Shank3 rivela una probabile base di sintomi autistici

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 05 maggio 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I disturbi dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorder) sono attualmente diagnosticati con una certa frequenza in neuropsichiatria infantile, coerentemente con la stima epidemiologica dell’1% della popolazione generale[1], costituendo un problema anche quantitativamente rilevante. L’alta ereditabilità sembra associata ad una genetica complessa che può tradursi in differenti alterazioni fisiopatologiche che condividono il fenotipo autistico. Infatti: “Disturbi pervasivi dello sviluppo che si accompagnano ai sintomi dell’autismo sono stati descritti in associazione ad alterazioni neuroevolutive dell’encefalo e a malformazioni neurologiche e vascolari[2]. Per inquadrare uno studio che ha individuato un rapporto fra mutazioni geniche e disfunzione dei circuiti neuronici di corteccia e striato, si propone qui di seguito quanto osservato sul cambiamento epocale in questo campo nella recensione già citata di circa tre anni fa:

“… se si pensa che solo una decina di anni fa eravamo costretti a combattere contro il perdurare dell’insegnamento universitario di congetture psicologiche, autopromosse a teorie, sull’origine dell’autismo da improbabili reazioni mentali del bambino a comportamenti inadeguati dei genitori.

L’opinione espressa in una recente rassegna sulla rivista Science da Mustafa Sahin e Mriganka Sur, circa il programma e le prospettive future nel campo dei disturbi dello spettro dell’autismo, riflette a pieno le convinzioni di chi scrive e l’orientamento culturale della nostra scuola neuroscientifica; pertanto, si recensisce questo articolo con lo spirito di chi spera di contribuire, sia pure in una minima parte, alla diffusione di idee e nozioni che possano sostenere un significativo salto di qualità nell’approccio a queste tematiche.

È ancora recente l’epoca in cui si indagava in questo campo in completa separazione: i genetisti cercavano i geni responsabili del quadro clinico senza altre informazioni neurobiologiche e mediche; neuropatologi, neuropediatri e neuropsichiatri infantili cercavano di mettere in relazione alterazioni morfo-funzionali del cervello con sintomi clinici e alterazioni del piano neuroevolutivo; e, infine, psicologi e psicopedagogisti approcciavano questa realtà prendendo le mosse da teorie psicologiche ed esperienze dirette di interazione con i bambini affetti.

Questa tendenza, che in passato faceva registrare solo rare eccezioni, nell’ultimo decennio si è andata invertendo, così che la formazione su libri di testo che trattano dalla neurochimica al comportamento, passando per gli studi di neuroimaging, la convegnistica comune fra studiosi dell’autismo di branche diverse, gli studi interdisciplinari e i frequenti scambi fra ricercatori e clinici, hanno ampliato la base comune di conoscenze e migliorato la concezione a fondamento delle ipotesi di lavoro e del significato dei risultati della ricerca.

Non è stato scoperto, come molti auspicavano, un particolare genotipo o una singola noxa evolutiva all’origine della maggioranza dei casi, si è invece compreso che l’espressione sintomatologica dello spettro dell’autismo è l’esito di processi e percorsi di alterazione evolutiva diversi, che impegneranno ancora a lungo la ricerca per una completa identificazione, e soprattutto richiederanno approcci metodologici nuovi[3].

In nuovi studi è emerso il rapporto fra mutazioni ad alto rischio di autismo e un fenotipo cerebrale morfo-funzionale associato a manifestazioni comportamentali del disturbo.

Bey e colleghi, di un nutrito team della Duke University coordinato da Jiang, avevano in precedenza riferito di una nuova linea di topi Shank3 mutanti che presentavano una completa perdita di Shank3 mediante la delezione globale degli esoni 4-22 (Δe4-22). I topi Δe4-22 mostrano un marcato fenotipo comportamentale che ricorda i sintomi dei disturbi dello spettro dell’autismo: compromissione della capacità di interazione sociale e comunicazione, evidenza di condotte stereotipate, grooming eccessivo e un profondo deficit nelle abilità di apprendimento strumentale. Comunque la base anatomica, e in particolare i circuiti neuronici che con le loro alterazioni sono responsabili di questi tratti sintomatici, rimangono ancora indefiniti.

Con una nuova serie di esperimenti, basati sulla delezione selettiva di Shank3 in specifiche regioni cerebrali, Bey e colleghi hanno scoperto schemi di cambiamento specifici di parametri biochimici ed elettrofisiologici nelle singole aree studiate, secondo la complessa natura della regolazione trascrizionale di Shank3. Inoltre, hanno evidenziato una dissociazione fra circuiti corticali e striatali nei comportamenti associati all’autismo.

