La coscienza umana è supportata da dinamiche funzionali complesse

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 23 febbraio 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Allo stato attuale delle conoscenze, la distanza esistente fra le teorie neurobiologiche della coscienza e i correlati neurofunzionali di attività cerebrali consapevoli è ancora enorme. In passato, le costruzioni interpretative della possibile base neurale dei processi coscienti si fondavano su intuizioni sviluppate a partire da nozioni generiche della neurofisiologia classica, che attribuivano alla parte filogeneticamente più recente della corteccia cerebrale un ruolo fondamentale nei processi psichici e riconoscevano alla grande connessione reciproca talamo-corticale un ruolo negli stati di attenzione legati alla veglia, con la centralità del sistema reticolare attivatore che origina nel tronco encefalico.

Un caso a parte è stato rappresentato dalla teoria della coscienza di Gerald Edelman che, basandosi sui principi della sua teoria della selezione dei gruppi neuronici (TSGN), ha sviluppato delle interpretazioni illuminanti circa il modo in cui, da una coscienza primaria condivisa con gli animali (il cosiddetto “presente ricordato”), possa essersi sviluppata nel corso dell’evoluzione, grazie al linguaggio, una coscienza di ordine superiore, quale la nostra, che include la consapevolezza di essere coscienti. Tale teoria concepisce il cervello come un “sistema complesso”[1]  in grado di “selezionare sé stesso”, nel quale, sistemi locali connessi reciprocamente mediante il dispositivo del rientro, sono in grado di generare una continuità che determina la virtuale sincronia dei sistemi globali alla base della coscienza.

La concezione di Edelman è il portato di tutta la sua interpretazione evoluzionistica dello sviluppo e della funzione del cervello umano ed è suffragata da una mole considerevole di prove sperimentali; tuttavia, anche questa visione rimane distante da quei correlati e contrassegni della coscienza che emergono dagli studi in vivo sul cervello umano, dalle primissime fasi della vita post-natale all’età avanzata. Pertanto, negli anni recenti si è proceduto spesso con metodo deduttivo, prendendo le mosse dai dati emersi dagli studi condotti con le metodiche più avanzate e le tecniche specificamente elaborate per ottenere dati di misura nuovi, più specifici e significativi.

Un filone di ricerca che adotta le dinamiche cerebrali come pietra angolare degli studi sulla base neurofunzionale della coscienza umana sta esplorando la possibilità di individuare nuovi e affidabili segni oggettivi e distintivi dello stato cosciente e dello stato di mancanza di coscienza. In questo ambito, un nuovo studio, al quale ha partecipato Stanislav Dehaene, ha ottenuto risultati degni di nota.

(Demertzi A. et al., Human consciousness is supported by dynamic complex patterns of brain signal coordination. Science Advances 5 (2): eaat7603 - Epub ahead of print doi: 10.1126/sciadv.aat7603, 2019).

Dei 18 istituti di provenienza riportati si elencano i seguenti: GIGA-Consciousness, GIGA Institute B34, University of Liege, Sart Tilman (Belgio); INSERM, U 1127, F-75013 Paris (Francia); Institute of Brain and Spinal Cord, Hospital Pitié-Salpetrière, Paris (Francia); Physics Institute of Buenos Aires, University of Buenos Aires, Buenos Aires (Argentina); Department of Neurology, Columbia University, New York, NY (USA); Centre for Human Brain Health, University of Birmingham, Birmingham (Regno Unito); The Brain and Mind Institute, University of Western Ontario, London, Ontario (Canada).

