La riattivazione di cervelli morti mette in crisi la morte cerebrale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 21 settembre 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO/DISCUSSIONE]

 

Il ripristino da parte di Nenad Sestan e colleghi della microcircolazione cerebrale e di alcune attività neuroniche nei cervelli di maiali morti già da ore in un macello, oltre a proporsi come eccezione alla regola dell’irreversibilità delle alterazioni neuroniche post-mortem, pone seriamente in discussione, se non in crisi, l’attuale concetto di “morte cerebrale”, sul quale si basano i protocolli di espianto degli organi da trapiantare e importanti valutazioni nel coma. Infatti, l’encefalo di un mammifero come il sus scrofa domesticus è neurobiologicamente e in termini di fisiologia neurovascolare molto prossimo a quello della nostra specie[1]. Sestan della Yale School of Medicine e i suoi colleghi hanno scoperto che il cervello dopo la morte non va incontro ad un danno immediato, completo e irreversibile. In particolare, sembra che la finestra temporale della necrosi cellulare neuronica abbia una durata di gran lunga maggiore di quella attualmente presunta, e che la cessazione della vita dei neuroni non avvenga nell’arco di pochi secondi o di qualche minuto, ma sia un processo lento e graduale che si sviluppa per stadi[2].

Gli autori dello studio hanno realizzato e impiegato un nuovo sistema per la perfusione del cervello post-mortem, definito “BrainEx” (da ex vivo), e costituito da una rete di pompe che inviano a temperatura e pressione fisiologiche un fluido sintetico con caratteristiche di sostituto ematico. In particolare, il perfusato inviato dal sistema pulsatile extracorporeo era acellulare, basato sull’emoglobina, non coagulativo, ecogenico, citoprotettivo e concepito per promuovere il recupero da anossia, ridurre il danno da riperfusione, prevenire l’edema e supportare metabolicamente le richieste energetiche del cervello.

In 32 cervelli suini, dopo quattro ore dalla macellazione e in procinto di essere smaltiti come rifiuti, si è sperimentato l’impiego di BrainEx con 6 ore di perfusione, durante le quali i cervelli suini non trattati sono andati incontro a gravi alterazioni irreversibili.

Per l’analisi degli effetti i ricercatori hanno impiegato varie tecniche di imaging e di studio molecolare e cellulare del tessuto nervoso.

BrainEx, oltre a preservare architettura e struttura delle cellule cerebrali riducendone la morte, si è mostrato in grado di ristabilire alcune attività cellulari. In particolare, una parte dei neuroni diventava metabolicamente attiva, utilizzando il glucosio, assumendo O2 e producendo CO2; la ripresa metabolica è stata accompagnata da attività sinaptica spontanea; in seguito a stimolazioni sperimentali, si è osservato il ripristino delle risposte di dilatazione vascolare e infiammazione gliale. Tutti questi segni positivi non erano accompagnati da attività elettrocorticografica globale.

Una tale ripresa funzionale, non ritenuta possibile fino a questo studio dalla maggior parte dei ricercatori, pone numerosi interrogativi e, soprattutto, getta ombre sull’irreversibilità di processi che si verificano in vita prima della morte.

Si può obiettare che la riattivazione neuronica ottenuta nei cervelli porcini è poca cosa per mettere in discussione i criteri sui quali si basa la presunzione di irreversibilità che consente il prelievo di organi da trapiantare. Infatti, nei 32 encefali perfusi con BrainEx, non si è registrato nulla di comparabile alle attività globali del cervello alla base della funzione che identifichiamo con la coscienza. Ma, per valutare se nei risultati ottenuti da Sestan e colleghi vi siano elementi rilevanti in rapporto alla reversibilità, consideriamo la concezione sulla quale si basa la prassi neurologica corrente.

Non esiste un marker bioumorale che indichi l’evoluzione del coma in uno stato irreversibile che precede la morte, e allora si deve ricorrere alla diagnosi clinica di quella condizione che la prudenza dei neurologi del secolo scorso aveva denominato in francese coma depassé, ossia “al di là del coma”, e che, seguendo una Commissione della Harvard Medical School, dal 1968 si chiama morte cerebrale[3]. Tale stato fu definito per la prima volta da R. D. Adams, membro della commissione, sulla base della totale assenza di reazione a qualsiasi modo di stimolazione, arresto della respirazione e mancanza di attività elettrica cerebrale per 24 ore. Gli studi seguenti hanno portato l’American Academy of Neurology a definire specifiche linee-guida per la diagnosi di morte cerebrale nel 1995, e ad aggiornarle nel 2010. L’equiparazione della morte cerebrale alla morte della persona e il fatto che il termine della funzione del cervello possa precedere quello del cuore hanno sollevato problemi etici, medici, religiosi, filosofici, culturali, legali e sociali non ancora risolti, in quanto concepiti secondo differenti angolazioni prospettiche, spesso fra loro inconciliabili. Se si pensa che il principale fondamento di questa equiparazione è costituito dall’inevitabilità della morte dopo la cessazione funzionale dell’encefalo, nonostante vi siano eccezioni di persone con lunga sopravvivenza, si comprende quanto la materia possa essere delicata e controversa.

