Identificato il meccanismo che protegge il cervello alla nascita

 

 

DIANE RICHMOND & ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 09 dicembre 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il momento della nascita, nell’uomo come negli altri mammiferi, implica la transizione dalla condizione in cui l’ossigeno necessario alla fisiologia e indispensabile per la vita arriva dal sangue della madre attraverso la placenta, alla respirazione polmonare che porta nel sangue alveolare l’O2 dell’aria. Tale passaggio comporta un obbligatorio, seppure brevissimo, periodo di asfissia, che può diventare estremamente pericoloso se protratto a causa delle complicanze che intervengono in un parto distocico. Un insieme di meccanismi omeostatici dell’organismo, in condizioni fisiologiche, evita che si possa determinare una vera e propria deprivazione di O2, che per un encefalo ancora fetale costituirebbe una fonte di danno di gravità crescente al passare dei secondi.

Si attivano, infatti, meccanismi ormonali e cardiovascolari specifici della transizione neonatale e in grado di accrescere la perfusione cerebrale con il conseguente aumento della quota di O2 emoglobinico veicolata nell’unità di tempo al parenchima gliale e nervoso dell’encefalo. La conoscenza di tali meccanismi è progredita nel tempo; tuttavia non è noto se la segnalazione ormonale includa vie centrali cerebrali che intervengano in un diretto processo di autoprotezione del cervello perinatale.

Albert Spoljaric e colleghi hanno sviluppato un progetto di ricerca per rispondere a questo interrogativo, ed hanno realizzato uno studio nel quale si dimostra l’esistenza nel cervello fetale di un meccanismo intrinseco mediante il quale la vasopressina determina un’attivazione di interneuroni dell’ippocampo, che portano alla desincronizzazione e alla soppressione dell’attività di rete di sistemi neuronici in specie animali, quali il ratto e la cavia, che prevedono la nascita in due stadi di maturazione cerebrale molto differenti.

(Spoljaric A., et al., Vasopressin excites interneurons to suppress hippocampal network activity across a broad span of brain maturity at birth. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1717337114, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Biosciences, Neuroscience Center, University of Helsinki, Helsinki (Finlandia); CNC Program, Department of Bioengineering, Stanford University, Stanford, California (USA); Department of Bioengineering, Department of Psychiatry, Howard Hughes Medical Institute, Stanford University, Stanford, California (USA).

[Reviewed by Colin Brown and Enrico Cherubini].

 Lo studio dell’adattamento del cervello del feto e del neonato alla mancanza di O2 ha una lunga storia, che risale alle prime dimostrazioni della resistenza dei tessuti fetali e neonatali all’anossia grazie alla produzione di energia mediante metabolismo anaerobio, sulla base degli esperimenti di Meyerhof del 1930. Si comprese che la possibilità di rimuovere idrogeno ed elettroni da un substrato e trasferirli ad accettori diversi dall’ossigeno con produzione di energia consentiva l’utilizzo del glucosio dal glicogeno di riserva. Himwich e colleghi negli anni Cinquanta dimostrarono l’importanza di questo processo nella resistenza del neonato all’ipossia: l’inibizione della citocromossidasi mediante iniezione di cianuro non intaccava questa proprietà, mentre l’iniezione di inibitori di enzimi del ciclo glicolitico, quali l’acido iodacetico e il fluoruro, riduceva fortemente la capacità di resistere all’ipossia.

Il procedere degli studi ha fornito nuovi dati e nozioni, per i quali si rimanda alle trattazioni dei manuali specialistici, ma ha anche evidenziato la particolarità dell’evento anossico legato alla transizione dalla dipendenza dall’organo placentare all’impiego autonomo della respirazione per ottenere l’ossigeno necessario al metabolismo cellulare.

Nei mammiferi, durante la nascita, si assiste a una massiccia immissione in circolo di ormoni periferici dello stress che accompagnano le variazioni biologiche necessarie alla sopravvivenza durante la transizione dall’ambiente intrauterino, con la fisiologia placentare, all’ambiente extrauterino e agli automatismi tronco-encefalici e spinali che governano il meccanismo respiratorio. La presenza di una segnalazione intracerebrale in grado di mutare un assetto funzionale del cervello al momento di questa transizione, non era stata dimostrata fino allo studio di Albert Spoljaric e colleghi, che ha consentito di individuare uno specifico meccanismo protettivo basato su una via attivata dal neurotrasmettitore peptidico ed ormone arginina-vasopressina.