Prima di esporre in sintesi i risultati dello studio qui recensito, si ricordano i due maggiori riferimenti teorici in materia di modelli neurofunzionali della coscienza. Il primo si basa sulla Teoria dell’Informazione Integrata, o Integrated Information Theory (IIT), mentre il secondo è sviluppato secondo la rappresentazione di uno Spazio di Lavoro Globale, o Global Workspace Model (GWM). Qui di seguito si riporta una sintetica caratterizzazione da un nostro articolo precedente:

2.1. Integrated Information Theory (IIT). In breve, la IIT impiega un’espressione matematica per rappresentare l’esperienza cosciente e deriva previsioni circa quali circuiti cerebrali siano essenziali per produrre questa esperienza. Fra i maggiori sostenitori della IIT vi è Giulio Tononi, psichiatra e neuroscienziato che conosciamo ed apprezziamo da tempo, da quando era alla Scuola Normale Superiore di Pisa, prima dei suoi studi alla Wisconsin-Madison sulla genetica del sonno e sui modelli artificiali delle connessioni talamo-corticali. Tononi, che è stato a lungo collaboratore di Gerald Edelman, ha lavorato a questa teoria con il già menzionato Christof Koch dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle.

2.2. Global Workspace Model (GWM). Il modello funzionale GWM della coscienza si sviluppa in direzione opposta, perché il suo punto di partenza è costituito da esperimenti comportamentali che manipolano l’esperienza cosciente di persone volontarie, in una condizione di prova rigorosamente definita e minuziosamente controllata, durante la quale si cerca di identificare le aree dell’encefalo attive.

La prima formulazione di un modello funzionale della coscienza basato su uno “spazio di lavoro globale” si deve a Bernard Baars, uno scienziato cognitivo del prestigioso Neurosciences Institute di La Jolla in California, il quale ha concepito la sua idea prendendo spunto da un’esperienza sviluppata in seno all’Intelligenza Artificiale (IA). In sintesi, in un progetto di IA, un insieme di programmi specializzati poteva accedere ad un deposito comune di informazioni detto “lavagna” (blackboard): Baars ha ipotizzato che la “messa in onda dei dati della lavagna” attraverso un sistema di computazione, sia cibernetico sia biologico, che metta a disposizione di sistemi specializzati e integrati il contenuto informativo, costituisca il nucleo funzionale della dimensione consapevole dell’agire psichico. In altri termini, la coscienza consisterebbe nella condivisione estesa a tutto il cervello dell’informazione che è nel buffer di memoria della “lavagna”.

Un tale buffer neurale, che possiamo immaginare come una memoria a breve termine attiva o come una working memory globale, secondo il GWM non si limita ad elaborare gli stimoli sensoriali in entrata, ossia l’input percettivo recente, ma costituisce un sistema in grado di richiamare memorie, anche risalenti ad un passato remoto, riportandole nell’attualità funzionale. Una volta che l’informazione è stata “caricata” in questo spazio di lavoro, uno spettro di potenti processi cognitivi ne può fare uso. Ad esempio, oltre a generare azioni finalizzate, può essere inviata ad un set di circuiti specializzati per l’elaborazione del linguaggio verbale, consentendone l’uso per la comunicazione, o trasmessa ai sistemi neuronici dedicati alla pianificazione, perché la impieghino in un ragionamento in proiezione futura o, infine, immagazzinata nella memoria a lungo termine”[2].

Il modello del GWM rappresenta il riferimento teorico seguito da Stanislav Dehaene – l’autore di maggior rilievo dello studio qui recensito – che lo ha esposto in dettaglio nel suo volume Consciousness and the Brain[3]. Si ricorda che lo studio recente più interessante in questo campo, che sembra essere giunto ad un metodo abbastanza affidabile per rilevare la presenza di attività cosciente nel cervello di persone in stato vegetativo persistente o unresponsive wakefulness syndrome (UWS), si rifà alla IIT di Tononi e Koch:

“Un metodo per rilevare la presenza della coscienza nel coma, che rispetta i requisiti postulati dalla IIT (Integrated Information Theory), è stato sviluppato nei primi anni del 2000 da Marcello Massimini, ora all’Università di Milano, distinguendo in sei volontari sani lo stato di riposo ad occhi chiusi da quello di sonno profondo con l’invio di impulsi di stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l’analisi dell’EEG mediante un algoritmo di compressione dei dati simile a quello che si impiega per ridurre le dimensioni di un file voluminoso da memorizzare sul computer[4].

