutammato e i neuropeptidi ai neuroni del corno posteriore del midollo spinale, da cui originano cinque vie ascendenti al talamo ed alla corteccia cerebrale: 1) Spino-Talamica, 2) Spino-Reticolare, 3) Spino-Mesencefalica, 4) Spino-Ipotalamica, 5) Cervico-Talamica. Ciascuno di tali tratti presenta caratteristiche fisiologiche peculiari. I nuclei talamici mediano l’invio dell’informazione alla corteccia cerebrale, che direttamente partecipa all’elaborazione delle sensazioni dolorose. A queste vie ascendenti corrisponde una rete distribuita di popolazioni neuroniche costituenti nel loro insieme il sistema analgesico endogeno, del quale si riconoscono alcune sedi principali nel grigio periacqueduttale, nel nucleo del rafe magno, in parti della formazione reticolare del bulbo e del mesencefalo, inclusa la regione parabranchiale[4]. Proseguendo in direzione cefalica vi è come una continuazione del sistema di controllo del dolore in aree proencefaliche che, stimolate, sono in grado di inibire le afferenze nocicettive del fascio spino-talamico: il grigio periventricolare, il nucleo ventroposterolaterale del talamo, l’area somestesica primaria della corteccia post-centrale e le aree corticali parietali posteriori. Non è superfluo ricordare che la stimolazione diretta del cervello produce, in generale, analgesia”[5].

Il brano successivo consente di inquadrare in un contesto già definito nel 2010 il lavoro qui recensito, nel quale si legge che la ricerca aveva lo scopo di individuare il circuito encefalico sottostante una condizione spesso debilitante come il dolore neuropatico, che presenta componenti sensoriali e affettive:

“Precedentemente si è fatto riferimento ad un complesso di piccoli sistemi, inizialmente identificati nel grigio periacqueduttale del mesencefalo[6], che nel suo insieme costituisce una via discendente di controllo inibitorio della nocicezione spinale, in grado di esercitare una profonda influenza sulla maniera in cui facciamo esperienza della sofferenza fisica. Lo studio delle aree e delle connessioni dalle quali origina questa funzione “analgesica”, ha rivelato un’importante partecipazione corticale, sottocorticale e troncoencefalica nella costituzione di una rete capace di integrare informazioni cognitive, emotive ed affettive secondo processi ancora in gran parte sconosciuti.

Oggi è accertato che le cellule nervose del grigio periacqueduttale troncoencefalico ricevono impulsi da varie aree corticali[7], così come dall’amigdala e dall’ipotalamo, ed inviano segnali all’area del bulbo indicata con l’acronimo inglese RVM (da rostral ventromedial medulla). L’attivazione di questo circuito media la potente soppressione del dolore che si verifica durante un trauma, uno stress intenso o uno stato di grande eccitazione, ma la sua funzione complessiva non si limita ad un’attività inibitoria. Infatti, numerose evidenze suggeriscono che il sistema nel suo complesso, in condizioni fisiologiche, svolge un ruolo di regolatore di intensità del dolore mediante l’azione di due classi distinte di neuroni:

 

1) cellule off, attivate da endorfine e mofina, inibitrici della trasmissione degli impulsi dolorifici;

2) cellule on, facilitatici della segnalazione del dolore e sensibili agli stimoli nocicettivi[8].

 

Si è poi accertato che questo sistema di controllo, e in particolare i neuroni della RVM, svolgono un ruolo importante nella persistenza del dolore acuto. Vari esperimenti avevano mostrato che, nel danno neuropatico sperimentalmente indotto nei roditori, una popolazione di cellule di questo nucleo bulbare emetteva una segnalazione che, invece di ridurre i segnali nocicettivi in arrivo, li amplificava. Un lavoro condotto da Porreca e colleghi nel 2001 ottenne un risultato illuminante in questo senso: impiegando il metodo della tossina legata al trasmettitore secondo la strategia del cavallo di Troia precedentemente descritta a proposito dello studio condotto dal gruppo di Patrick W. Mantyh, i ricercatori distrussero selettivamente nei ratti la popolazione neuronica del nucleo RVM sospettata di amplificare invece che inibire i segnali. Senza questi neuroni, i roditori ugualmente sviluppavano dolore patologico nella zampa innervata dal tronco nervoso sottoposto a danno sperimentale, ma la sofferenza durava poco tempo. Tale risultato, successivamente sottoposto a numerose verifiche, suggeriva che l’area RVM contiene una popolazione neuronica che specificamente interviene nel determinare una conversione funzionale responsabile del mantenimento dello stato alla base del dolore cronico.

