Novità, sorprese e riflessioni sul
cervelletto
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 01 giugno
2019.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il
cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]
Sono trascorsi sedici anni da quando
il nostro presidente, in un’intervista da noi pubblicata, presentava una
considerevole gamma di funzioni caratterizzate dall’attivazione del
cervelletto, descritto ancora in molti manuali didattici come una struttura
esclusivamente motoria. Ai ruoli classici nella coordinazione della motricità,
nell’equilibrio e nei movimenti balistici, negli anni si erano aggiunti dati a
supporto della capacità del cervelletto di contribuire a determinare la
velocità e la precisione della percezione sensoriale, di intervenire in
cooperazione con la corteccia nella modulazione di funzioni cognitive,
emozioni, rappresentazioni mentali, simbolizzazioni, ideazione anticipatoria,
organizzazione e articolazione del linguaggio verbale. Con metodiche di
neuroimmagine funzionale era stata dimostrata anche una rilevante attività
durante il sonno. Se è vero che dopo tre lustri molte delle evidenze di
partecipazione attiva del cervelletto non hanno trovato conferme e
interpretazioni tali da consentire schematiche definizioni di tali ruoli, è pur
vero che non si giustifica che alcune scuole neuroscientifiche continuino a
ignorare i ruoli non motori del piccolo cervello sottotentoriale.
Si è discusso spesso della tendenza
a negligere i risultati della ricerca difficili da conciliare con la concezione
dominante in neurofisiologia e coerente con la casistica clinica prevalente.
La questione fondamentale è che la
dimostrazione della partecipazione del cervelletto all’elaborazione sensoriale,
e soprattutto all’attività psichica, darebbe risposta al quesito del secolo
scorso: è possibile che si sia evoluta una struttura di queste dimensioni e di
questa complessità per la sola regolazione dell’equilibrio, della postura,
della coordinazione e della durata delle sequenze di scarica dei sistemi motori
del cervello? Ma, se appare ragionevole che i complessi sistemi neuronici
cerebellari si siano evoluti come integratori o ottimizzatori di innumerevoli
processi cerebrali più direttamente connessi con le macrofunzioni misurabili e
caratterizzanti il comportamento, si deve ammettere che le prove di questa
possibilità continuano a difettare e alcune evidenze sembrano supportare
l’irrilevanza dell’attività del cervelletto in importanti funzioni psichiche
assolte dai sistemi neuronici che Gerald Edelman definiva globali.
Marcello Massimini e Giulio Tononi,
nel loro ottimo saggio Sizing Up
Consciousness, affrontano il problema del ruolo del cervelletto nella
nostra specie proponendo una sorprendente evidenza clinica. Una giovane
ventiquattrenne sposata e madre di una bambina era giunta all’osservazione
medica per vertigini, nausea e vomito da circa un mese. Nella sua anamnesi
evolutiva si registrava un rallentamento della cronologia di sviluppo per la
linea motoria, con l’acquisizione della deambulazione autonoma solo a 7 anni, e
per quella del linguaggio, con un’esecuzione verbale non intellegibile fino
all’età di 6 anni. Dalla seconda infanzia aveva condotto una vita
apparentemente normale. All’esame neurologico appariva orientata e cooperante,
con capacità comunicative fisiologiche, sia sul versante recettivo sia su quello
produttivo, solo si registrava qualche disturbo dell’ortofonia, con tremito
vocale, difetti nell’articolazione delle parole e qualità aspra del timbro della
voce. Le immagini ottenute con lo studio del cranio mediante risonanza
magnetica nucleare, in particolare le incidenze sagittali in T1, hanno rivelato
la totale assenza del cervelletto. La fossa cranica posteriore appariva vuota e
riempita dal fluido cefalo-rachidiano, documentando l’agenesia totale dell’organo
sottotentoriale[1].
Senza una parte così importante
dell’encefalo, pur scontando le presumibili reazioni di plasticità tendenti a
compensare il deficit congenito da parte delle altre formazioni del nevrasse
durante lo sviluppo, è sorprendente che la paziente avesse un’attività psichica
di base normale e, come sottolineano Massimini e Tononi, fosse perfettamente
cosciente.
Questo caso suggerisce una prima
riflessione relativa al contrasto fra le dimensioni della struttura e la sua
importanza per quelle funzioni psichiche che consideriamo di più alto livello.