La procedura ha preso il nome di zap and zip perché l’impulso inviato mediante TMS, che genera una cascata di eventi elettrici nel cervello paragonata al risuonare di una campana al colpo del batacchio, può considerarsi come una scossa (zap) e l’algoritmo di compressione dei dati è stato preso a prestito da quello comunemente presente sui computer (zip). In tal modo la risposta elettroencefalografica al quesito relativo alla coscienza può essere condensata in un solo numero: l’indice di complessità perturbativa (PCI, da perturbational complexity index).

Il PCI è stato definito, in termini di misura, come un parametro che ha un’estensione da 0 a 1. Se il cervello non reagisce alla stimolazione magnetica, perché l’attività della corteccia è soppressa o ridotta al minimo, il valore del PCI sarà prossimo allo zero; se, al contrario, una piena attività cerebrale esprime tutta la complessità della fisiologia encefalica, il valore del PCI sarà uno.

Negli anni seguenti, Marcello Massimini con Giulio Tononi, psichiatra e neuroscienziato ex-allievo di Gerald Edelman, e altri diciassette colleghi, fra neurologi e neuroscienziati, hanno verificato il valore della procedura zap and zip in un notevole numero di pazienti e volontari sani: i risultati sono esposti in un articolo pubblicato nel novembre del 2016[5][6].

Ma torniamo allo studio qui recensito. Demertzi, Dehaene e colleghi hanno verificato se, dopo danno cerebrale, la coordinazione dinamica del segnale fornisca pattern specifici e generalizzabili attinenti a stati mentali coscienti e non coscienti. È stato identificato un pattern dinamico di segnali coordinati e anti-coordinati di risonanza magnetica funzionale, che caratterizzava i volontari sani e i pazienti in stato minimamente cosciente.

Il cervello dei pazienti non responsivi presentava primariamente un pattern di bassa coerenza di fase tra le aree, principalmente mediata da connettività strutturale, e minori possibilità di transizione tra i pattern. Il pattern complesso è stato ulteriormente confermato nei pazienti con covert cognition, che potevano eseguire compiti con immagini mentali per l’esame mediante risonanza magnetica, validando l’implicazione di questo pattern nella coscienza. L’anestesia accresceva la probabilità del pattern meno complesso ad uguali livelli, validando la sua implicazione nei processi non coscienti.

In conclusione, si possono condividere le affermazioni degli autori, secondo i quali i risultati di questo studio suggeriscono che la coscienza si basi sulla capacità del “sistema encefalo” di sostenere ricche dinamiche cerebrali, e che tali esiti spianano la strada alla determinazione di impronte digitali (fingerprint) specifiche e generalizzabili degli stati coscienti e degli stati privi di coscienza.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-23 febbraio 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Complesso è un sistema in cui le singole parti obbediscono a regole diverse da quelle che governano l’insieme.

[2] Note e Notizie 13-09-14 La coscienza e un interessante nuovo libro di Dehaene.

[3] Stanislas Dehaene, Consciousness and the Brain: Deciphering How the Brain Codes Our Thoughts. Viking Adult, 2014.

[4] Marcello Massimini et al. Breakdown of Cortical Effective Connectivity during Sleep. Science 309: 2228-2232, 2005.

[5] Silvia Casarotto et al. Stratification of Unresponsive Patients by an Independently Validated Index of Brain Complexity, Annals of Neurology 80 (5): 718-729, 2016.

[6] Note e Notizie 13-01-18 Nuova misura per rilevare la coscienza nel cervello. Si raccomanda la lettura di questo testo, in quanto espone le modalità del metodo (zap and zip) che si è rivelato efficace nel rilevare la coscienza e riporta il contributo di Christof Koch.