Effetto nocebo nella prestazione muscolare

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 06 aprile 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’inverso dell’effetto placebo, ossia l’elaborazione mentale di informazioni che può generare sintomi detta effetto nocebo, è un fenomeno ancora troppo spesso trascurato nella comunicazione medica e sociale, oltre che ancora poco noto anche a molti addetti ai lavori.

In molte città italiane, nelle stazioni di metropolitane e altri mezzi di trasporto pubblico ad elevata densità di utenti, si è sottoposti al bombardamento pubblicitario di centri di diagnosi e cura mediante video che rendono attuali sintomi e segni delle più disparate malattie, accanto ad altri, sia pur lodevoli nelle intenzioni preventive di sanità pubblica, in cui si istruisce il cittadino – ma si rischia di terrorizzarlo – informandolo sulle più gravi minacce per la vita, inducendolo a sorvegliarsi, monitorarsi e rivolgersi per ogni generico sospetto a medici specialisti, così trasferendogli anche responsabilità che erano del medico di famiglia. Nessuno sembra preoccuparsi del fatto che le persone che quotidianamente si spostano per andare in ufficio, a scuola, all’università e in altre sedi di lavoro o commissioni della vita quotidiana, sono spesso in ansia e, non di rado, soffrendo già di qualche disturbo da stress o vivendo condizioni familiari di malattia, sono particolarmente vulnerabili all’attualizzazione di ulteriori prospetti negativi.

La sensibilità a questo problema è stata senza dubbio accresciuta nella nostra società scientifica dal presidente, che ha avuto un’esperienza curricolare di impegno nello studio della comunicazione della diagnosi e delle possibilità diagnostiche al paziente in corso di accertamenti, e nella valutazione di tutte quelle informazioni ipocondriogene in persone predisposte o in condizioni psichiche tali da indurre allo sviluppo dei sintomi di una malattia temuta. Noi riteniamo che nella didattica di tutti i corsi di laurea delle facoltà di medicina e di psicologia si debba insegnare l’esistenza di questo effetto, così come di quello placebo, non come una curiosità o un fattore marginale magari da tenere in conto solo nella sperimentazione di farmacologia clinica, ma come un importante effetto evocativo, da considerare in vari aspetti della comunicazione professionale e dell’interazione sociale.

Giuseppe Perrella riferiva la presa di coscienza di pazienti psichiatrici circa le influenze negative dell’effetto nocebo, espressa dalla loro cautela nell’esporsi a fonti di informazioni negative e giustificata da espressioni quali: “Mi indebolisce”. Proprio l’effetto sulla forza muscolare delle informazioni negative è stato studiato da un team di anestesiologi tedeschi.

(Zech N., et al. Nocebo Effects on Muscular Performance – An Experimental Study About Clinical Situations. Frontiers in PharmacologyEpub ahead of print doi: 10.3389/fphar.2019.00219. eCollection, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Anesthesiology, University Hospital Regensburg, Regensburg (Germania); Department of Anesthesiology, Klinikum Nürberg, Nürberg (Germania); Department of Anesthesiology, Sana Clinics Cham, Cham (Germania).

Il 2 maggio del 2015 abbiamo pubblicato nelle “Notule” un’introduzione all’effetto nocebo che, a seguito di richieste di spiegazioni da parte di molti che ancora non ne conoscevano l’esistenza, abbiamo ripubblicato nelle “Notule” del 10 febbraio 2018. Lo riportiamo ancora, qui di seguito, perché ci sembra sintetizzi con efficacia i concetti principali.

L’effetto placebo è comunemente noto come un’azione positiva sulla salute o sullo stato funzionale di un organismo, attribuita ad un agente in realtà inerte, e dovuta a processi fisiologici intrinseci dell’organismo - come quelli di cui si occupa la psiconeuroimmunologia – i cui meccanismi molecolari includono l’attivazione dei recettori degli oppioidi. L’effetto placebo può anche costituire una parte dell’effetto di molecole farmacologicamente attive, ossia in grado di produrre “una o più variazioni misurabili in un organismo vivente”, e perciò definite correttamente “farmaci”. Un tempo si attribuiva questo effetto alla suggestione, intesa come uno stato psichico influenzato da un’informazione recepita coscientemente, ma poi si è scoperto che le cose sono più complesse. Sperimentalmente si induce l’effetto placebo con un finto farmaco, come una compressa di talco o di zucchero, per misurare di quanto l’effetto di una nuova molecola terapeutica superi quello evocato spontaneamente nell’organismo. Proprio gli studi sull’effetto placebo stanno gettando luce sul suo contrario: l’effetto nocebo. Con questa espressione si definiscono i processi fisiopatologici innescati dalle aspettative negative nell’organismo, a partire dal cervello.