L’irreversibilità dello stato, accanto alla cessazione delle funzioni del cervello e del tronco encefalico, è il requisito fondamentale per la diagnosi di morte cerebrale, pertanto l’apparente ripristino – sia pur parziale – di funzioni in cellule nervose del cervello di maiale suscita un grande interesse e ha promosso discussioni anche in seno alla nostra società scientifica.

Alcuni nostri soci hanno osservato che, se i tempi di sviluppo della necrosi sono più lunghi di quanto si sia finora ritenuto e di durata differente fra le varie popolazioni neuroniche del cervello, andrebbero attentamente studiati nelle varie specie, anche per cercare di comprendere se le cellule più resistenti possano estendere l’intervallo temporale della reversibilità. Altri hanno affermato che si è dato un peso eccessivo a questi risultati: la possibilità di riattivazione parziale di cellule di altri organi dopo la morte è nota da tempo, ma in questo caso, trattandosi del cervello, si è lasciato spazio a ipotesi suggestive e, ad avviso di questi soci, del tutto infondate.

Pur rispettando il punto di vista di questi colleghi scettici, chi scrive non condivide il giudizio di “infondate” per le ipotesi che considerano forme di riattivazione, quale questa ottenuta sul cervello dei maiali, come un possibile innesco per il recupero di attività dei sistemi globali dell’encefalo. È vero che Nenad Sestan e colleghi non hanno rilevato alcun segno di coscienza, ossia della funzione del cervello dei mammiferi che corrisponde alla cosiddetta coscienza primaria umana, ma è pur vero che non era questo lo scopo dei ricercatori che, nella soluzione concepita come uno speciale plasma sintetico, hanno incluso composti che possono addirittura bloccare l’attività neurale necessaria per la fisiologia della coscienza. Inoltre, Stephen Latham, direttore del Centro Interdisciplinare di Bioetica dell’Università di Yale e coautore dello studio, ha precisato che se fosse apparso qualsiasi tipo di attività elettrica corticale organizzata lo avrebbero immediatamente soppresso con l’anestesia e abbassando la temperatura dei tessuti.

Rachael Rettner, senior writer di Live Science, ha raccolto l’opinione indipendente di Neel Singhal, assistant professor di neurologia presso l’Università della California a San Francisco, che ha dichiarato di considerare lo studio stimolante per le questioni etiche che solleva e, in particolare, ha osservato che, se è possibile un qualche ripristino di attività del cervello, dovremo “cambiare la nostra definizione di morte cerebrale”[4].

Contestualmente allo studio, Nature ha pubblicato un commento di Nita Farahany della Duke University e colleghi nel quale, attribuendo notevole valore ai processi biologici riattivati da Sestan, Vrselja e colleghi nei neuroni dei cervelli porcini morti, si rileva un mutamento dell’orizzonte bioetico convenzionale e si richiede l’elaborazione di nuove linee-guida per le condotte cliniche, perché questi risultati “pongono in questione assunti di vecchia data circa ciò che rende vivo un animale o un essere umano”[5].

Indipendentemente dal grado di significatività che si voglia attribuire alla riattivazione di cellule cerebrali di un mammifero dopo la morte, si può concordare circa il fatto che tali studi vadano proseguiti e approfonditi. Intanto, sarà necessario verificare se altri gruppi di ricerca approderanno a simili risultati ripetendo la sperimentazione, poi sarà opportuno considerare alcune variazioni principali, quali quelle relative alla durata della perfusione e alla composizione del fluido.

Gli esperimenti con BrainEx sono durati 6 ore, pertanto sarà interessante osservare e analizzare cosa accade protraendo la durata e, in particolare, se gli effetti di riattivazione tendono a rimanere stabili o a ridursi, e dopo quanto tempo i processi di trasformazione post-mortem prendono il sopravvento.