(Bey A. L. & Brain region-specific disruption of Shank3 in mice reveals a dissociation for cortical and striatal circuits in autism-related behaviors. Translational Psychiatry  8 (1): 94 - Epub ahead of print - doi: 10.1038/s41398-018-0142-6, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurobiology, Duke Institute for Brain Sciences, Psychology and Neuroscience, Psychiatry and Behavioral Science, Genomics and Genetics Graduate Program, Duke University, Durham, NC (USA).

Le basi biologiche delle sindromi ASD che, in qualità di disturbi pervasivi dello sviluppo sono associate a quadri patologici quali il disturbo di Asperger, la sindrome di Rett, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, l’autismo atipico e disturbi pervasivi generici, non sono ancora determinate con precisione, sia perché si ritiene che all’esito comportamentale dei tratti autistici si possa giungere da percorsi molecolari diversi, sia perché i dati genetici e neurochimici raccolti ancora non consentono di ricostruire precisi profili eziopatogenetici.

Sebbene la mole degli studi neurochimici sia veramente impressionante, solo una parte esigua dei risultati ottenuti è stata replicata e confermata. È il caso delle indagini su campioni necroscopici - in gran parte dovute all’impegno di Margaret Bauman e colleghi dell’Autism Tissue Project - che hanno fornito una quantità e una varietà di rilievi, con pochi riscontri o in attesa di replica, quali: alterazione del legame nei recettori corticali GABA-A, anomalie associate al glutammato, ridotta produzione di reelina nel cervelletto, basso numero di recettori nicotinici in regioni corticali e diminuzione del legame della serotonina ai recettori 5-HT2 nella corteccia, fra i più documentati.

Numerosi studi sono stati condotti sul sistema della serotonina, inizialmente focalizzati sul rilevato eccesso dell’indolalchilammina nelle piastrine e sul recettore 5-HT2. L’indagine sul sistema della dopamina ha sorpreso, mostrando in molti studi indici e parametri del tutto normali. I sistemi dello stress hanno rivelato una significativa iper-reattività nell’autismo, pur presentando una fisiologia basale nella norma. Infine, la ridotta produzione di melatonina da parte della ghiandola pineale, responsabile della maggiore quota dell’ormone sintetizzata durante la notte, sembra associata ad una più bassa produzione anche da parte della parete intestinale durante il giorno, configurando una potenziale alterazione che ha diretto l’attenzione di molti ricercatori sui ritmi circadiani negli affetti da ASD.

Da un punto di vista clinico: “I disturbi dello spettro del’autismo (ASD) sono clinicamente definiti sulla base di manifestazioni sintomatologiche riportabili a tre aree indipendenti di alterazione: 1) difetto di interazione sociale e comunicativa; 2) interessi ristretti e preoccupazioni idiosincrasiche; 3) comportamenti ripetitivi e stereotipie di moto[4].

Come si è osservato molte altre volte in passato, l’attuale concetto clinico di autismo deve considerarsi corrispondente ad una condizione eterogenea in termini comportamentali, neurobiologici e genetici, con una tendenza in questo campo verso una concezione più dimensionale e meno categoriale. La genetica appare complessa, perché gli studi evidenziano la presenza di una determinazione quasi certa, ma non espressa secondo criteri mendeliani e dovuta ad una molteplicità di fattori genetici che concorrono a determinare il fenotipo. Si ritiene che i singoli alleli siano responsabili ciascuno per una piccola quota, concorrendo nel loro insieme a configurare un’origine eterogenea e poligenica. Sebbene i ruoli di epistasi (interazioni gene-gene) ed emergenesi (interazioni emergenti fra componenti) non siano chiari, la loro partecipazione è stata dimostrata e dedotta in molti lavori. È anche opportuno ricordare che i rapporti genetici del disturbo autistico propriamente detto con la sindrome di Asperger e la sindrome dell’X-fragile, dovuta ad una mutazione nella regione 5’ non codificante del gene FMR1 che causa un’espansione della tripletta CGG oltre le 200 copie, sono oggetto di intense indagini che stanno fornendo dati e nozioni di sicuro interesse. Anche se l’esatta identità di molti dei geni associati alle sindromi non è stata ancora scoperta, i geni finora identificati con certezza codificano proteine che svolgono ruoli in alcune importanti vie biochimiche conservate nella filogenesi, quali sintesi delle proteine, regolazione trascrizionale/epigenetica e segnalazione sinaptica[5].