Si stima che il nostro sistema nervoso centrale sia costituito da circa 100
miliardi di neuroni e un numero notevolmente maggiore di cellule gliali; presi
insieme, il sistema cerebrale talamocorticale e il cervelletto, rappresentano
una massa di 86 miliardi di neuroni, così ripartiti: 16 miliardi nel primo e 70
nel secondo. Un dato molto significativo. La notevole sproporzione fra il
sistema cerebrale e quello cerebellare è generalmente attribuita alla densità
delle cellule nervose, che nel cervelletto appaiono fittamente stipate e
serrate a una vicinanza impressionante, per ragioni ricondotte da Giuseppe
Perrella al differente ruolo della glia, e in particolare degli astrociti, che
nella corteccia cerebrale occupano un maggior volume in rapporto alle più
articolate funzioni di cooperazione con i neuroni. Se accantoniamo per un
istante questa tesi, secondo cui l’evoluzione neoencefalica
della corteccia è coincisa con una specializzazione gliale nelle funzioni
cerebrali di più alto livello, possiamo facilmente percepire l’apparente
paradosso proposto da Massimini e Tononi del cervelletto come struttura
dell’encefalo che contiene il maggior numero di neuroni ma non sembra
partecipare alle funzioni che identifichiamo con la coscienza.
Infatti, la coscienza sembra essere
intatta anche quando la perdita del cervelletto non è congenita ma acquisita.
Nei tumori cerebellari in rapida evoluzione, che si diffondono minacciando di
invadere il cervello, è indicato l’intervento chirurgico di asportazione totale
del cervelletto. I pazienti sottoposti a tale intervento divengono atassici,
hanno difficoltà nella coordinazione di movimenti rapidi, presentano tremore
intenzionale e parola scandita, ossia perdono la fluida continuità fisiologica
nella fonoarticolazione del discorso. L’esame di tali
pazienti rivela integrità della coscienza, sia in termini quantitativi che
qualitativi, sulla base delle prove diagnostiche attualmente in uso[2].
Se il cervelletto è presente alla
nascita ma ha un volume ridotto per prematurità, cosa è lecito attendersi?
Tam e colleghi di un team canadese, introducendo
uno studio pubblicato lo scorso 21 maggio, dichiarano: “Per aiutare i clinici a
capire cosa aspettarsi da volumi cerebellari ridotti per prematurità, questo
studio ha lo scopo di caratterizzare l’impatto delle piccole dimensioni
cerebellari sull’esame neurologico”[3]. I dettagliati dati di misura forniti dagli autori dello studio possono
essere così sintetizzati concettualmente: la riduzione dimensionale del
cervelletto, nell’esame neurologico a 18 mesi di vita, determina anomalie
rivelatrici di condizioni patologiche, quali riduzione complessiva del tono
della muscolatura del tronco, iperreflessia patellare
e instabilità posturale strettamente correlata alle alterazioni morfometriche della regione paravermiana.
Torniamo ora al cervelletto nell’età
adulta e, in particolare, in una patologia neurodegenerativa che in passato si
riteneva non interessasse la formazione della fossa cranica posteriore.
La semeiotica neurologica classica
prevedeva una dicotomia basata sul segno del tremore: la degenerazione neuronica della sostanza nera
mesencefalica nella malattia di Parkinson causa un tremore in assenza di
movimenti volontari (tremore a riposo
parkinsoniano); la lesione cerebellare genera scosse ritmiche che si
accentuano col procedere del movimento prodotto per eseguire un’azione
volontaria (tremore intenzionale
cerebellare). Tale distinzione era molto più di uno strumento operativo di
diagnosi differenziale, perché ha rappresentato fino ad anni recenti un
paradigma neuropatologico che contrapponeva lesioni e danni dei nuclei della
base encefalica a quelli del cervelletto, con implicita mutua esclusione.
Studi recenti, evidenziando un
interessamento del cervelletto nella malattia di Parkinson, hanno aperto un
nuovo capitolo nella neuropatologia del disturbo, tradizionalmente focalizzata
sulla degenerazione nigro-striatale. In realtà, la conoscenza del ruolo delle
alterazioni cerebellari è ancora molto limitata, per questo un nuovo studio che
ha impiegato la fMRI in stato di riposo (resting
state) per indagare le disfunzioni cerebellari in pazienti affetti da
malattia di Parkinson mai trattati o in corso di trattamento farmacologico, ci
sembra di notevole interesse.
Xu e colleghi della facoltà di
medicina dell’Università di Shanghai hanno reclutato 31 pazienti in stadio
clinico iniziale, 22 dei quali mai trattati e 9 in terapia, e 31 volontari sani
dalle caratteristiche equivalenti, fungenti da gruppo di controllo. Le sezioni
in fMRI sono state studiate con i metodi di analisi
dell’ampiezza delle fluttuazioni di bassa frequenza (ALFF) e del grado di centralità (DC).
Lo studio della connettività funzionale (FC) ha dimostrato in tutti i pazienti, con
o senza trattamento, un netto indebolimento
del flusso di attività fra l’emisfero cerebellare di sinistra e il giro
frontale mediale dello stesso lato. Una netta differenza è stata rilevata fra
pazienti in trattamento e volontari sani del gruppo di controllo: una FC
marcatamente più forte tra il
cervelletto di destra e due aree cerebrali: la circonvoluzione precentrale di
sinistra e il giro occipitale medio dell’emisfero destro. Le analisi di correlazione hanno mostrato
che i punteggi ALFF nel cervelletto di sinistra (lobulo VI) e di destra (lobulo
VI/Crul e dentato) erano correlati negativamente con quelli del Mini-Mental
State Examination (MMSE) in tutti gli affetti da malattia di Parkinson studiati
e particolarmente in quelli mai sottoposti a trattamento[4].