Il problema è noto da tempo e, in Italia, è stato particolarmente studiato da Giuseppe Perrella, all’inizio degli anni Ottanta, nei pazienti a regime terapeutico cronico. Attualmente si dispone di conoscenze e strumenti per indagare in dettaglio le sue basi neurobiologiche. Alcuni sintomi indotti per effetto nocebo sono particolarmente studiati:

-          Dolore – temere di poter provare un dolore che confermerebbe una diagnosi infausta, o sapere che una determinata circostanza o un dato agente provocano sofferenza, causa un abbassamento della soglia di percezione del dolore;

-          Cefalea – sapere che una determinata condizione può provocarla, talvolta determina il suo insorgere anche in persone che non ne soffrono abitualmente;

-          Risposte allergiche – anche solo vedere in un video ciò a cui si è allergici, o venire in contatto con un allergene comune, ma non tale per il soggetto, può generare reazioni cutanee, starnuti, secrezione nasale e asma;

-          Prurito – il prurito può essere innescato anche dal semplice vedere persone grattarsi ripetutamente o sentire nominare acari, pidocchi, scabbia, tigna, orticaria, sostanze urticanti, polveri pruriginose, eccetera;

-          Disfunzione erettile e frigidità – questi disturbi si sono manifestati in persone che non ne avevano mai sofferto, dopo averne sentito parlare o aver creduto di essere a rischio di svilupparli.

L’effetto nocebo ci ricorda l’importanza di evitare e/o contrastare l’azione negativa di informazioni recepite in particolari stati psichici, perché tale azione può generare veri effetti fisiologici in tutti noi, e non solo, come si credeva un tempo, “malattie immaginarie” nella mente di persone deboli, depresse e tendenti all’ipocondria”[1].

L’effetto nocebo, che tecnicamente si esamina negli studi di farmacologia e nella ricerca placebo/nocebo, si verifica anche in numerose condizioni cliniche e, come si notava più sopra, può prodursi in varie circostanze sociali, pur rimanendo non rilevato. Per questa ragione, è necessario uno studio più approfondito della sua influenza psicosomatica e, dunque, ben si comprende come la misurazione in termini di prestazione muscolare effettuata da Zech e colleghi possa attrarre l’attenzione di ricercatori, medici e psicologi.

Lo studio tedesco ha impiegato, quali strumenti per la comunicazione di contenuti negativi, frasi comuni, segnali non verbali e situazioni nel contesto medico in rapporto con la prestazione muscolare.

I 46 volontari partecipanti alla sperimentazione sono stati sottoposti alla dinamometria del gruppo del muscolo deltoide per valutare la forza muscolare massimale durante l’abduzione dell’arto superiore. I valori di base registrati sono stati confrontati con quelli delle prestazioni dopo l’esposizione a 18 informazioni verbali e non-verbali. Le informazioni considerate negative sono state alternate e confrontate ad altre formulate con intento positivo.

La comunicazione verbale e non-verbale ha prodotto effetti significativi sulla prestazione muscolare, causando prevalentemente un indebolimento.

La riduzione della forza muscolare dopo l’informazione del rischio relativa al consenso informato è risultata assente (91.4 % del livello di base), quando si menzionavano anche i benefici del trattamento. L’effetto di indebolimento nel chiedere di “dolore” o “nausea” (89.4%), e l’annunciare interventi medici (91.7%), poteva essere evitato con una formulazione verbale alternativa. La compromissione della prestazione muscolare è stata osservata anche con memorie negative inducenti nocebo (89.5%) o con il prospettare un futuro incerto (93.3%), in contrasto con una memoria positiva o con l’orientamento nel presente.

Suggerimenti non verbali, quali l’induzione di un’anestesia generale (89.9%), un trasporto in posizione supina (89.1%), o la visione di un parcheggio da una finestra (94.1%), riducevano in maniera significativa la forza muscolare massimale, rispetto all’induzione di un’anestesia locale, alla posizione semi-seduta sulla barella e a una vista panoramica. 8 delle 9 situazioni cliniche sottoposte a verifica riducevano significativamente la forza muscolare delle braccia, rispetto alle situazioni di controllo.

In conclusione, si può affermare che questo studio descrive un sistema semplice e rapido di valutazione basata sulla misura oggettiva della forza muscolare massimale, per ottenere identificazione, quantificazione e confronto di informazioni negative, indipendentemente dal loro contenuto e dallo specifico effetto. La forza muscolare è un parametro clinicamente rilevante rispetto alla precoce mobilizzazione, al rischio di caduta e a una respirazione sufficiente. Inoltre, la compromissione osservata della prestazione muscolare potrebbe riflettere un generale “effetto di indebolimento” causato dagli “evocatori negativi”. Gli autori dello studio sottolineano che il test facilita lo sviluppo e la verifica di alternative appropriate per evitare di causare effetto nocebo nei pazienti. Noi aggiungiamo che lo sviluppo di simili alternative dovrebbe essere studiato per tutte le branche della medicina e per alcuni tipi di comunicazione sociale.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-06 aprile 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 10-02-18 Notule tratto da Note e Notizie 02-05-15 Notule – Non tutti conoscono l’effetto “nocebo”.