Nel 2008 il team di Irene Tracey presso l’Università di Oxford ha cercato una verifica di questi risultati nell’uomo, in uno studio che ha avuto un’importanza decisiva per l’interpretazione del ruolo dei neuroni equivalenti a quelli del nucleo RVM dei roditori. Nei volontari in cui era stato indotto mediante capsaicina[9] un dolore simile a quello dei pazienti sofferenti di algie croniche, l’area della formazione troncoencefalica corrispondente alla RVM dei ratti presentava un’attività diversa da quella dei soggetti di controllo e in tutto simile a quella delle persone affette da dolore cronico.

Avuta questa conferma, si è compiuto un ulteriore passo in direzione dell’origine, cercando di individuare le cause che portano i neuroni bulbari del sistema di regolazione di intensità del dolore a rispondere emettendo segnali che amplificano le informazioni nocicettive. Varie evidenze, ancora al vaglio della verifica, sembrano indicare che segnali ectopici provenienti dal nervo danneggiato agiscono modificando lo stato delle cellule dell’area RVM inducendole a rispondere con una facilitazione, invece che con una inibizione, ai segnali dolorifici.

In attesa di ulteriori sviluppi di queste ricerche, passiamo ad un altro aspetto molto interessante della percezione del dolore: oltre ad operare attraverso un sistema di controllo dell’intensità degli stimoli, il sistema nervoso centrale è impegnato in attività di sintesi che sembrano essere alla base dello stato generale che connota la qualità complessiva di “esperienza spiacevole o insopportabile” con la sua gamma di differenti tipi, caratterizzati da componenti emotivo-affettive diverse e da particolarità che caratterizzano il vissuto soggettivo. Questi stati, convenzionalmente studiati come interpretazione del dolore, dipendono da innumerevoli fattori, quali il setting, il grado di attenzione e di allerta, il tono dell’umore, le esperienze passate della persona, il grado e il tipo di attivazione dei sistemi dello stress, la presenza di disturbi fisici e psichici pregressi, e così via. Sebbene la ricerca delle basi neurofunzionali dell’esperienza del dolore non possa penetrare la soggettività psicologica, oggi può fornire importanti elementi per la comprensione dell’influenza del dolore sulla sfera affettivo-emotiva e su quella cognitiva.

La potente attivazione da parte del dolore di aree cerebrali che elaborano le emozioni, è un’importante acquisizione degli anni recenti che ha determinato un superamento dei tradizionali limiti del campo di studio della neurofisiologia nocicettiva. Infatti, è stato accertato che i processi responsabili della sofferenza fisica determinano un’intensa attivazione della corteccia cingolata anteriore (ACC, da anterior cingulate cortex)[10], una regione che sembra implicata nel governare vari aspetti emotivi delle esperienze protopatiche, e dell’amigdala, il cui importante ruolo nella paura e in altre reazioni e stati emotivi è ben noto. Queste aree, che fanno parte di una sorta di asse cerebrale del dolore - come è stato battezzato di recente - possono diventare iperattive in sindromi e stati di dolore cronico, assumendo a loro volta un ruolo concausale mediante l’accentuazione della reattività di questi pazienti, in una sorta di circolo vizioso.

Studi recenti hanno fornito elementi significativi a favore dell’ipotesi che la ACC svolga un ruolo di collegamento fra l’elaborazione sensitiva del dolore e le risposte emozionali. Vari fattori che innescano il dolore cronico agiscono specificamente su questa parte della circonvoluzione del cingolo: i danni dei nervi periferici e l’infiammazione cronica, ad esempio, determinano una ristrutturazione neurale nella parte anteriore della corteccia cingolata che, d’altra parte, nella sua elaborazione delle risposte al dolore, subisce l’influenza di fattori psicologici come l’umore, le aspettative e la suggestione ipnotica[11]. Perciò si ritiene che la ACC integri gli impulsi sensitivi con gli stati emotivi e la sua attività sia alla base di alcune manifestazioni cliniche associate al dolore cronico, come i disturbi del sonno, la depressione e un particolare stato di angoscia caratterizzato dalla paura che la sofferenza diventerà così intensa da non essere più affrontabile e sopportabile (pain catastrophizing)[12][13].

Ritorniamo allo studio qui recensito. Huang e colleghi hanno identificato un vero e proprio circuito con quattro stazioni neuroniche bene caratterizzate: amigdala baso-laterale (BLA) – corteccia prefrontale (PFC) – grigio periacqueduttale (PAG) – midollo spinale (SC).

Questa via nervosa si è rivelata imprescindibile per lo sviluppo di ipersensibilità meccanica e termica a seguito di danni nervosi periferici nel topo e nell’uomo. L’osservazione sperimentale ha dimostrato che gli agenti in grado di danneggiare la struttura dei nervi causano un rinforzo dell’input sinaptico generato dai neuroni della BLA e trasmesso dagli assoni del circuito diretti alle cellule post-sinaptiche inibitorie localizzate nell’area prelimbica mediale della PFC. Il meccanismo del rinforzo della segnalazione dell’amigdala sugli interneuroni inibitori corticali consisteva nella riduzione della modulazione endocannabinoide. Tali connessioni sinaptiche aumentate mediano una inibizione a feedforward delle fibre di proiezione inviate dai neuroni della PFC alla regione ventrolaterale del PAG e ai suoi gruppi neuronici bersaglio.