Questi risultati ci rendono conto di
un ruolo di notevole importanza del cervelletto nella neurodegenerazione
parkinsoniana, che principalmente consiste in un’azione di compensazione dei
deficit determinati dalla perdita dei neuroni dopaminergici della substantia nigra nelle fasi cliniche
iniziali[5]. Una tale azione vicariante, per quanto modesta ai fini del compenso
clinico, appare concettualmente stimolante, soprattutto nell’ottica degli
esercizi motori, inclusi quelli fondati sulla danza, che sono stati finora
sperimentati. Infine, si può osservare che, seguendo il criterio della
neurofisiologia classica che prevedeva un sistema extrapiramidale costituito da
circuiti cortico-basali e cerebellari come unità internamente regolata, tale
reazione compensativa poteva essere prevista.
Nell’età adulta l’atrofia
cerebellare può riservare sorprese, per esiti inimmaginabili secondo i
paradigmi classici della neurologia e della psichiatria, come in un caso
recentemente descritto in Polonia.
Il disturbo da accumulo [Hoarding disorder, DSM-5: 300.3 (F24)], detto anche disposofobia o sillogomania, è
descritto come il patologico accumulo nella propria abitazione, per inibizione
psicologica alla dismissione, di una quantità esorbitante di cose diverse,
prive di utilità pratica e spesso prive di valore venale o affettivo. Le
dimensioni dell’accumulo patologico sono tali da condizionare, limitare o
compromettere le funzioni elementari della vita quotidiana. La sindrome era in
passato assimilata al disturbo ossessivo-compulsivo, ma oggi si considera
un’entità nosografica indipendente, e il rilievo di accumuli, raccolte e
collezioni di oggetti comuni originate da esigenze e dinamiche connesse con
ossessioni e compulsioni è sufficiente per escludere la disprosofobia
nel processo di diagnosi differenziale. La base neurobiologica finora
riconosciuta è stata individuata in alterazioni funzionali del giro del cingolo, della corteccia frontale e dell’insula. Queste regioni sono connesse col
cervelletto attraverso i cosiddetti loop
limbico-corticali, ma finora l’esplicita formulazione di un’ipotesi di origine
del disturbo da accumulo in un
deficit di una funzione cerebellare non è a nostra conoscenza.
Sapota e Nasierowski
hanno scoperto un’atrofia della corteccia del cervelletto e del verme
cerebellare, mediante uno studio in risonanza magnetica che ha seguito una
prima indagine mediante tomografia computerizzata convenzionale, in un paziente
affetto da disturbo da accumulo. I
due psichiatri polacchi hanno accertato l’assenza di ogni altro disturbo
psicopatologico principale, dal quale la tendenza a ritenere e conservare
potrebbe derivare quale sintomo, e hanno poi escluso qualsiasi anomalia
rilevabile nell’organismo e nella fisiologia neurologica del paziente[6].
Concludendo, si spera che questo
breve aggiornamento sul cervelletto possa costituire un’utile integrazione alle
conoscenze di cui attualmente si dispone, e un incentivo alla riflessione e
allo studio necessari per delineare finalmente quei nuovi profili funzionali rimasti
sempre incerti, approssimativi e incompiuti.
L’autore della nota ringrazia il
professor Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, per la collaborazione nella stesura del testo, e invita alla lettura degli
articoli di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-01 giugno 2019
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BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Massimini M. & Tononi G.,
Sizing Up Consciousness – Towards an Objective Measure of the Capacity for
Experience, pp. 52-53, Oxford University
Press, New York 2018. Cfr. Yu F., et
al., A new case of complete primary cerebellar agenesis: clinical and
imaging findings in a living patient. Brain
138 (Pt 6): e353, 2015.
[2] Lemon R. N. & Edgley S.
A., Life without a cerebellum. Brain 133:
652-654, 2010.
[3]
Tam E. W. Y., et al. Neurologic Examination Findings
Associated With Small Cerebellar Volumes After Prematurity. Journal of Child Neurology – Epub ahead of print doi: 10.1177/0883073819847925, May 21,
2019.
[4] Xu S., et al., Cerebellar functional abnormalities in early stage
drug-naïve and medicated Parkinson’s disease. Journal of Neurology – Epub ahead of print doi:
10.1007/s00415-019-09294-0, 2019.
[5] Si ricorda che la sintomatologia diagnostica emerge quando è andato perduto più del 70% della dopamina normalmente rilasciata nelle sinapsi dello striato, che corrisponde alla perdita del 50% dei neuroni della parte compatta della substantia nigra mesencefalica.
[6] Sapota K. & Nasierowski
T., Hoarding disorder and cerebellum damage. A case study. Psychiatria Polska 53 (1): 161-166, 2019.