Seguendo Mustafa Sahin e Mriganka Sur, notiamo che la ricerca genetica nel campo dei disturbi neuroevolutivi che includono le sindromi autistiche propone varie centinaia di geni quali fattori di rischio[6]; tale realtà riflette una molteplicità di cause ed una eterogeneità patologica, che costituiscono al contempo una sfida ed un’opportunità per la ricerca. Infatti, con ogni probabilità, la soluzione degli enigmi legati al rapporto fra alleli mutati e processi alterati, consentirà un salto qualitativo di vasta portata nella comprensione delle basi neuropatologiche di molti disturbi neuropsichici.

Torniamo ora allo studio di Bey, Jiang e colleghi della Duke University sulle conseguenze anatomiche e neurofunzionali delle mutazioni in Shank3.

I ricercatori hanno generato topi con la delezione selettiva di shank3 nel proencefalo, nello striato e nelle cellule striatali D1 e D2. Tali roditori sono stati impiegati per cercare di scoprire il ruolo specifico per regione cerebrale, circuito e tipo cellulare di Shank3 nell’espressione di tratti e comportamenti murini equivalenti a quelli rilevati nelle sindromi ASD umane.

Per studiare la funzione sinaptica e i cambiamenti molecolari nelle regioni cerebrali interessate dalla delezione selettiva del gene, sono stati impiegati metodi di rilevazione elettrofunzionale neuronica selettiva (whole-cell patch recording) ed analisi biochimiche. Intanto, da un punto di vista comportamentale, i ricercatori hanno riscontrato condotte esplorative reiterate nei topi con delezione di Shank3 nei neuroni inibitori dello striato. Per converso, i topi con delezione dello stesso gene nei neuroni eccitatori del proencefalo praticavano un grooming - ossia schemi di azione di ripulitura del corpo con le zampe - così eccessivo da procurarsi lesioni cutanee ben evidenti. Elemento di notevole rilievo è che in questi topi erano sostanzialmente intatti i comportamenti che rivelano l’apprendimento sociale, comunicativo e strumentale, a differenza di quanto accadeva per i topi Δe4-22, cioè con la delezione totale degli esoni 4-22.

Bey e colleghi hanno scoperto, per i rilievi biochimici ed elettrofisiologici nelle regioni cerebrali indagate, dei pattern di cambiamento altamente specifici, che riflettono la complessa natura della regolazione trascrizionale di Shank3. Riduzioni in Homer1b/c ed iper-eccitabilità di membrana sono state osservate nella perdita striatale di Shank3. Per confronto, la delezione di Shank3 nei neuroni dell’ippocampo causava un aumento delle correnti NMDAR (recettori del glutammato N-metil-D-aspartato), e un accresciuto numero di tali recettori contenenti la subunità GluN2B.

Nell’insieme, i risultati emersi dallo studio, per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale dell’articolo originale, suggeriscono che Shank3 possa regolare in maniera differenziata circuiti neuronici che controllano il comportamento, e supportano l’esistenza di una dissociazione, nei comportamenti associati a ASD, tra le funzioni di Shank3 nei neuroni della corteccia cerebrale e le funzioni dello stesso gene nei neuroni dello striato, evidenziando la complessità dei meccanismi dei circuiti neurali sottostanti questi comportamenti.

Si può dire, a tre anni di distanza dalla rassegna da noi recensita che faceva il punto delle conoscenze sulle basi neurobiologiche dei disturbi dello spettro dell’autismo, che la nuova generazione di ricerche auspicata dagli autori e “indirizzata ai circuiti neuronici sottostanti i sintomi comportamentali e le comorbidità, ai tipi cellulari che ricoprono ruoli critici in questi circuiti e alle vie di segnalazione intercellulare comuni che collegano i differenti geni” ha avuto inizio.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-05 maggio 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Lord C., et al., Epidemiology: How common is autism? Nature 474 (7350): 166-168, 2011.

[2] Note e Notizie 07-11-15 Neuroscienza e terapia di autismo e disturbi correlati.

[3] Note e Notizie 07-11-15 Neuroscienza e terapia di autismo e disturbi correlati.

[4] Note e Notizie 07-11-15 Neuroscienza e terapia di autismo e disturbi correlati. Anche se i criteri clinici variano, in dipendenza del fatto che si accetti il DSM o si segua la nosografia tradizionale, l’approccio sperimentale include in questo ambito il disturbo autistico, le forme atipiche di autismo, il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Asperger, la sindrome di Rett e le forme autistiche della sindrome dell’X-fragile.

[5] Cfr. il già citato articolo del 5 novembre 2015.

[6] Cfr. Sahin M., et al., Genes, circuits, and precision therapies for autism and related neurodevelopmental disorders. Science – Epub ahead of print doi: 10.1126/science.aab3897, 2015.