Un punto di fondamentale importanza è costituito dalle alterazioni che riguardano tutte le componenti dell’apparato cerebrovascolare: l’encefalo dipende costantemente dal flusso ematico, che giunge attraverso una miriade di piccolissimi vasi in tutto il parenchima neuro-gliale ed è regolato anche dalla stessa attività nervosa; la progressiva necrosi delle cellule che appartengono a queste strutture rende impossibile il teorico ripristino di condizioni fisiologiche vitali con l’attuale sistema BrainEx che, d’altra parte, impiega un fluido che si discosta molto dal sangue. Nonostante tali limiti, l’uso di questa nuova risorsa per indagare i processi che seguono la fine della vita, sembra promettente.

È opportuno considerare che lo strumento BrainEx, realizzato da Sestan e colleghi presso l’Università di Yale del Connecticut, è in realtà figlio di un grande progetto dei National Institutes of Health (NIH) chiamato BRAIN Initiative, dal quale ha avuto origine il finanziamento della ricerca. Il principio ispiratore di questa nuova istituzione, nata nel 2013 e direttamente dipendente dal governo USA, è la necessità di creare nuovi strumenti e nuove tecnologie per accelerare le scoperte scientifiche che possono portare ad una migliore comprensione della fisiologia cerebrale e delle malattie umane che colpiscono il cervello. Fin dall’avvio, BRAIN Initiative ha finanziato una rete sempre crescente di ricercatori nell’ambito della bioetica e ha creato un gruppo di lavoro ad hoc al suo interno, il BRAIN Initiative Neuroethics Working Group, che analizza in termini bioetici ciascun progetto di ricerca varato e ha ispirato specifici principi guida di neuroetica. Andrea Beckel-Mitchener, a capo del team di BRAIN Initiative, ha affermato che la nuova tecnologia impiegata nello studio di Sestan inaugura un modo totalmente nuovo per studiare il cervello dopo la morte e crea possibilità per l’esame delle complesse connessioni fra cellule e circuiti, come per l’analisi di funzioni che si perdono nella preparazione dei campioni istologici; inoltre, sottolinea che BrainEx può essere impiegato in ricerche che studiano il possibile recupero cerebrale dopo la perdita del flusso cerebrovascolare fisiologico, come avviene durante un infarto cardiaco.

In proposito, si vuol notare che è comprensibile la soddisfazione di Andrea Beckel-Mitchener per la realizzazione e i risultati ottenuti, e si condivide il giudizio sull’utilità di BrainEx per lo studio della cronologia e delle priorità dei processi che hanno luogo nella necrosi di tessuto nervoso da perdita del flusso ematico; tuttavia, è opportuno precisare che la riattivazione dei neuroni del cervello di maiale non si è in alcun modo avvicinata alla possibilità di riportare l’organo alle sue funzioni vitali, e che il perfusato erogato dalla nuova tecnologia potrebbe indurre delle differenze nell’attività rispetto alle condizioni naturali. Infatti, come si è già sottolineato, il fluido ha una composizione molto diversa da quella del plasma e, soprattutto, in questo genere di esperimenti vengono a mancare le funzioni del liquor e del sistema cellulare che lo produce, adattandolo istante per istante alle esigenze fisiologiche.

In conclusione, la riattivazione neuronica in cervelli suini dopo la morte ha sicuramente segnato una svolta in questo ambito della ricerca, che affronta uno dei grandi problemi della medicina e delle neuroscienze, del quale ci occuperemo ancora, a breve, per un caso che ha destato molto scalpore e accresciuto l’urgenza della necessità di conoscere.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-21 settembre 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

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[1] Il maiale – termine derivato dal latino majalem, che indicava i suini castrati impiegati nei sacrifici alla madre di Mercurio, Maia – per la similarità del suo sistema cardiovascolare con quello umano è stato impiegato per modelli di studio di patologie vascolari, inclusa l’aterosclerosi. L’organizzazione funzionale del cervello umano ha un’omologa in quella suina migliore di quella murina, che costituisce il riferimento principale della ricerca.

[2] La sintesi è dello stesso Sestan, professore di neuroscienze, medicina comparata, genetica e psichiatria, secondo quanto riportato da Rachael Rettner su Live Science il 17 aprile, ossia nel giorno stesso della pubblicazione su Nature dello studio in questione: Vrselja Z., et al. Restoration of brain circulation and cellular functions hours post-mortem. Nature 568 (7752): 336-343, 2019.

[3] Beecher H. K., et al. A definition of irreversible coma: Report of the Committee of Harvard Medical School to examine the definition of brain death. JAMA 205: 85, 1968.

[4] Rettner R., Hours After Pigs’ Death, Scientists Restore Brain Cell Activity, (TdA). Live Science April 17, 2019.

[5] Farahany N. A., et al. Part-revived pig brains raise slew of ethical quandaries. Nature 568 (7752): 299-302, 2019.