Impiegando approcci optogenetici combinati con metodi farmacologici in vivo, i ricercatori hanno scoperto che le connessioni BLA-PFC-PAG modificano il comportamento di risposta al dolore mediante la riduzione della modulazione noradrenergica e serotoninergica discendente della segnalazione dolorifica nel midollo spinale.

L’insieme della sperimentazione ha identificato, apparentemente con certezza, un circuito di lungo raggio del sistema nervoso centrale (BLA-PFC-PAG-SC) di importanza cruciale nell’elaborazione dell’informazione dolorifica; un sistema che potrà essere bersaglio di nuove strategie terapeutiche per lenire il dolore neuropatico.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-28 settembre 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Wall & Melzack’s Textbook of Pain, 6th edition, p. 927, Elsevier Saunders, Philadelphia 2013.

[2] Cfr. Dolore cronico e danno neurodegenerativo nella sezione “In Corso” del sito.

[3] Un tempo, seguendo le descrizioni anatomiche classiche, si riservava il termine “nocicettore” alla terminazione recettoriale periferica dei neuroni sensitivi protopatici (cellule a “T”) con il corpo cellulare nel ganglio spinale o nel ganglio dei nervi cranici. Attualmente si tende a seguire l’uso della fisiologia, che identifica il nocicettore con tutta la cellula. Questo criterio si applica anche ad altre strutture percettive; ad esempio nella retina si indicano con coni e bastoncelli le cellule fotorecettrici, incluso l’articolo esterno dal quale prendono il nome. Tale uso è seguito da tempo in ambito sperimentale dove, d’altra parte, al livello molecolare il termine “recettore” è pressoché esclusivamente impiegato per designare le molecole proteiche che ricevono un ligando.

[4] Più avanti si fornisce un’indicazione più particolareggiata delle aree importanti nella modulazione del dolore e dei principali meccanismi noti.

[5] Dolore cronico e danno neurodegenerativo nella sezione “In Corso” del sito.

[6] Esperimenti condotti presso l’Università della California a Los Angeles (UCLA) avevano dimostrato, già all’inizio degli anni Settanta, che la stimolazione di una particolare area del mesencefalo era in grado di causare sollievo nei ratti prostrati dal dolore.

[7] Nell’elaborazione del dolore sono attive aree della corteccia prefrontale, parietale posteriore, motoria, somatosensitiva, del giro del cingolo (anteriore e posteriore) e dell’insula. Si è scelto di riportare sinteticamente questo riferimento in nota, invece di trascrivere la dettagliata disamina dei centri corticali implicati nell’elaborazione del dolore, per non interrompere il filo della trattazione.

[8] La funzione di questo circuito è notevolmente influenzata da fattori psicologici e risente dell’effetto placebo.

[9] Composto contenuto nel peperoncino rosso o pepe di Caienna, ampiamente usato come stimolo nocicettivo a scopo sperimentale per la sua straordinaria potenza ed efficacia a piccole dosi.

[10] Il giro del cingolo (gyrus cinguli, secondo l’IANC, International Anatomical Nomenclature Committee) o circonvoluzione del corpo calloso, che Broca aveva descritto come lobulo del corpo calloso, circonda e segue dal ginocchio allo splenio il contorno del corpo calloso come il cingolo di un carro armato, con il margine superiore delimitato dal solco del cingolo che, con i suoi rami più piccoli, lo rende irregolare e festonato, presentando parti che Rolando aveva paragonato alla cresta del pollo (circonvoluzione crestata). In corrispondenza dello splenio si continua con la circonvoluzione dell’ippocampo, che appartiene alla faccia inferiore degli emisferi e costituisce uno dei collegamenti più studiati per comprendere i ruoli fisiologici dei neuroni che hanno sede in questa formazione. Osservando la superficie mediale dell’emisfero ci si rende conto che il giro del cingolo ne costituisce una parte importante, sormontata da giro frontale interno, lobulo paracentrale, cuneo e precuneo: strutture neocorticali implicate nei processi cognitivi.

[11] Come è stato documentato in vari studi mediante neuroimaging. Si veda, in proposito: Nash M. R. & Benham G., The Truth and the Hype of Hypnosis. Scientific American MIND, giugno 2005.

[12] Si veda G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD). Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli 2005.

[13] Dolore cronico e danno neurodegenerativo nella sezione “In Corso” del sito.