Prima di indicare il meccanismo, è opportuno riprendere qualche nozione di base sulla molecola protagonista di questo processo. La vasopressina è un nonapeptide che differisce dall’ossitocina, con la quale condivide la probabile origine da una duplicazione genica verificatasi nel corso dell’evoluzione, per due soli aminoacidi. Agisce a distanza come ormone, determinando la contrazione dei vasi e la ritenzione idrica renale, ed è un trasmettitore sinaptico nel sistema nervoso centrale. La vasopressina è con ogni probabilità il primo neuropeptide ad essere stato identificato. La fonte principale di questa molecola nell’organismo è costituita dai neuroni magnocellulari dell’ipotalamo che inviano assoni alla neuroipofisi[1]. Nel brano che segue, si caratterizza la funzione di neurotrasmettitore di molecole peptidiche come la vasopressina.

Le differenze fra neuropeptidi e neurotrasmettitori classici sono numerose, a cominciare dalle basse concentrazioni dei primi rispetto ai secondi e proseguendo con la differenza nella biosintesi e nei processi necessari al rilascio.

I neuropeptidi, infatti, derivano da precursori inattivi più grandi, di almeno 90 aminoacidi di lunghezza, biosintetizzati nel soma cellulare e poi scissi e modificati per dare luogo alle molecole attive nel percorso lungo l’assone, al termine del quale sono accumulate in vescicole di grandi dimensioni, spesso ovalari, dal “core” denso e destinate all’eliminazione dopo l’uso. Al contrario, i neurotrasmettitori classici sono prodotti per sintesi locale presso i terminali sinaptici ed accumulati in piccole vescicole rotondeggianti che sono spesso svuotate per esocitosi e nuovamente riempite per un evento sinaptico successivo. Anche il rilascio presenta qualche evidente differenza: i mediatori classici sono rilasciati quando la concentrazione di ioni Ca2+ del citosol raggiunge temporaneamente alti livelli (50-100 μmol/l), mentre per i peptidi sono sufficienti livelli più bassi; inoltre, il rilascio nel primo caso si verifica in prossimità dei siti di accesso del calcio, mentre nel secondo avviene ad una certa distanza e, perciò, richiede una stimolazione di maggiore intensità.

I neuropeptidi sono spesso co-localizzati con neurotrasmettitori convenzionali, rispetto ai quali presentano un regime sinaptico più lento e a più basso grado di intensità, tanto da essere stati a lungo etichettati “neuromodulatori”[2]. I recettori dei neuropeptidi[3] sono stati estesamente studiati e sono attualmente bersagli dell’azione di molti farmaci[4].

Il gruppo di ricerca di Albert Spoljaric e colleghi ha accertato che l’ormone peptidico arginina-vasopressina, durante la fase perinatale, attiva specificamente degli interneuroni per sopprimere l’attività sincronica spontanea di reti neuroniche nell’ippocampo. Infatti, la segnalazione del peptide desincronizza le cellule nervose delle reti sulle quali agisce l’inibizione interneuronica, abbassando notevolmente l’attività elettrica e il metabolismo di queste cellule eccitatorie.

Gli esperimenti condotti su ratti e porcellini d’India neonati, specie fra loro molto diverse nella cronologia di sviluppo maturativo del cervello rispetto alla nascita, hanno dimostrato che l’effetto della vasopressina non dipende dal grado di maturazione che condiziona l’azione dei recettori post-sinaptici GABAA, ossia l’evoluzione che porta alla commutazione da depolarizzanti ad iperpolarizzanti. Il silenziamento dell’attività sincrona di un grandissimo numero di neuroni da parte dell’arginin-vasopressina è in grado di ridurre la richiesta energetica in modo considerevole da parte dei neuroni e può svolgere una cruciale azione preventiva nei confronti della plasticità sinaptica maladattativa che interviene nel danno ipossico.

Dunque, questa regolazione molecolare intrinseca del cervello rappresenta un meccanismo conservato nel corso dell’evoluzione dei mammiferi, e ben definito per sopprimere eventi energeticamente dispendiosi correlati alle attività delle reti, in condizioni di ridotta disponibilità di ossigeno, così da eliminare un importante elemento di richiesta di O2 che nella fase di asfissia fisiologica potrebbe risultare fatale.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond & Roberto Colonna

BM&L-09 dicembre 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Mains R. E. & Eipper B. A., Peptides, in Brady Siegel Albers Price, Basic Neurochemistry, p. 390, 8th edition, 2012.

[2] La definizione è impropria se la si generalizza, sia perché non sempre agiscono in tal senso sia perché anche i neurotrasmettitori classici possono, in varie circostanze, agire limitandosi a modificare l’attività di altre sinapsi; tipico esempio è la serotonina (5-HT), che svolge un’importante azione da neuromodulatore nel cervello.

[3] La maggior parte dei quali è costituita da classiche molecole 7-TM (serpentine) accoppiate a proteine G.

[4] Note e Notizie 24-10-2015 Ossitocina ed Alcool. Si consiglia la lettura di questo articolo anche per altri interessanti elementi sulla trasmissione peptidergica.